Eskalofrio

REGIA: Isidro Ortiz
CAST: Mar Sodupe, Jaime Barnatan, Andrés Herrera, Roberto Enrìquez, Junio Valverde, Berta Ros
ANNO: 2008

 

Santi è un ragazzino affetto da una problematica molto grave: non può entrare in contatto con la luce del sole e quindi non può vivere normalmente. Per questo motivo, insieme a sua madre Julia, decide di trasferirsi in un piccolo villaggio al nord della Spagna, dove la copertura dei monti non permette ai raggi solari di raggiungere potentemente il posto. Qui però cominceranno a susseguirsi delle morti agghiaccianti e per Santi sarà difficile rimanerne fuori.

Uscito in Spagna quattro anni fa e da noi mai distribuito, “Eskalofrio” comincia come una cosa, per poi rivelarsi un’altra e terminare, addirittura, in tutt’altro. Per rendere più chiaro l’assunto, basti far notare il fatto che le caratteristiche peculiari del ragazzo lo rendono simile ad un vampiro, tanto che presto cominceranno a spuntargli addirittura le zanne e, soprattutto, cominceremo – insieme agli abitanti del villaggio dove è ambientata la storia – a sospettare proprio di lui per le terribili uccisioni di povere vittime completamente smembrate. Il ragazzo teme sempre il contatto con la luce solare, tant’è che la pellicola si apre proprio con una sequenza onirica in cui Santi immagina di camminare di giorno e di essere totalmente bruciato dal sole. Ma non è in questa direzione, per fortuna, che vuole dirigersi l’opera, la quale subito, infatti, vira in una sorta di racconto teen horror in cui non soltanto ci impauriamo insieme ai protagonisti attraversando al buio dei boschi poco impraticabili e molto inquietanti, ma soprattutto siamo spettatori di una sorta di percorso di formazione compiuto proprio dal sedicenne al centro di queste angoscianti e terrificanti sparizioni notturne. Questa si rivela la parte migliore del film, dal momento che si gioca suggestivamente e intelligentemente con la contrapposizione luce-buio e con le apparizioni sempre più impressionanti della “creatura” colpevole del terrore disseminato nel villaggio. A tal proposito bisogna indubbiamente citare la sequenza nella quale il ragazzino dovrà vedersela con essa all’interno della propria abitazione nella quale si trova completamente solo e indifeso, dal momento che la madre si è assentata per uscire col padre, tornato dopo una lunga assenza. Quella tra giorno e notte, tra adolescenza ed età adulta, però, non è l’unica contrapposizione, dato che la condizione del protagonista e quella della “creatura” in questione, vengono proposte proprio come metafora dell’alienazione e della diversità, dapprima vista come emarginazione sociale, e poi come arma utilizzata per farsi spazio nel mondo, metafora rafforzata dalla presenza di un geko, compagno inseparabile del protagonista. Il punto di contatto tra i due personaggi, quindi, rende il tutto molto più sfumato e apprezzabile, anche se purtroppo poi ci avviamo verso un finale che, non soltanto delude dal punto di vista narrativo, ma soprattutto si contrassegna da un affastellarsi anche troppo esagerato di cliché e personaggi tagliati con l’accetta (il vicino di casa, l’ispettore, il marito, la nuova amica). Restano comunque le ottime atmosfere (soprattutto quando ci muoviamo di notte all’interno nei boschi, come nella lunga sequenza in cui i vari protagonisti tentano di catturare la “creatura”), la fotografia affascinante e il perfetto ritratto di una piccola comunità rurale, chiusa non soltanto dai monti, ma anche dall’arretratezza culturale e sociale.

Pubblicato su www.livecity.it

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