Ferro 3

REGIA: Kim Ki-duk
CAST: Jae Hee, Lee Seung-yeon, Kwon Hyuk-ho, Joo Jin-mo.
ANNO: 2004

TRAMA:

Il giovane Tae-suk, sfreccia con la sua moto grigia per le strade della città e attacca volantini sulle porte di vari appartamenti per poi intrufolarsi in quelli in cui i volantini non sono stati ritirati, segno dell’assenza del padrone di casa. I suoi intenti non sono per niente cattivi, anzi, si diletta a fare il bucato, ad aggiustare gli oggetti rotti e a guardare la tv o ascoltare la musica. Un bel giorno, all’interno di un appartamento, nota (anche se in ritardo) la presenza di una bella donna, col viso tumefatto. Dopo questo incontro la sua vita non sarà più la stessa…

 


ANALISI PERSONALE

Arrivo con tre anni di ritardo a visionare questa stupenda, onirica, fascinosa e leggera pellicola del regista coreano Kim Ki-duk. Come spesso mi piace ripetere, però, meglio tardi che mai. E già perché Ferro 3, il nome di una mazza da golf tra le meno usate dai golfisti, è entrato di diritto e prepotentemente tra i miei film preferiti, quelli che non si dimenticano facilmente insomma.

La cosa che colpisce di più è sicuramente il totale silenzio dell’attore protagonista, bravissimo a comunicare sentimenti e stati d’animo con i soli sguardi e sorrisi a volte sornioni a volte dolci ed intensi. E’ l’unico protagonista del film a non spiccicare parola alcuna riuscendo comunque nell’intento di esprimere le più diverse e disparate sensazioni. Quindi un forte applauso metaforico se lo merita eccome. Non è da meno la donna in cui si imbatte, Sun-hwa, maltrattata dal marito e infelice della propria vita che comincerà a seguire il nostro silenzioso eroe nelle sue “scampagnate” all’interno di case vuote e temporaneamente disabitate. Tra loro nascerà un’amicizia che sfocerà in amore, contrassegnato da poetici silenzi e da sguardi profondi ed estremamente comunicativi del loro forte legame. Legame che va al di là delle parole o di stupidi discorsi, legame basato sulle immagini, sui sorrisi, sugli sguardi, sul tatto leggero e impercettibile.

Nel film non mancano, oltre ai momenti estremamente poetici e affascinanti, delle scene divertenti, come quando il protagonista passa di casa in casa fotografandosi accanto ai ritratti di famiglia o alle foto appese alle pareti, tra un pranzetto scroccato e l’altro.

Di particolare forza visiva e intensità è la scena nella quale il nostro Tae-suk, dopo aver visto Sun-hwa aggredita dal marito, colpisce ripetutamente l’uomo violento con una pallina da golf scagliata potentemente dal suo Ferro 3, accompagnato da uno splendido e sognante sottofondo musicale. (Alla fine, per una sorta di legge del contrappasso dantesca, al ragazzo toccherà la stessa sorte per mano del crudele e geloso marito).

Da questo momento in poi, i due ragazzi saranno inseparabili, sfrecceranno insieme per la città sulla consueta moto grigia, appenderanno insieme i volantini porta dopo porta, si intrufoleranno beatamente in diversi appartamenti: in quello di un fotografo di professione, in quello di un pugile che rincasando presto e trovando i due intrusi picchierà malamente il nostro silenzioso protagonista e infine in uno apparentemente vuoto ma abitato da due strani personaggi, un cadavere di un uomo anziano e un cagnolino, veramente brutto (consentitemelo). I due, daranno degna sepoltura all’anziano defunto e cominceranno ad abitare l’appartamento come una vera coppia, fino a quando il figlio dell’uomo morto, non arriverà a “guastare” il loro idillio, facendo arrestare Tae-suk con l’accusa, tra le tante, di omicidio e rapimento di Sun-hwa che sarà quindi costretta a tornare alla sua grigia e desolante vita matrimoniale.

In prigione assisteremo ad una sorta di trasformazione mistica del ragazzo, che riuscirà quasi a rendersi invisibile facendo arrabbiare molto il secondino che ogni volta lo picchierà malamente per il suo continuo nascondersi e sorridere sornionamente. Assistiamo anche agli allenamenti del ragazzo per assurgere a questa sorta di invisibilità, allenamenti durante i quali ci viene mostrata la mano di Tae-suk sul quale è dipinto un occhio, simbolo della finitezza dello sguardo umano che “arriva solo a vedere lo spazio di 180°” come dice il secondino in una delle sue incursioni della cella. Alla fine, non si sa per quale motivo, il nostro eroe sarà scarcerato e dopo essere andato a vendicarsi del comandante di polizia corrotto e violento e dopo essersi divertito a spaventare i padroni degli appartamenti in cui soleva intrufolarsi, torna dalla sua amata, senza farsi scorgere dal marito, ormai in grado di nascondersi allo sguardo umano quasi fosse un fantasma. Una delle scene più belle mai viste al cinema che mi ha causato la pelle d’oca e mi ha messo i brividi è quella in cui Sun-hwo, dopo aver visto il suo amato alle spalle del marito pronuncia le sue due prime parole del film: “Ti amo” e dopo abbraccia suo marito consapevole che alle spalle riceverà il bacio del suo grande amore.

