Antrum: il mistificante e inquietante potere della suggestione e della paura indotta

Due registi ritrovano una copia di un film definito maledetto, perché in passato aveva portato alla morte di alcuni selezionatori di festival che l’avevano visionato, all’incendio di un’intera sala in cui era stato proiettato e alla follia allucinatoria di un altro gruppo di persone durante la sua visione anni dopo. Sulla base di questa introduzione, veniamo immersi nel film vero e proprio in cui una sorella più grande e protettiva, porta il fratellino minore all’interno di un bosco in cui crede ci sia la porta per l’Inferno, in modo tale da scavare una buca e poter far tornare dall’altro mondo l’anima del loro cagnolino prematuramente scomparso.

Introdotto da una parte mokumentary in cui si carica di aspettative lo spettatore, ammantando anche di un alone leggendario quanto di lì a poco verrà mostrato, cosa che dovrebbe immergerci in un mood fatto di paura, timore e molta curiosità, Antrum, procede poi con la fantomatica pellicola ritrovata e mostrata al mondo, per concludersi con il secondo filone documentaristico che va a chiudere il cerchio.

Il filone è quello a la Blair Witch Project, piuttosto che alla Cigarette Burns in cui si parlava di una pellicola simile (La Fin Absolue du Monde) o alla The Ring, insomma il genere è proprio quello del “film letale”, ma il discorso che molto probabilmente i due registi vogliono portare avanti, sia tramite l’introduzione falsamente documentaristica in cui fanno un discorso abbastanza palese sul significato di paura indotta, sia durante il racconto della “discesa agli inferi” di questi due ragazzini, è quanto sia il potere della suggestione a farla da padrone trasformandosi poi, in alcune occasioni, in vero e proprio terrore e orrore.

Che si tratti della suggestione di alcuni spettatori impressionati dall’alone leggendario che circonda l’oggetto della loro visione o di quella di un bambino che non ha ancora gli strumenti per razionalizzare e la cui fantasia può essere fortemente condizionata da simboli, luoghi, racconti, coincidenze e simili, in entrambi i casi il potere della suggestione può portare anche a inquietudini estremamente profonde.

Sta allo spettatore, quindi, lasciarsi immergere in questo viaggio nell’inconscio (sarebbe consigliato, infatti, approcciarsi alla visione di quest’opera completamente soli e completamente al buio e al silenzio) o abbarbicarsi strenuamente ad un razionalismo che rovinerebbe sicuramente il livello di apprezzamento del film.

Nel primo caso si potrà vivere un’esperienza decisamente immersiva e ipnotica (indipendentemente dalle premesse di “letalità” del film), caratterizzata da uno straordinario utilizzo del sonoro, in certi momenti a tratti terrificante, e da un’impalcatura estetica fatta immancabilmente di pellicola sgranata e a tratti graffiata, con una fotografia molto seventies, come lo sono anche i costumi e l’atmosfera in generale.

E nel frattempo c’è anche il tempo di farci suggestionare, ancora, da apparizioni improvvise di simboli demoniaci, da messaggi subliminali sparati nel bel mezzo della visione (grazie anche ad un montaggio che gioca abilmente con glifi, pentagoni, sigilli e simboli simili appunto, che appaiono sullo schermo ad una velocità che li rende quasi impercettibili), e da un certo momento in poi dal reale che spesso diventa più terrificante dell’”evocato”, quando andiamo a toccare il filone redneck horror (Non Aprite Quella Porta è il modello principale di riferimento ovviamente), con la comparsa di due personaggi che risultano a loro modo ancora più inquietanti, perché appunto reali e non frutto di eventuali “fantasie” (ma sono poi davvero solo fantasie?).

E grazie a questo comparto tecnico molto abilmente studiato, i due registi riescono a passare dalla teoria del mokumentary alla pratica del film vero e proprio, trasformando una vicenda banale (due ragazzini vanno nel bosco perché la sorella vuole alleviare i dolori del fratellino, traumatizzato da incubi e nefaste visioni in seguito alla morte del suo cagnolino), in una discesa agli Inferi (vera o immaginata che sia), che trasforma il reale in surreale, coinvolgendoci notevolmente.

Quello che importa, allora, in Antrum, non è tanto che si tratti di un film che una volta visto porta alla morte (semplicemente una strategia di marketing attuata per attrarre curiosi e appassionati, con tanto di cartello all’inizio del film maledetto che avverte di prendersi le proprie responsabilità nel cominciare a guardarlo), quanto di un film che una volta visto porta ad un’inquietudine disorientante dai tratti allucinatori, che sia indotta o meno, ma soprattutto ad una riflessione su questa particolare tipologia di paura, al cinema e non solo.

4 commenti su “Antrum: il mistificante e inquietante potere della suggestione e della paura indotta

  1. Sono molto d’accordo, “Atrum” é chiaramente un gioco a cui ci viene chiesto di prendere parte, perché di fatto nessun film é reale pe davvero, quindi tutto sommato questa mockumentary che gioca a carte scoperte fa il suo dovere 😉 Cheers

    1. Sì, è un gioco a cui ci viene chiesto di partecipare, però secondo me è un gioco interessante da un lato e coinvolgente dall’altro.

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