Al Pacino: quando recitare è uno stile di vita oltre che un'arte







AL PACINO: QUANDO RECITARE E’ UNO STILE DI VITA OLTRE CHE UN’ARTE

 

L’agitazione e l’attesa per una grande star e un grandissimo artista come Al Pacino, si sente forte alle ore 18.00 nella sala Petrassi dell’Auditorium, soprattutto perché l’attore è in leggero ritardo e qualcuno vocifera che non ci sia. Poi però le luci si abbassano leggermente e sul palco compare il mito, un uomo che trasuda cinema da tutti i pori. Elegante nel suo abito scuro, sbarazzino con gli occhiali da sole in testa, Pacino si mette subito a suo agio e si gode il lunghissimo applauso di benvenuto. Prima di cominciare a rispondere alle domande ci tiene a fare un breve ma interessantissimo commento iniziale sull’Actor studio, il reale motivo per il quale è qui a Roma, visto che ha vinto il Marc’Aurelio d’oro:

 

L’Actor studio è la cosa più importante per me. In un paio di film, ma sostanzialmente in tutte le mie pellicole, la mia recitazione ha origine proprio da lì. L’actor studio è come una casa per me, ma è un posto che accoglie chiunque abbia passione e determinazione. Nel mio film “Babilonia”, mi occupo proprio di raccontare questa realtà dall’interno, mostrando cosa si prova a parlare con molti attori provenienti da tutto il mondo. Tutti possono accedere all’Actor studio, non ci sono preferenze di età o di provenienza, e una volta entrati si è membri per la vita. La parola chiave è “sperimentare”, ricordo ancora quando, molto giovane, ho recitato in un film di Kazan, in cui potevo confrontarmi con molti attori professionisti. Bisogna cercare di carpire,  recepire, interagire con gli altri, esercitarsi. L’Actor studio è un’opportunità enorme, non solo dal punto di vista professionale, ma anche per la ricchezza della propria vita sociale”.

 

Partono le domande e Pacino risponde molto esaurientemente con un’ampia dose di particolari e di informazioni davvero succulente. Non mancano le gag e i momenti divertenti, ad un certo punto il suo accompagnatore, seduto alla sua destra, gli rivolge una domanda, ma Pacino che guarda attentamente il suo pubblico, non recepisce la reale provenienza della domanda, visto che tutto ciò che viene detto gli arriva tramite la voce della traduttrice in auricolare. Gli si suggerisce di guardare a destra, ma lui continua a guardare in platea, fino a quando non si accorge della piccola “gaffe”, sorridendo di gusto. In un altro momento chiede cortesemente che gli si ripeta una domanda, perché invece di ascoltare la traduttrice in auricolare, si era incantato a leggere il labiale del suo interlocutore. Al di là dell’aspetto puramente gioviale e sereno che ha caratterizzato la conferenza stampa, si è potuto ascoltare dalla e nella viva voce di un grandissimo artista, la grande passione per il cinema e soprattutto per il teatro.

 

Ancora giovanissimo ha avuto la possibilità di recitare accanto a Strasberg, uno dei più grandi attori mai esistiti. Cosa si prova a recitare di fronte a qualcuno che si considera “il proprio maestro”?

 

Strasberg era un vero amico. Lavorare con lui fu straordinario, perché era il guru della recitazione. E quando lavori con un grande attore e riesci a capire cosa fa e come lo fa, allora poi lo si fa insieme. Era “solo un altro attore”, come io “ sono solo un altro attore”. Lui non mi ha mai istruito o giudicato. Ho fatto due film con lui che mi hanno dato l’opportunità di conoscerlo. Oltre ad essere un attore, era anche un maestro nato. Lavorare con lui è stata una rivelazione, il suo modo di recitare era molto classico. Una volta mi disse: “Se vuoi recitare, devi imparare a memoria le battute”. E aveva ragione, anche se è difficile, soprattutto quando invecchi e non hai più tanta memoria, ma col passare degli anni ti impadronisci del mestiere e impari anche ad andare a braccio.

 

Il modo di vedere il cinema sta cambiando radicalmente. Tecnologie sempre più avanzate, festival in tutto il mondo, mercati sempre più accessibili. Come vede questi cambiamenti?

