20 sigarette

REGIA: Aureliano Amadei
CAST: Vinicio Marchionni, Carolina Crescentini, Giorgio Colangeli, Massimo Popolizio, Orsetta De Rossi, Alberto Basaluzzo, Edoardo Pesce, Luciano Virgilio
ANNO: 2010
 
Il giovane Aureliano studia per diventare attore sognando la regia. Nel frattempo passa da un centro sociale all’altro, manifestando contro la guerra e sognando un futuro di pace. Quando un regista amico di famiglia gli propone di andare con lui in Iraq per fargli da aiutante, il ragazzo, dapprima titubante, decide che si tratta di un’ottima opportunità. Una volta arrivato non avrà il tempo di fumare 20 sigarette che si ritroverà nel bel mezzo dell’attentato a Nassiryya dal quale uscirà come unico civile sopravvissuto.
 
Un film che tratta una tematica molto scottante e dolorosa, un film che narra di una tragedia privata e pubblica, un film che racconta della guerra. Un po’ di tutto questo è “20 sigarette” che non si prefigge nessun obiettivo se non quello di mostrare tramite lo sguardo vispo, sbarazzino e inconsapevole di un giovane uomo, quello che in realtà nessuno conosce nella sua vera essenza. Riuscendo a trattare il tema delicato in maniera per niente ruffiana (escludendo qualche sequenza evitabile che però si dimentica e si perdona al regista esordiente, lo stesso protagonista del film interpretato apprezzabilmente da Vinicio Marchionni), Aureliano Amadei, che ha tratto questo film dal suo stesso romanzo scritto a quattro mani con Francesco Trento, ci regala una pellicola davvero interessante. Si mantiene quasi interamente su un binario fatto di ironia e spensieratezza, evitando il rischio di retorica e melodramma, restituendo una prospettiva al tempo stesso soggettiva ma super partes. Il protagonista, infatti, parte con una mentalità ben precisa, e torna con una visione sconvolta e stravolta della realtà delle cose. Non sempre, quindi, ciò che ci viene mostrato e raccontato nei tg, dai politici, dai giornalisti è così rispondente alla verità. La verità sta negli occhi di chi guarda, di chi vive, di chi soffre, di chi muore. Anche se non è morto, Amadei, in qualche modo ha voluto dirci che non tutti i militari sono delle macchine da guerra e che, insomma, non è tutto bianco o tutto nero, così come pare credere il suo amico che lo abbandona quando, alla presentazione del suo libro, lo sente mettere sullo stesso piano un giovane soldato italiano e un bambino iracheno, entrambi morti nel terribile attentato. Sono tutte vittime e sono tutti carnefici, è questo ciò che si evince dalla parabola umana dell’uomo partito bambino e tornato uomo. Nessun intento apologetico, però, ma solo il punto di vista di un testimone oculare, condivisibile o meno. Sarà un caso, però, che al momento della sua uscita il film abbia suscitato polemiche e ostruzioni da parte del mondo politico?
Tralasciando le polemiche, comunque, si può asserire che “20 sigarette”, soprassedendo su qualche disequilibrio narrativo nei bruschi e poco calibrati passaggi dal dramma alla “commedia”, è un ottimo film che si avvale anche di alcuni momenti molto ispirati, primo su tutti la claustrofobica soggettiva del protagonista che osserva terrorizzato e sconvolto l’attentato che si svolge davanti ai suoi occhi. Una lunga sequenza che tiene lo spettatore imprigionato davanti allo schermo e lo costringe a tenere anche i suoi occhi incollati all’orrore e alla tragedia. Una sequenza che colpisce con una forza sorprendente e trasmette un senso di percepibile e pressante disagio, in grado di emozionare potentemente lo spettatore immerso fino al collo, così come il protagonista, nel sangue, nella polvere, nei proiettili volanti, nella morte.
Interessanti e originali, seppur scarsamente sfruttati e poco amalgamati anch’essi col resto della narrazione, gli inserti onirici, quelli nei quali il protagonista immagina i suoi compagni, un soldato e il regista Stefano Rolla, nel deserto. Inserti che esprimono tutta la potenzialità della fantasia del protagonista, poi mescolata alla disperazione al dolore per una perdita immensa. Una perdita non solo di persone care, seppur conosciute da poco, ma anche di un equilibrio mentale ed emotivo, così come dimostra il finale che ci mostra l’uomo maturato e responsabilizzato (sposa la sua amica di una vita e diventa padre), cedere ancora al panico e al terrore del ricordo.
E’ questo soprattutto, allora, “20 sigarette”: lo stravolgimento di una vita a causa di una terribile tragedia di cui tutti, anche a sproposito, hanno voluto occuparsi, ma che in realtà ha riguardato nel profondo solo poche persone, contemporaneamente innocenti e colpevoli.

VOTO:

Pubblicato su www.livecity.it

8 commenti su “20 sigarette

  1. Però i fatti politici e storici non si possono ricostruire con il soggettivismo anche se drammatico.Nel senso la sua è una testimonianza preziosa,vissuta in persona e che giustamente comporta un certo percorso.Sposti la mdp e la porti tra gli iracheni avrai storie diverse e così ancora
    Poi sono convintissimo che vi sia una grandissima differenza fra un soldato italiano,mandato a fare una guerra voluta dagli americani e quindi da ascaro,e un bambino iracheno che si vede la guerra non scelta come lavoro piombarli contro.
    Per carità è anche il pensiero delle sinistre pacifiste e così via.Aggiunge e non toglie nulla alla discussione,tuttavia rimango della mia opinione e quindi concordo con l'amico del protagonista e non con lui.

