Babycall

REGIA: Pål Sletaune
CAST: Noomi Rapace, Kristoffer Joner
ANNO: 2012

Anna si è trasferita col suo bambino Anders in un condominio della periferia di Oslo per sfuggire ad un marito pericoloso e violento. Per tenere il figlio sotto controllo anche di notte compra un babycall in modo da poter sentire sempre il suo respiro. Qualcosa però andrà storto: dall’apparecchio comincerà a percepire lamenti e urla inquietanti e Anders si affiancherà ad un bambino a dir poco sinistro. L’unico scampolo di luce nella vita della donna sarà costituito dall’amicizia con Helge, commesso di un negozio di elettrodomestici, che cercherà in tutti i modi di aiutarla.

Non può essere definito a tutti gli effetti un horror, perché manca esteticamente e registicamente degli aspetti salienti del genere. Ci troviamo, piuttosto, dalle parti del dramma psicologico con venature thriller e con qualche sprazzo di tensione, anche se bisogna dire che non tutte le componenti sono ben riuscite. Sul fronte drammatico abbiamo una buona introspezione della protagonista, ben incarnata dalla sempre più richiesta Noomi Rapace (vincitrice del Marc’Aurelio  come miglior attrice al Festival Internazionale del Film di Roma dell’anno scorso), e delle sue ossessioni imperanti.  Non abbiamo però una buona padronanza del ritmo e della suspense, con momenti di stanca fin troppo ricorrenti, con una ridondanza narrativa a tratti eccessiva e con un banale e prevedibile ricorso a determinati cliché del genere, soprattutto in fase finale, momento in cui incorriamo in risvolti shyamalaniani ormai quasi anacronistici. Non aiuta la confusione in fase di sceneggiatura, con buchi e vuoti narrativi, atti sicuramente a creare spaesamento nello spettatore e a tenere sempre desta la sua attenzione, oltre che ad amalgamarsi allo stato mentale estremamente caotico della donna. Ciò non basta però a rendere accettabile uno svolgimento che si ritorce su se stesso e invece di lasciarci positivamente allibiti e increduli, ci regala uno stato di insoddisfazione dovuto all’incapacità dell’autore di saper tenere ben fermo il timone e di stupirci senza ricorrere a strategie abusate e a colpi di scena visti e stravisti. Tutto sommato, comunque, rimane qualche suggestione visiva (il lago, la claustrofobia dell’appartamento di Anna), la buona prova recitativa del cast poco nutrito e l’angoscia permanente delle atmosfere. Questo non rende Babycall un film memorabile, ma non lo fa finire direttamente nel dimenticatoio, anche grazie a sottotrame in qualche modo coinvolgenti (in primis quella che riguarda il commesso ben impersonato da Kristoffer Joner) e ad alcuni guizzi, seppur rari, in grado di suscitare qualche scossone (le apparizioni del bambino misterioso). Raggiungere un equilibrio, dunque, nell’analisi di quest’opera è altrettanto difficile quanto comprendere le azioni e le scelte dell’essere più imprevedibile in assoluto: una madre che cerca di proteggere il proprio figlio.

Pubblucato su www.ithinkmagazine.it

 

 

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