Cul de sac

REGIA: Roman Polanski

CAST: Donald Pleasence, Jackie Bisset, Francoise Dorelac, Lionel Stander, Jack McGowarn

ANNO: 1966

 

TRAMA:

 

George e Teresa, freschi sposi, vanno a vivere in un enrome castello medievale che viene spesso circondato dall’alta marea. A disturbare la loro singolare quiete arrivano due criminali di ritorno da un colpo andato male che si impossessano della villa tenendo i coniugi sotto minaccia con una pistola.

 

 


 

ANALISI PERSONALE

 

Una delle prime pellicole di quello che poi sarebbe diventato un grandissimo e notissimo regista, “Cul de sac” si fa apprezzare per moltissimi motivi, primo su tutti una deliziosissima ironia nera e macarba che attraversa l’intera pellicola. Nonostante si tratti di un noir vero e proprio, con tanto di criminali, ostaggi e anche morti, si sorride spesso durante la pellicola, proprio perché il regista riesce a mettere alla berlina sia i due criminali che vengono rimbrottati dal loro capo perché incapaci di portare a termine un colpo dei più facili, sia i due coniugi, borghesi apparentemente colti e chic, ma sostanzialmente meschini come gli altri due. Eh sì, perché Richard, il criminale più pauroso dei due (l’altro è morente perché colpito da una pallottola in petto, oltre ad essere mingherlino e quasi docile), non fa altro che mettersi in ridicolo, attendendo un capo che non arriverà mai e lasciandosi prendere in giro da Teresa, che non ci sta a farsi sopraffare da lui. Mentre George dimostra tutta la sua incapacità ad affrontare situazioni pratiche e pericolose, quasi a rendere nota la sua abitudine a vivere in maniera facile e agiata, oltre a palesare la sua ipocrisia nel fingersi amante dell’arte e della letteratura, visto che dipinge solo per far colpo sulla sua giovane e bella moglie e si rivela odiare persino il famoso scrittore che ha scritto tutte le sue opere in una stanza del castello che l’uomo ha acquistato, apparentemente solo per questo motivo, ma in realtà per mostrare il suo tenore di vita e il suo rango sociale. Ma l’ipocrisia investe anche il rapporto di coppia dei due coniugi, visto che Teresa va a letto col figlio dei vicini e George finge che sia tutto rose e fiori, solo perché non ha il coraggio di affrontare la realtà e di ammettere la falsità che investe la sua vita sentimentale e privata. Dopo aver abbandonato lavoro e amici, forse la sua unica vera ancora alla realtà, si è rintanato in una falsa felicità vissuta lontana da occhi indiscreti, occhi che potrebbero accorgersi dell’inesistenza di suddetta felicità. Un abbandono e una fuga che hanno però anche il sapore di un inizio di presa di coscienza e di allontanamento da quel mondo fatto di luoghi comuni, stereotipi e falsi perbenismi. Ci va giù pesante Polanski con la critica a questo modo di vivere, tanto da rendere il protagonista maschile una vera e propria macchietta che oltre a far sorridere riesce persino a suscitare compassione nello spettatore, soprattutto nel finale che vira pesantemente verso il tragico abbandonando il comico. Nemmeno la protagonista femminile, seppur più forte e risoluta, fa una bella figura, dato che sembra completamente interessata solo a se stessa e alle sue pulsioni, sessuali e non, tant’è che più volte mente al marito su ciò che avviene con l’intruso per nulla interessato a lei dal punto di vista sessuale.

