Womb

REGIA: Benedek Fliegauf
CAST: Eva Green, Matt Smith, Lesley Manville, Peter Wight
ANNO: 2012

 

Rebecca è sconvolta dal dolore per la perdita dell’amato Tommy, sfiorato da bambino ai tempi in cui ebbero una fugace storia d’amore adolescenziale interrotta dalla partenza di lei, e perso in un incidente da adulto, una volta ritrovatolo dopo dodici anni di separazione. Decide così di affidarsi al Dipartimento di replicazione genetica per farsi impiantare nell’utero un clone del suo amato.

La fantascienza cosiddetta intimista, priva di fracassonate americane o di effetti speciali a tutto spiano, sempre più spesso ultimamente sta affrontando il tema della clonazione umana e dei limiti della scienza posta a confronto con l’etica e la morale. Abbiamo avuto diversi esempi, riuscitissimi, in questo senso, tralasciando il cult Blade Runner, e riferendoci ai più recenti Moon o Non lasciarmi, quest’ultimo in molti elementi simile a Womb. La differenza tra le opere citate e quella che stiamo analizzando, però, risiede nel fatto che il film in questione risulta privo di quel coinvolgimento emotivo e di quel pathos posseduto dalle pellicole di cui sopra e, soprattutto, non affronta minimamente la questione etica alla base delle stesse. Ciò su cui sembra concentrarsi principalmente il regista ungherese è la forza ossessiva dell’amore eterno della protagonista, convincentemente impersonata da un’Eva Green che le dona la giusta aura di inquietudine, e dunque l’introspezione e l’approfondimento di questo sentimento che va oltre ogni limite. Limite però che non viene adeguatamente affrontato. In comune col già citato Non Laciarmi, inoltre, abbiamo la desolazione e la tristezza degli ambienti circostanti in cui si muovono i protagonisti. Solo che, laddove avevamo un utilizzo degli stessi completamente funzionale alla storia narrata e agli stati d’animo dei personaggi, qui ci troviamo di fronte ad un insistito ricorrere alle inquadrature fisse, ai paesaggi immobili e sconfinati, alla freddezza delle atmosfere e a lunghissimi e ostentati silenzi che, invece di coinvolgere e comunicare qualcosa, finiscono per infastidire e per dimostrare un certo manierismo quasi fine a se stesso. Rimane comunque l’ottima fotografia, la buona prova attoriale non solo di Eva Green, ma anche di Matth Smith (il mitico Doctor Who della serie televisiva), e l’ottima orchestrazione della tensione sentimentale, sessuale e familiare che intercorre tra questi due protagonisti, ferma restando l’inadeguatezza e l’esagerazione della scena risolutiva finale che, a nostro avviso, avrebbe dovuto lasciare spazio all’indeterminatezza e al dubbio.

Pubblicato su www.ithinkmagazine.it

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