Hachiko – Il tuo migliore amico

REGIA: Lasse Hallström

CAST: Richard Gere, Joan Allen

ANNO: 2009

 

Il professore Parker Wilson in stazione inciampa casualmente nella gabbia del piccolo Hachi, perso distrattamente da un fattorino che lo trasportava. Incapace di lasciarlo solo lo porterà a casa con sé fino a diventarne un inseparabile amico, tant’è che il cane per due anni lo accompagnerà e aspetterà tutti i giorni in stazione all’andata e al ritorno dal lavoro. Quando però il professore verrà a mancare il cane non smetterà mai di aspettare il ritorno del suo amatissimo padrone.

 

Sono tanti i film “cinofili” incentrati sul binomio uomo/cane. Si passa attraverso vari generi, dal comico, al fantascientifico, all’horror, al sentimentale, fino a giungere al melodrammatico come nel nostro caso. Quello che più conta però parlando di “Hachiko – Il tuo migliore amico” (stendiamo un velo pietosissimo sul ridicolo e risibile sottotitolo italiano), è che si tratta del remake di un film giapponese del 1987 a sua volta ispirato alla storia vera di Hachi, un cane della razza akita che nel Giappone degli anni ’20 suscitò commozione e tenerezza per la sua straordinaria devozione al padrone, un professore universitario che morì lasciandolo solo ad aspettarlo in stazione, con la neve o col sole, per ben 10 anni (Hachi divenne così un vero e proprio eroe nazionale, un simbolo omaggiato con una sua statua di bronzo posta proprio nell’angolo della stazione in cui il cane attendeva invano il ritorno del suo più grande amico).

Nonostante sia a tratti stucchevole, a tratti ruffiano, a tratti scontato, non si riesce ad essere totalmente cinici e critici, proprio perché il protagonista è esistito e dimostra “fiabescamente” e se vogliamo anche retoricamente, che i sentimenti come l’amore, la devozione, la fedeltà, non hanno tempo o scadenze. Per carità, i difetti ci sono e si vedono chiaramente: la situazione familiare del professore è da cartolina, la colonna sonora è eccessivamente merlodrammatica, i dialoghi tra moglie e marito, o tra padre e figlia sembrano preconfezionati, il film è attraversato da buonismi eccessivi, ecc…Ma fatto sta che le espressioni del cane (il vero grande attore protagonista, spalleggiato da un volutamente dimesso Richard Gere che si “abbassa” umilmente e intelligentemente a fare da spalla all’amico canino) e la straordinaria storia che lo vede come protagonista assoluto, suscitano commozione e coinvolgimento nello spettatore, facendogli dimenticare o mettere da parte il palese fatto di trovarsi nel bel mezzo di una sapiente e calcolata trappola che il regista costruisce appositamente, lasciandoci progionieri più o meno consapevoli di un vero e proprio melodrammone strappalacrime.

Non mancano gli americanismi (il nipote che racconta la storia in classe, la moglie che dopo anni torna a visitare la vecchia casa, ecc…), ma solo una cosa resta: il grande faccione di questo straordinario cane che comunica la forza e l’eternità dei grandi sentimenti. E se solitamente le pellicole forzatamente melodrammatiche, retoriche, stucchevoli, in una parola sola, come già detto, ruffiane, hanno come unico risultato quello di irritare lo spettatore più smaliziato, in questo caso, nonostante si stia parlando di un film recante le caratteristiche suddette, bisogna davvero sforzarsi per irritarsi piuttosto che commuoversi, provare tenerezza ed emozionarsi. Certo se non vi piace rimanere “intrappolati”, allora non potrete che innervosirvi per gli innumerevoli espedienti coi quali Hallström quasi ci costringe a piangere a tutti i costi. Ma a volte, rimanere in trappole come questa non è poi tanto male e allora se abbandoniamo l’atteggiamento difensivo e ragionevole (per carità plausibilissimo), anche il più cinico e furbo degli spettatori potrà farsi trascinare dalle forti emozioni. Si tratta insomma di predisposizioni e prese di posizione. Avrà ragione chi si lamenterà delle “facilonerie” narrative ed estetiche (i primissimi piani del meraviglioso cane che riprendono le sue straordinarie espressioni tristi e malinconiche, le soggettive dello stesso in bianco e nero); così come avrà altrettanta ragione chi si confesserà toccato nel profondo dall’amore smisurato che il cane dimostrerà nei confronti del suo padrone, assumendo contorni umani, se non addirittura migliori degli umani. E alla fine del film, allora, chi non avrà versato almeno una lacrima non potrà considerarsi “umano”, o perlomeno non quanto Hachiko.