Ma il film è contaminato da scene veramente intense e foriere di emozioni forti, come quando Sun-hwo, disperata per la carcerazione di Tae-suk, si reca in uno dei “loro” appartamenti e si accascia sola sul divano dove si erano dati il loro primo, delicatissimo e dolcissimo bacio col piede di lei poggiato su quello di lui.

Durante lo svolgimento del film, veniamo immessi, scena dopo scena, sequenza dopo sequenza, all’interno di svariati e affascinanti appartamenti di cui possiamo ammirare e perché no anche invidiare il bellissimo e a seconda dei casi, moderno o classico, arredamento. Ho apprezzato, inoltre, i paesaggi più o meno idilliaci sullo sfondo dei quali i due protagonisti si recano per delle passeggiate metafisiche durante le quali Tae-suk, lega una palla al tronco di un albero e la fa girare intorno con il suo Ferro 3. Passeggiate che ad un certo punto sfociano in un avvenimento tragico che però sembra essere dimenticato subito dai protagonisti: il ragazzo sbadatamente colpisce troppo violentemente la palla che si stacca dal suo “laccio” e colpisce il cranio di una donna in auto.

Ferro 3 è una favola metafisica sulla vita e sull’amore, quello non detto, quello fatto di silenzi profondi e di sguardi intensi. A volte non servono le parole per esprimere il dolore, la disperazione, l’angoscia, ma anche la curiosità, la voglia di vivere in libertà e l’amore.


Regia: 9
Sceneggiatura: 8,5
Recitazione: 9,5
Fotografia: 9,5
Colonna sonora: 8,5
Ambientazione: 9
Voto finale: 9

 

Difficile dire se il mondo in cui viviamo sia una realtà o un sogno



CITAZIONE DEL GIORNO

La gente buona ha bisogno di noi cattivi per il contrasto. (Greta Garbo da "Non tradirmi con me")


LOCANDINA


23 commenti su “Ferro 3

  1. Concordo con tutto quanto, compreso il voto finale.

    D’altro canto Kim Ki Duk è uno dei miei registi preferiti: “Ferro 3” è il primo esportato anche in Occidente per il grande pubblico, e da quello i successivi (per il grande successo di questa pellicola): La Samiritana, L’arco, etc.

    Sebbene queste tre siano pellicole meravigliose (“l’arco” è uno dei film più poetici e comunicativi che abbia mai visto, pur essendo senza dialoghi dall’inizio alla fine) l’apice il regista coreano lo raggiunge con alcuni dei suoi primi film. Su tutti non potete non vedere “Indirizzo sconosciuto”, poi ci sono “Bad guy” “L’isola” “Crocodile”… un regista versatile dalla comunicatività sconfinata, mai superficiale, commovente, straordinariamente indescrivibile (Se io avessi un blog gli dedicherei un post di mille pagine!).

    Concludo aggiungendo due cose su Ferro 3 degne di nota:

    La scena in cui il protagonista lega la pallina all’albero e la colpisce ripetutamente con la mazza: pur sapendo che non c’è possibilità che questa sfugga Kim crea un’ansia profonda nel nostro animo, tanto che ad ogni colpo viene da chiudere gli occhi e pensare “Oddio, adesso si stacca”: è un maestro impareggiabile nel creare una sensazione così forte con così poco. (Questa scena sarebbe da ricollegare ad una de “L’arco” in cui il vecchio mira la ragazza che dondola sull’altalena: chi l’ha visto sa di cosa parlo).

    L’ultima scena, sulla bilancia: le interpretazioni si sono sprecate…secondo voi perchè pesa 0? 🙂

    A presto. Bravissima Ale

  2. Io lo ricollegherei alla frase finale che il regista sornionamente ci ha propinato e che io ho scritto sotto l’ultima foto 😛

  3. kim ki duk è un grande e l’industria cinematografica orientale (soprattutto coreana) negli ultimi anni ci sta regalando delle vere perle. ferro3 è il suo film più riuscito

  4. C’è il momento per le cose moviementate e il momento per le cose poetiche…nn può essere sempre tutto movimentato, almeno a mio avviso ^^

  5. Trama strana e visionaria, una scommessa fare un film dove il dialogo è quasi assente ma tutto è basato sugli sguardi, sull’atmosfera, sui gesti e senza un attimo di noia. Si è totalmente coinvolti… e tante sono le domande che durante la visione ci poniamo (e non a tutte riusciamo a trovare una risposta): è possibile essere se stessi senza compromessi? la libertà è un’illusione? è così difficile essere compresi? il comunicare con le parole serve a qualcosa? in che tipo di società siamo costretti a vivere? la solitudine è veramente una condanna…?

  6. Ale, anch’io l’ho visto in ritardissimo (ben otto anni dopo!) e l’ho amato instantaemante come te. Che meraviglia, una storia costruita non sulle parole ma sulle immagini (e la rielaborazione di esse, che a differenza di come potrebbero apparire NON SONO STATICHE) e sui gesti significanti dell’uno verso l’altra e viceversa.

    Un film memorabile!

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