Happy Family

REGIA: Gabriele Salvatores

CAST: Fabio De Luigi, Margherita Buy, Fabrizio Bentivoglio, Diego Abatantuono, Carla Signoris, Valeria Bilello, Corinna Agustoni, Gianmaria Biancuzzi, Alice Croci, Sandra Milo

ANNO: 2010

 

Un aspirante sceneggiatore comincia a scrivere una storia e a delineare i suoi personaggi. Durante le pause che si prende per staccare la spina o per riflettere, viene letteralmente assalito dai suoi personaggi che lo assillano con richieste e suggerimenti sulla trama e sulla storia.

 

Dopo lo “sporco” e drammatico “Come Dio comanda”, Salvatores torna al cinema con una pellicola dai toni decisamente più leggeri e spensierati, ma comunque non privi di un carico comunicativo e metaforico che il regista ha deciso di nascondere tra le risate e le assurdità. Tutto ruota intorno alla paura, anzi alle infinite paure, dell’uomo moderno, snocciolate nell’incipit dal sempre simpatico Fabio De Luigi. Ma il regista, tra le righe della narrazione, nasconde una sorta di critica alle paure cinematografiche di molti degli addetti ai lavori, che non si arrischiano ad addentrarsi in nuovi territori, adagiandosi sulle strade ormai conosciute e di sicuro successo. Di sicuro non si può dire che Salvatores non sia stato coraggioso con questo “Happy Family”, visto che si tratta di un’operazione inusuale che molto difficilmente accontenterà tutti i palati. Del resto le dichiarazioni iniziali sono chiarificanti: per mano del protagonista, l’aspirante sceneggiatore che si industria nella costruzione della storia narrataci in questa pellicola, Salvatores annuncia di voler fare un film d’autore, che però abbia anche grande successo di pubblico. In pochi, nel corso della storia del cinema, ci sono riusciti, ma molto probabilmente, aiutato da un cast sicuramente appetibile al grande pubblico, Salvatores potrebbe avvicinarsi alla meta. Sicuramente le aspirazioni non mancano, come dimostrano i riferimenti neanche tanto velati al cinema di Allen (che per carità, non viene nemmeno sfiorato nella sua ironia colta e nel suo sarcasmo affinato), ma soprattutto a quello di Wes Anderson che di ritratti di famiglie “strampalate” ne sa qualcosa. Ma anche in questo caso il risultato non è pienamente raggiunto, perché, pur provandoci, non riesce a fare dei particolari (costumi, suppellettili, ambienti), il tratto distintivo e portante della sua pellicola. Soprattutto uno dei personaggi rimanda al tipo di cinema del regista americano, trattasi del ragazzino di sedici anni, Filippo, che ha deciso di sposare la sua coetanea fidanzatina. I due dovranno dirlo ai rispettivi genitori: quelli di lui molto posati e a modo, quelli di lei un po’ inusuali e libertini (spicca su tutti Diego Abatantuono, sempre vestito con camicie floreali e sempre colto dal desiderio di fumare canne, anche se quest’ultimo espediente è sicuramente un po’ semplicistico nella sua reiterazione e nel suo voler strappare la risata a tutti i costi). Tutti loro, arricchiti da una forzatamente simpatica vecchina e da altri personaggi di contorno, formano il quadro disegnato da Ezio, il protagonista, che quando si prende una pausa dalla narrazione, viene subito richiamato al dovere con i personaggi che reclamano il proseguo della loro storia. Ecco che allora i personaggi inventati prendono vita all’interno dello schermo, fino poi ad uscirne letteralmente, quasi come il Buster Keaton di “Sherlock Jr”, che però nello schermo ci entrava. Sono forse questi i momenti più interessanti, proprio perché originali, di “Happy Family”, anche perché Salvatores per bocca di questi “personaggi in cerca d’autore” di pirandelliana memoria, fa una sorta di riflessione decisamente interessante sui vari meccanismi narrativi del nostro cinema, contrassegnato dalla smania di concludere tutte le storie in modo netto e deciso, con i soliti clichè che accompagnano questo genere di narrazioni e con tutti i difetti che ne conseguono. Certo, questi difetti, seppur spiattellati e in un certo modo dileggiati quasi affettuosamente, non sono del tutto assenti dalla pellicola (in primis la storia d’amore che nasce tra il protagonista e uno dei suoi personaggi, ma non solo), che però ha al suo arco molte frecce davvero “infuocate”: l’estrema attenzione alle ai colori (ci sono infatti dei momenti totalmente bianchi, altri totalmente rossi, altri totalmente verdi, a seconda delle situazioni e degli stati d’animo dei vari protagonisti), la cura particolare data ad ogni singola inquadratura (rimangono impresse quelle in ospedale quando uno dei protagonisti viene ricoverato per il suo cancro) e il rapporto dicotomico tra la Milano “sognata” (quella che il protagonista percorre giornalmente in bicicletta) e quella “reale” (quella che ci viene mostrata in bianco e nero durante il concerto al pianoforte di un’altra protagonista).