Ma c’è un momento in cui entrambi i protagonisti si riscattano, rendendo meno aspra e polemica la critica di Polanski al mondo di una determinata fetta di borghesia, soprattutto quando ci si risveglia dal torpore nel quale essa costringe i suoi membri. Quando i due ricevono la visita inaspettata di alcuni amici, borghesi e ipocriti come loro, Teresa ne approfitta per prendersi gioco di Richard facendolo passare per il loro domestico, ma Geroge comincia a risvegliarsi dalla finzione della sua vita e sputa in faccia ai convenuti delle verità dolorose, ma necessarie, rendendosi in questo modo per la prima volta sincero, ma soprattutto libero dalle convenzioni e costrizioni sociali. E’ solo l’inizio del percorso salvifico che l’uomo ha intrapreso paradossalmente grazie alla disgrazia che gli è piombata addosso. E’ dunque dall’incontro-scontro tra i tre personaggi che ognuno di loro perverrà a delle conclusioni indispensabili per la comprensione del proprio ruolo nel mondo. E’, infatti, Richard il personaggio-emblema di “Cul de sac”, colui che smuove le acque e, rendendosi ridicolo egli stesso come ogni buffone che si rispetti, porta alla luce e deride le meschinità e le debolezze altrui. Ma ovviamente, come per ogni buon noir che si rispetti, ironico o meno che sia, il tragico epilogo è dietro l’angolo e dopo aver assaporato uno spiraglio di salvezza, ognuno dei tre sarà costretto a soccombere sotto il peso insostenibile della propria vita ormai radicata e immutabile, tant’è che George rimarrà nuovamente solo in quel castello “maledetto”, invocando il nome della ex-moglie molto probabilmente lasciata a favore della più giovane e bella Teresa, quest’ultima tornerà ai suoi vecchi costumi e abitudini, abbandonando il marito nel momento del bisogno e “scappando” con un altro uomo e il criminale sarà costretto a rendersi conto in maniera fulminea della caducità e della solitudine, caratteristiche primarie della sua vita da delinquente, nonché dell’inutilità del suo ruolo di “agitatore”.

Non meraviglia la vittoria dell’Orso d’Oro al Festival di Berlino di “Cul de sac”,  visto che è girato in maniera molto interessante, con la mdp che non solo avvolge i protagonisti mostrandocene vizi e virtù (soprattutto i primi), ma li rende un tutt’uno con gli ambienti in cui si muovono e con gli oggetti che utilizzano. Questi ultimi hanno un’importanza decisiva nella comunicazione dei vari meccanismi che stanno alla base della storia, a partire dall’aquilone a cui George è morbosamente attaccato segno questo del suo “infantilismo”, sino ad arrivare alle uova di cui la casa è stracolma e che molto spesso sono acide e imputridite, così come i rapporti interpersonali tra le varie pedine che si muovono all’interno e all’esterno di questo enorme castello, teatro di una delle più grandi rappresentazioni teatrali: la vita.

 

VOTO: 8

 

 

 


 

CITAZIONE DEL GIORNO

 

"Che razza di uomo abbiamo difronte?" "Il migliore" (Il mucchio selvaggio)

 


LOCANDINA

 

15 commenti su “Cul de sac

  1. Un ottimo film! E va visto anche per il magnifico cast (Stander soprattutto, ma anche la Dorleac in una delle sue purtroppo rare interpretazioni prima della tragica scomparsa…).

    Ciao!

    Christian

  2. Strade perute, l’ho scoperto tardi, ma mi ha affascinata moltissimo.

    Alè, l’avevo già letto, comunque grazie mille!!

    Luca, io gli ho preferito, anche se di poco, L’inquilino del terzo piano e Rosemary’s baby.

    Christian, si, i protagonisti sono davvero molto bravi. Peccato per la Dorelac, già.

  3. Ma guarda un pò anche io ho visto questo film molto di recente. E pensavo meglio eh. Certo buon film, ma non tra i migliori di Polanski.

  4. l’avevo visto molti anni fa, non capivo bene tutto, ero giovane, ma capivo che era uno che sapeva fare film.

    grazie per avermelo ricordato.

  5. Al, secondo me invece è proprio un gran bel film, non solo esteticamente ma anche per quanto riguarda a tematiche e riflessioni che scatena.

    fm, di niente ^^

  6. Uno dei migliori film di Polanski dopo l’inquietante (e qui concordo con te) Inquilino del terzo piano e l’angosciante Rosemary’s baby. Ottimi anche Chinatown, Repulsion e Il coltello nell’acqua.

  7. Lo devo vedere per la prima volta proprio stasera, grazie alla tua bella recensione sono ancora più curiosa. Sinceramente per ora ho visto solamente Rosemary’s baby, Chinatown e L’inquilino del terzo piano (che è il mio preferito), ti farò sapere 🙂

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.