  2. aggiungo,per comprenderci meglio:non sono anti militarista.L'esercito è stato fondamentale per alcuni avvenimenti che io giudico gloriosi nella nostra storia-la guerra patriottica sovietica in primis-sono fondamentali e aiutano le popolazioni colpite da emergenze e cataclismi ,altro ancora
    Nondimeno sono stanco di vedere i miei connazionali fare da ascari ai voleri americani e alle loro guerre.Ci sarebbe una guerra alla mafia da fare in casa nostra semmai,non certamente come carne da macello per i deliri degli yankee.Un mio amico soldato mi dice comunque che ora sono cambiate molte cose al'interno dell'esercito ,non ci sono-o non sono moltissimi- i poveri bisognosi di uno stipendio,ma son scelti e professionisti della guerra.Un lavoro quindi,che ha purtroppo dei lati pericolosissimi,come molti altri lavori.
    Sicuramente vorrei un esercito italiano più attento alle attenzioni reali della patria,staccato totalmente dai deliri di oltre oceano,con un dialogo costante con la popolazione sorpassando l'apologia retorica e l'anti militarismo ottuso.
    Sapendo però quale è il ruolo,i pro e i contro.La vittima è solo il civile che si ritrova gli occupanti in casa,altri resistono e lo fanno con i mezzi a loro disposizione,altri fanno un lavoro che è la guerra anche.Anzi proprio se ne parliamo come soldati,devo dire che li ammiro di più.Hanno fatto una scelta precisa.Però diversissima rispetto al bimbo o donna o vecchio o cittadino comune che si vede bombardare la casa.
    Ovviamente e banalmente dispiace tantissimo per la morte di un nostro connazionale.Per quanto io credo che non esista una Nazione italiana,ma un'ipotesi di essa.Troppo forte è il localismo,il tradizionalismo,il regionalismo che impedisce al Popolo di sentirsi tale nella sua maggioranza.Si cerca di trovare questa unione al funerale dei soldati-eroi,con un uso da parte dei politici di retorica davvero pesante, o nelle manifestazioni sportive.
    Resta giusto la pietà umana per certe vite spezzate,e certe vite fanno più rumore e rispetto ad altre

    scusa per l'intervento prolisso e magari ot
    ciao

  3. Ma guarda che ci troviamo d'accordissimo. Per me non conta tanto la tesi o l'opinione del regista, ma il modo in cui ha cercato di esprimerla, senza imporsi o senza calcare la mano. Detto questo indipendentemente da una scelta personale o meno (come quella che può fare un soldato che si arruola), la morte di un bambino, in generale, già dispiace di più rispetto a quella di un adulto. Quindi di per sè sono cose che non possono essere messe a paragone. Però qui non si parla universalmente, come spiegavo nella recensione, ma proprio in base a ciò che il protagonista ha vissuto sulla sua pelle. Ha visto morire davanti ai suoi occhi un uomo che aveva scoperto molto diverso da quello che ha sempre pensato, magari anche "luogocomunisticamente" (un po' come fa il suo amico) e poi si è visto morire tra le braccia anche un bambino. Entrambe le morti hanno avuto un peso enorme sulla sua coscienza e sulla sua anima.

  4. si,giusto.Infatti la sua è una testimonianza preziosa,però io ragiono solamente dal punto di vista politico e quindi cercando di valutare per prima il contesto storico .Per questo se da uomo,non posso che condividere quanto dica o faccia,dall'altra parte ci tengo a precisare chi è l'occupante e chi l'occupato.Da questo arrivano altri ragionamenti a seguire.Non è quindi a essere giudicato il soldato in sè,anche perchè spesso il militare è una cosa che capita a tutti i ragazzi e non capisco perchè pure le ragazze vogliano farlo,ma il ruolo.Vabbè,ma è che forse son troppo rigido e cinico-potrebbe sembrare-boh,comunque mi vedrò il film.L'esperienza umana in fin dei conti a una sua importanza
    ciao,davide

  5. Bè dai capitano! Comunque capisco il tuo ragionamento e in linea generale lo condivido in pieno. Però in questo caso si parlava del valore di un film e di una singola esperienza personale per come l'ha vissuta sulla sua pelle il protagonista.

  6. si tratta di un film che ho davvero apprezzato molto, colpevolmente poco pubblicizzato in Italia: ottimo il protagonista, che non conoscevo, e la sequenza spettacolare e fortissima dell'attentato, che secondo me è molto ben realizzata (alzi la mano chi non è saltato sulla sedia quando compare la mano insanguinata di amadei in primo piano). Qualche piccola caduta di stile dovuta al fatto che il regista è un esordiente (a me ad esempio non sono piaicute molto le scene oniriche), ma nel complesso, un gran bel film. Buon anno!

  7. A me quelle scene sarebbero piaciute se utilizzate meglio e soprattutto meglio amalgamate col resto della narrazione. Per il resto si concorda alla grande.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.