Anamorph




REGIA: Henry Miller

CAST: Willem Dafoe, Peter Stormare, Scott Speedman, Amy Carlson

ANNO: 2009

 

TRAMA:

 

Il detective Stan Aubrey, ormai in “pensione”, ritorna a lavorare per il dipartimento di polizia in seguito ad un caso collegato ad un serial killer di cui si era occupato, lo Zio Eddie, che si rifaceva ad opere artistiche per i suioi omicidi. 

 

 


ANALISI PERSONALE

 

Questo “Anamorph”, distribuito in Italia due anni dopo la sua effettiva realizzazione, tutto sommato è una pellicola godibile. Il tutto sommato è dovuto all’ampia dose di prevedibilità e scontatezza inista in quasi tutte le situazioni che si propongono nell’indagine e nella risoluzione del caso. Eppure qualcosa di cui poter godere c’è, a partire da una serie di suggestioni visive e concettuali non indifferenti. La figura  del serial killer con uno spiccato gusto estetico e un’anima artistica apre la strada a dei sottotesti che tentano di offrire degli spunti di riflessione originali e particolari sull’arte in tutte le sue forme, addirittura “l’arte di uccidere”, arrischiandosi in considerazioni scomode e pericolose. “E’ solamente quando un artista trova la sua ossessione che può cominciare a creare le sue opere d’arte più ispirate”, dirà il personaggio interpretato da Peter Stormare (uno specchio per le allodole per i fan di questo mitico attore che è diventato un’icona in seguito alla sua partecipazione al serial tv “Prison break”), una specie di mercante e di esperto d’arte che contribuirà con il suo ingegno spiccato, e con un pizzico di fortuna estrema (espedienti che allo spettatore sembrano solo esagerazioni di sceneggiatura) alla risoluzione del caso.

Sicuramente debitore ad un thriller cult come “Seven” in quanto a stile narrativo e ad atmosfere, caccia a piene mani anche dalla fortunata ma poco valente saga di “Saw” soprattutto per quanto concerne il gusto estetico-visivo, con le “composizioni” dei cadaveri e delle vittime del serial killer artista. Ma se non riesce a raggiungere la grandezza e il rigore formale e non della prima pellicola, perlomeno riesce a distinguersi positivamente dalla seconda (tranne per quanto concerne dei poco apprezzabili e ripetutissimi flashback che si amalgamano con le situazioni presenti attraverso una serie di sfiancanti inquadrature-ponte, così come succedeva nel quarto capitolo della saga).

Ottima, invece, come da aspettative, l’interpretazione di Willem Dafoe che ha il giusto volto scavato per trasmettere tutta l’ambiguità e la complessità del suo personaggio. Discreta la fotografia incentrata sui toni scuri e cupi e quasi del tutto monocromatica tendente al giallo ocra e solo verso la fine, arricchita di tonalità fredde come il blu (il colore che secondo il serial killer è il più difficile da ricreare). Interessante anche l’accento posto sulla condizione di simbiosi che si viene a creare spesso tra detective e serial killer: il primo non esisterebbe senza l’altro e viceversa. A questo proposito risulta esplicativo e molto comunicativo l’inserimento nello spazio scenico e nella narrazione, di una particolare poltrona che rappresenta il vuoto della vita del detective al di là dell’ambito lavorativo, oltre che l’oggetto che gli ricorda il misterioso dramma che aleggia intorno al caso precedente in qualche modo collegato a quello presente. 

Tanto che presto siamo portati, tramite la figura del suo giovane e intraprendente collega, ad avere dei dubbi sulla sua condotta e sul suo reale coinvolgimento nel caso (di mezzo c’è anche una donna). Del resto è tutta una questione di prospettive, come ci spiega precisamente Peter Stormare: “L’anamorfesi sovverte il piano visivo cancellando tutto ciò che hai imparato sulla prospettiva fissa. C’è sempre un’altra angolazione, un altro significato”, e Willem Dafoe sembra cogliere al volo il messaggio nascosto: “La verità dipende dal punto di vista”.

 

VOTO: 6

 

 


CITAZIONE DEL GIORNO

 

“Prova a fare una mossa falsa e ti ritrovi il cervello sulle mie tende” (Jackie Brown)

 


LOCANDINA

 

6 commenti su “Anamorph

  1. sospettavo non fosse poi tanto male. mi sembra un film che almeno punta molto su fotografia e scenografia. e poi dafoe vale quasi sempre la pena.

  2. Si, hai centrato in pieno la valenza della pellicola. Qualche suggestione qui e lì comunque c’è. Insomma per me è un film sufficientemente valente.

  3. Ovviamente (ahimé!) non ho visto neppure questo, ma il discorso sul “punto di vista” mi interessa molto. Tutto ciò che cerca di evidenziare i “limiti” della prospettiva classica mi interessa.

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