 

Molto spesso è chiamato a recitare il ruolo di un mentore, una figura di riferimento per personaggi più giovani. Cosa si prova ad insegnare qualcosa ai giovani?

 

Ad Hollywood funziona così: se qualcosa diventa popolare allora la si ripropone più volte. La figura del mentore è diventata popolare grazie ad alcuni miei personaggi. Tutti, o quasi, i giovani attori con cui ho lavorato sono diventati miei amici, oltre che colleghi, come successe a me con Strasberg e Brando. Gli attori oggi sono molto più fiduciosi in sé stessi, più esperti, e anche se potrebbero essere un po’ intimiditi trovandosi a recitare accanto a me, è una cosa che si risolve subito tra me e loro. A volte ci vogliono minuti, altre volte ore. L’unica buona idea è instaurare un rapporto amichevole. Io spesso chiacchiero con loro,  vado a cena con loro o magari  a prendere un caffè. Questo fa la differenza.

 

Che significato ha per lei ricevere un premio come il Marc’Aurelio d’oro in una città come Roma? A che punto è della sua carriera? Con quale titolo indicherebbe la sua “posizione” ora?

 

Ricevere questo premio è un onore davvero speciale per me. Venire qui in Italia è anche un’occasione per incontrare vecchi amici. Davvero non riesco ad esprimere quello che si prova, è molto difficile da spiegare a parole. Inoltre, arrivato a questo punto della mia carriera, essere premiato mi serve anche da buon promemoria per tutto il lavoro svolto fino ad ora e per quello che svolgerò in futuro. E’ un vero onore sia come attore che come artista. E poi i voli per Roma sono così pratici!

 

Più spesso ha dichiarato che recitare a teatro la soddisfa di più che recitare sul grande schermo. E’ vero?

 

Bè, si è vero. Perché ho cominciato proprio sul palco e ci ho lavorato per molti anni. Per carità, amo i film, adoro guardarli, un po’ meno farli perché c’è sempre qualcosa che non va, qualche problema di ordine pratico. Ma la performance è parte di me, soprattutto se dal vivo. Amo moltissimo il contatto col pubblico dal vivo, tutto ciò costituisce uno stimolo per me, oltre ad avere un’aria familiare e più calorosa.

 

Qual è la cosa migliore dell’essere attore?

 

E’ avere un tenore di vita elevato, ma soprattutto è bere dopo lo show!

 

Come si sente nel ruolo di “maestro” per le nuove generazioni?

 

Io non sono un maestro di recitazione. Io dico seriamente che bisogna andare sempre avanti nel recitare. “Impara le tue battute”, come diceva Strasberg. Il mio stile è particolare, ed è il mio stile. Tutto quello che voglio è permettere al vostro inconscio di essere liberi. Un po’ come fa Jackson Pollock con la sua arte.

 

Nella sua carriera ha interpretato una marea di ruoli differenti. Quanto è difficile staccarsi dai propri personaggi?

 

Questa è una grande domanda. Dopo molti anni di mestiere e di esperienza bisogna imparare a discernere la propria vita dal lavoro. Quando ero ancora molto giovane rimasi molto scosso dalla mia interpretazione in “Quel giorno di un pomeriggio da cani”. Alla fine l’unica cosa che sapevo è che non volevo “tornare indietro”, che dovevo letteralmente staccare da quel personaggio. Ora non ho più questo problema e questo lo devo al passare del tempo, perché ho imparato ad concentrarmi su altre cose. Nell’arco di una settimana ci sono talmente troppe cose da fare che non puoi concentrarti solo su una di esse. Per esempio,  una volta a teatro, mentre recitavo un’opera di Shakespeare, ero talmente confuso che pronunciai la battuta di un’opera diversa. Quello che aiuta molto è avere molti interessi e possedere molta energia, l’unica che ti fa andare avanti.

 

In Scarface Tony Montana diceva “Dico sempre la verità, anche quando mento”. E’ un po’ quello che fa un attore?

 

Secondo me è proprio l’opposto. Nella vita di tutti i giorni siamo più portati a mentire, mentre quando recitiamo diciamo la verità perché abbiamo la reale opportunità di esprimere interamente noi stessi.

 

Pubblicato su www.livecity.it e www.supergacinema.it

 

 

 

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