 

VOTO:

 


22 commenti su “Hachiko – Il tuo migliore amico

  1. Mi sono permessa di dare un’aggiustatina al voto. Col passare del tempo il gradimento della pellicola è scemato leggermente. Comunque rimangono salde le impressioni espresse all’interno della recensione.

  2. Ecco..tornato dalle vacanze…anche se vedo che qui qualcuno non si ferma mai..visto giusto l’altroieri questo hachiko…dunque..son d’accordo con tutti i difetti e "pregi" che sottolinei..riassumerei dicendo: storia commovente sceneggiata veramente con le chiappe.
    Deneil

  3. Durante la visione di questo film mi sono lasciata andare e in effetti rimanere indifferenti senza lacrimucce è impossibile soprattutto se si considera che si tratta di una storia realmente accaduta. Ma in fin dei conti una storia tenera e bella da sola non basta per fare un buon film.

  4. che cinismo del cazzo chi ha fatto la recensione e chi ha commentato…

    e' una storia bella ma semplice.. che sceneggiatura ci volevi?

  5. Mi pare semplice e facile elencarne i probabili difetti,che però in un'ottica decisamente industriale e di incassi sono gran pregi:un film gracile che si basa molto sul cane.Eppure me lo aspettavo ben peggiore. C'è una delicatezza reale nel rapporto tra padrone e cane,che poi è quella che tutti noi padroni di quattrozampe abbiamo con il nostro fedele amico,fratello,compagno.Si i soliti-perchè ci son sempre,che ci vuoi fare-diranno:è solo un cane e bla bla bla.Però per noi che ogni giorno li abbiamo di fianco cambia radicalmente la prospettiva.Pensate che il sottoscritto fino alla veneranda età di 29 anni aveva una paura folle e un disprezzo totale per questi animali,poi l'arrivo di Achille il mio cagnolino mi ha totalmente e profondamente cambiato.Sarà che in questi tempi non riesci a fidarti di nessuno,devastati dal cinismo spicciolo dei mediocri,sappiate che la nobilissima arte del cinismo richiede giganti,dalla trasgressione facilona,dal disimpegno nei rapporti,ecco che invece il cane è pressochè presente nella nostra vita con fedeltà e amicizia,di quelle che solo la morte può frenare.E allora come si può essere rigidamente fermi su punti di vista cinematografici,come si può giudicare un'opera sicuramente modesta ,ma anche così sinceramente coinvolgente?Ebbene sì,il sottoscritto stalinista di ferro e comunistaccio-accio-accio ,ha pianto per il finale intenso e perchè chiaramente il pensiero è corso al mio di cane.Che pirla!Si.si , assolutamente anche perchè raramente mi commuovo profondamente o forse le altre volte riesco a trattenere l'emozione forte e profonda attraverso mille barbatrucchi .Non me la sento quindi di far una critica al film,non mi interessa proprio.Lascio a chi non ha cani il lavoro di elencare i difetti,gli errori e tanto altro,lascio ai cattivisti da macdonald la lista delle ruffianerie e sdolcinatezze,per quanto mi riguarda ho solo visto un uomo,il suo cane e una grande storia di amore con la A maiuscola.
    Il vostro "critico" se la cava cambiando una vocale,da cinefilo a cinofilo e come direbbero gli Skiantos:Bau bau bebi!

    http://lospettatoreindisciplinato.blogspot.com

  6. si,la storia supera la mediocrità dell'opera-che sembra un telefilm-ma è l'emozione in sè,purissima e cristallina che secondo me supera la ragion critica.

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