Certo è che alla fine, stando a quanto dimostrano tutti gli oggetti presenti nella casa dello sceneggiatore, e nonostante le sue dichiarazioni contrarie, traspare lampante un’altra considerazione “andersoniana” (guardare “Il treno per il Darjeeling” ponendo attenzione al personaggio interpretato da Jason Schwartzman per ricordarselo): qualsiasi scrittore, pur negandolo o semplicemente non ammettendolo, traspone su carta le sue esperienze di vita vissuta, le cose e le persone che lo circondano e che gli offrono degli spunti. E sicuramente questa non è un’eccezione, dato che lo sceneggiatore extra-diegetico e quello diegetico di “Happy Family”, avranno fatto esattamente la stessa cosa.

 

VOTO:

 

 

Pubblicato su www.livecity.it

15 commenti su “Happy Family

  1. io sono stato tranquillamente convinto per tutto il film che la roscia fosse jasmine trinca….. è identica, pure la voce. mah!

  2. In realtà che uno scrittore in fondo parla solo di sè stesso è un luogo comune abbastanza diffuso. In realtà scrive spesso delle proprie esperienze ma, da quanto ho verificato di persona, è ben più vero il contrario. Figurati che ne conosco più di uno che scrive per conto di autori anche abbastanza famosi…
    Anderson poi nei suoi film geniali ama giocare con gli stereotipi, con tutti quanti, da quelli familiari a quelli "filosofici", e non poteva mancare di mettere in scena una specie di parodia dello scrittore, cosa che nel contesto surreale dei suoi film riesce davvero a "cucire" insieme tutti gli elementi narrativi sparpagliati qua e là, compreso il cortometraggio d'apertura.

  3. Martin, secondo me è uno stereotipo che ha qualche fondatezza però…io l'ho provato in prima persona, ho scritto davvero moltissime cose nel corso degli anni, e anche se non me ne rendevo conto o non volevo farlo, anche un minimo spunto, un personaggio di quarto livello, che ne so, un lieve passaggio narrativo o qualsiasi piccolezza di poco conto, che magari all'inizio non notavo, in effetti era riconducibile a qualcosa che avevo vissuto io, o qualche persona che me l'aveva raccontato o cose di questo genere.
    Anche gli oggetti, o le ambientazioni o, non lo so, qualsiasi cosa, un tantino l'avevo già vista/sentita/vissuta/ecc…
    Certo, ovviamente non è la regola fissa di qualsiasi scrittore e di tutti gli scritti di uno stesso scrittore. Anche io ho scritto cose completamente avulse dalla mia esperienza personale, però molto spesso è capitato il contrario. Le influenze del mondo esterno è difficile tenerle alla larga dalla scrittura secondo me.

  4. Si, anche a me è piaciuto, però si potevano evitare le citazioni troppo esplicite e spiattellate, qualche espediente comico fin troppo "facile" e cose di questo genere. Però, tutto sommato, se fa guardà.

  5. Da applauso la prova di tutti gli attori e il monologo iniziale sulla "paura", ma il film non mi ha convinto: mi è sembrato tutto annacquato e poco plausibile. Da encomio comunque che Salvatores si rinnovi continuamente

  6. Personalmente l'ho adorato, questo film: squisitamente pirandelliano, con una sceneggiatura solida ed una regia esperta, un cast da urlo…mi sono divertito proprio tanto! ^^

  7. Si, la citazione pirandelliana è forse la più riuscita, perchè è sì lampante, ma non è gridata, suggerita, esposta letteralmente, come tutte le altre citazioni.

  8. Un film non convenzionale che mi è piaciuto abbastanza.
    Chiaramente di ispirazione pirandelliana, magari si potevano approfondire meglio i temi esistenziali, evitare certe banalità e approfondire ancora di più i personaggi…

    Un saluto e a presto!

  9. Sicuramente nel suo impianto narrativo e visivo non è convenzionale, però in alcuni espedienti comici lo è molto secondo me. Detto questo sicuramente è apprezzabile l'ispirazione pirandelliana, così come tutte le altre, che però a mio avviso sono fin troppo "gridate".

  10. finalmente un po' di tempo per dare una lettura al tuo blog..cominciamo da qui..mi sembra da dove mi ero fermato..mi era piaciuto molto questo happy family appena uscito dal cinema..a rileggerne adesso e ripensandoci non mi ha lasciato molto…certo molto curato autorialmente (come dici anche tu) ma nulla più..deluigi..lui lo ricordo con molto piacere!
    deneil

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