I Due Papi: la dimensione umana che travalica quella pubblica

Papa Benedetto XVI, affossato da alcune ombre che pesano sulla Chiesa e per le quali si sente in colpa, decide di abbandonare il suo ruolo e, nonostante la diversità di vedute, pensa che a sostituirlo dovrebbe esserci il cardinale Jorge Bergoglio, che richiama a Roma per una sorta di “colloquio”, proprio quando lo stesso Bergoglio gli aveva mandato una lettera di dimissioni. Un anno dopo questo incontro durante il quale i due si confrontano su molti argomenti, personali e non, Bergoglio viene eletto al posto di Ratzinger, presentandosi al mondo come Papa Francesco.

L’interesse per questa figura sembra ormai consolidarsi profondamente nello spettatore e negli addetti ai lavori, indipendentemente dalle posizioni religiose, perché dà modo di riflettere sulla dicotomia tra uomo pubblico e uomo privato, tra responsabilità e potere, tra luci e ombre che si stagliano su chi viene chiamato a ricoprire un ruolo al tempo stesso scomodo, iconico e universale.

Ci aveva già provato, con ottimi risultati, Nanni Moretti quando ha diretto Habemus Papam, rifacendosi ad un Papa immaginario che una volta eletto, sentendo forte il peso della responsabilità, si perdeva tra le strade di Roma alla ricerca di vecchie passioni come la recitazione e mescolandosi alla folla, lasciando il Vaticano in preda al delirio a causa della sua scomparsa. Recentemente, adottando lo stile che lo contraddistingue, anche Paolo Sorrentino con i suoi The Young Pope e The New Pope ci ha raccontato a suo modo aspetti particolari di una figura che mai avremmo pensato potesse essere dipinta come il regista ha fatto.

Adesso, con I Due Papi, distribuito su Netflix, arriva Fernando Meirelles che ha deciso di soffermarsi sulle figure reali dei due Papi, Benedetto XVI e Francesco, in uno dei momenti cruciali della storia della Chiesa e della storia tout court. Dando una interpretazione sicuramente romanzata di quello che è trapelato e che è stato dichiarato circa la decisione di Joseph Ratzinger che ha scosso il mondo intero (non succedeva dal 1200 che un Papa decidesse di abdicare, essendo un ruolo che per antonomasia viene ricoperto fino alla morte), Meirelles ha descritto le due figure dando loro un taglio molto personale e soffermandosi sulla loro umanità più interiore, piuttosto che su quello che rappresentano istituzionalmente.

E questo, infatti, è il più grande punto di forza di una pellicola che, molto probabilmente a causa delle origini dell’autore, per molta parte della sua durata si sofferma in maniera pedissequa, didascalica e a tratti noiosa sul passato di Jorge Bergoglio in Argentina per creare il giusto affresco nel quale inserire la pennellata migliore del film e cioè la confessione che avviene tra lui e Ratzinger, ma che non fa lo stesso con Benedetto XVI, riuscendo ad emozionare potentemente circa i suoi tormenti interiori, senza appunto raccontarci per flashback cosa lo ha portato ad avere suddetti tormenti.

Tralasciando questo, però, nonostante ci si potesse aspettare un film più “istituzionale”, I Due Papi riesce ad essere oltre che emozionante (soprattutto grazie alle superbe interpretazioni dei perfetti Anthony Hopkins e Jonathan Pryce, entrambi somigliantissimi ai rispettivi originali), anche divertente e leggero, a dispetto della materia trattata. E così i due protagonisti, oltre a confrontarsi su conservatorismo e innovazione all’interno della Chiesa, ponendoci di fronte a interessanti e illuminanti punti di vista e considerazioni, si ritrovano anche a condividere gioie e dolori molto personali, a partire dai rispettivi enormi sensi di colpa (per Bergoglio a causa di una sorta di collaborazionismo con la dittatura argentina, per Ratzinger a causa della sua posizione non proprio netta sulla pedofilia all’interno della Chiesa), passando anche per piccole gioie come condividere una pizza, guardare una partita di calcio, provare un passo di tango argentino o suonare una ninna nanna al piano.

Di tutti i momenti più “intimi” di questo film che si lascia guardare senza troppi intoppi (ad esclusione dei suddetti flashback riguardanti Bergoglio), quello che rimane davvero impresso, lasciando un’impronta notevole, è proprio quello della succitata confessione: Ratzinger si lascia andare totalmente e il suo discorso non ha bisogno di essere esplicitato e sottolineato. Basta l’espressione di Hopkins a farci venire un vero e proprio colpo a cuore, anche se si tratta sicuramente di un momento non proprio aderente alla realtà dei fatti. Del resto, come ha detto Albert Einstein: “La logica vi porterà da A a B. L’immaginazione vi porterà dappertutto“.

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