Febbre da cavallo

REGIA: Steno
CAST: Gigi Proietti, Enrico Montesano, Francesco De Rosa, Adolfo Celi, Catherine Spaack, Mario Carotenuto
ANNO: 1976
 
Mandrake, Er Pomata e Felice sono tre ragazzotti senza arte né parte che passano la maggior parte del loro tempo a scommettere sulle corse dei cavalli, organizzando truffe più o meno ingegnose per poter racimolare i soldi da puntare sui favoriti di turno. Puntualmente perdono all’ultimo secondo e sono costretti a fare i salti mortali per giustificarsi con fidanzate o creditori.
 
Commedia all’italiana che non ha perso la sua freschezza, il suo ritmo e la sua verve, questa firmata da Steno, padre di film capostipiti del genere come “Un giorno in pretura” o “Un americano a Roma”, completa una sorta di percorso sull’inarrestabilità dei romani e della romanità in generale. In “Febbre da cavallo”, infatti, è possibile appassionarsi ad una Roma frizzante, divertente, irriverente e irrefrenabile, fatta di personaggi macchiette come quelli mostrati nel film, e di fenomeni sociali non così sdoganati, come può essere la passione per il calcio, ma molto particolari e vivaci, come appunto quella per le corse dei cavalli.
Grande forza della pellicola, va detto, è sicuramente la sinergia che lega i componenti del cast, davvero straordinari nel dare vita alla girandola di rapporti interpersonali e di vizi e virtù che contrassegnano i protagonisti, a cominciare da un irresistibile Gigi Proietti nel ruolo del Mandrake, un indossatore con aspirazioni da attore, costretto a girare spot per mantenersi, salvo poi non ricordare una semplicissima battuta, e impossibilitato a portare a termine un rapporto sessuale con la sua fidanzata dopo aver perso le scommesse sui cavalli (quest’ultima è interpretata da una bellissima Catherine Spaack). Ad accompagnarlo c’è un imperdibile Enrico Montesano nel ruolo di Er Pomata, mammone che vive con nonna in pensione e sorella zitella (forse l’insistenza sull’alito puzzolente di questo personaggio è fin troppo insistita, ma è un peccatuccio che si perdona ad una commedia che ancora non ha ceduto agli imperativi volgari e triviali dell’era moderna) e che spesso è l’artefice delle sconfitte dei tre sfortunati. A completare il quadro arriva un mingherlino Francesco De Rosa nel ruolo del compassato Felice che pare non cambiare umore qualsiasi cosa accada e non interessarsi affatto delle beghe e dei problemi degli altri due. Al di fuori del trio si piazza il grande Mario Carotenuto, l’avvocato proprietario di Soldatino, un cavallo che comincia a vincere solo dopo che gli viene sottratta la biada, a causa dei ritardi nei pagamenti del suo padrone.
Insieme orchestreranno truffe più o meno ardite ai danni di alcuni poveri inconsapevoli, come ad esempio il macellaio Manzotin o un automobilista multato per motivi inesistenti da un Proietti vestito da vigile in occasione di uno spot pubblicitario (quello nel quale sbaglia continuamente battuta finale, una delle sequenze più divertenti del film) e arriveranno ad un finale rocambolesco, ma ovviamente bonario nei loro confronti. Perché sono sì degli scansafatiche, ma sono anche molto simpatici, bonaccioni e, alla fin fine, innocui.
Lo capisce persino il giudice, interpretato dal grande Adolfo Celi, che si occupa dell’accusa nei loro confronti di essersi sostituiti ad un famoso fantino francese per vincere una corsa, tentativo poi miseramente fallito. Giudice che, nel marasma più totale di giustificazioni e arringhe più o meno convincenti dei tre accusati e dell’avvocato, si rivela ancora più incallito di loro nella passione per la corsa dei cavalli.
“Febbre da cavallo” è un film che vive di indimenticabili gag, di battute divertenti (“–Ahò, c'hai 'na faccia…
Sì, perché si ce n'avevo due stavo all'Università… sotto spirito!”), di genuinità e semplicità, capace di intrattenere e far sorridere con la sola forza del talento degli attori, dell’inventiva e della parodia di una determinata società fatta di buoni a nulla e di irrecuperabili giocatori.
Del resto, una descrizione precisa dei protagonisti di questo film, viene data dallo stesso Proietti durante il processo che lo vede tra gli imputati: “Chi gioca ai cavalli è un misto, un cocktail, un frullato de robba, un minorato, un incosciente, un regazzino, un dritto e un fregnone, un milionario pure se nun c'ha na lira e uno che nun c'ha na lire pure se è milionario. Un fanatico, un credulone, un buciardo, un pollo, è uno che passa sopra a tutto e sotto a tutto, è uno che 'mpiccia, traffica, imbroglia, more, azzarda, spera, rimore e tutto per poter dire: Ho vinto! E adesso v'ho fregato a tutti e mo' beccate questa… tié!. Ecco chi è, ecco chi è il giocatore delle corse dei cavalli”.

Pubblicato su www.livecity.it

10 commenti su “Febbre da cavallo

  1. quando confesso di non averlo mai visto, i miei amici quasi mi ridono dietro…è che a me, cult o non cult, questo tipo di comicità non piace proprio!

  2. Bè se non è genere per te, allora non sei costretto a vederlo ovviamente. Però secondo me, questo tipo di cinema leggero e spensierato, se ben fatto come in questo caso, può dare molte soddisfazioni.

  3. non so come è considerato nel resto d'Italia, ma a Roma è considerato un cult! All'epoca dell'uscita (l'ha detto uno dei figli di Steno, quindi uno dei Vanzina) non incassò molto al cinema, poi riproponendolo moltissime volte ib tv (locali) è diventato quasi un cult

    Hamlet

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