I prigionieri dell'oceano

REGIA: Alfred Hitchcock
CAST: Mary Anderson, William Bendix, John Hodiak, Tallullah Bankhead, Walter Slezak, Henry Hull, Heather Angel, Hume Cronyn, Canada Lee
ANNO: 1943
 
Una nave inglese viene colpita dai bombardamenti di un sommergibile tedesco. Alcuni superstiti si ritrovano a confrontarsi a bordo di una scialuppa sul da farsi con il tedesco raccolto in mare che poi si scopre essere il comandante del sottomarino nemico.
 
Uno dei film più coraggiosi, geniali e sorprendenti del Genio, “I prigionieri dell’oceano” rappresenta una scommessa vinta, così come lo descrisse Francois Truffaut, visto che il maestro riuscì nell’intento, impensabile all’epoca (ma se vogliamo anche oggi) di girare un intero film a bordo di una scialuppa in mezzo al mare, senza staccarsi mai per un attimo da questa ambientazione e dai nove personaggi che si muovono in essa. La scommessa è vinta, ovviamente, non solo per la temerarietà dell’idea, ma per la perfetta riuscita della stessa, dato che Hitchcock riesce a rendere prigioniero anche lo spettatore che si ritrova incastrato insieme ai nove protagonisti nel luogo che per antonomasia, invece, fa venire in mente un grande senso di libertà: l’oceano. Il senso di claustrofobia e imprigionamento che il regista, dunque, riesce a creare ha un che di straordinario considerando proprio il luogo scelto per trasmetterlo. Altro grandissimo punto di forza della pellicola sono senza ombra di dubbio gli straordinari, pungenti, ironici, sarcastici dialoghi, che in puro stile hitchcockiano, danno pepe alle vicende narrate e rendono il tutto molto più ritmato, coinvolgente e stimolante di quanto si possa pensare in relazione alle parole, piuttosto che alle azioni. Ma “I prigionieri dell’oceano” è proprio un film che si fonda e fa affidamento in primis sulle parole, sui pensieri e sulle considerazioni che si nascondono in esse, piuttosto che sulle azioni, sui fatti veri e propri. Infatti non succede quasi nulla all’interno del film, visto che siamo spettatori delle continue schermaglie tra i vari protagonisti sul da farsi non solo con il tedesco fatto salire a bordo (straordinaria l’inquadratura che lo vede per la prima volta in scena, con il primo piano sulle sue mani che si arrampicano alla scialuppa), ma anche sulle divergenze di opinioni, credenze religiose ed estrazione sociale esistente tra loro.
Nato prima di tutto come film di propaganda antinazista, così come molte delle pellicole di quegli anni ancora scottanti sotto questo punto di vista, “I prigionieri dell’oceano”, infatti, a detta dello stesso Hitchcock è un film che voleva dimostrare come la “perfezione” dei tedeschi, i loro continui successi, fossero dipendenti soprattutto dall’incapacità dei componenti della parte opposta di unirsi realmente, mettendo da parte le incomprensioni. Ed è proprio questo che vuole raccontare in questo piccolo gioiellino  registico che riesce a giostrare perfettamente l’unicità dell’ambiente e l’universalità dei tipi descritti: l’unione come elemento di forza e la coesione contro un nemico comune (impressionante al riguardo la scena del linciaggio ai danni del viscido comandante tedesco).
Potrebbe sembrare un messaggio un po’ schematico, oltre che retorico, ma ciò che riesce a sviare da questo apparente buonismo, è proprio la consueta “cattiveria” di Hitchcock che fa subito morire un neonato (non c’è spazio per l’innocenza, a dimostrazione che anche quelli ritenuti buoni, gli antinazisti, hanno comunque caratteristiche negative), che mostra la rozzezza e le cattive maniere di alcuni, oltre alla strafottenza e la maleducazione di altri. Rimane impressa, su tutti, la bellissima e puntigliosa protagonista, una giornalista attaccata oltremisura alle sue cose (che spassosamente lo spettatore vedrà man mano cadere in mare, a partire dalla sua telecamera, passando per la pelliccia, la coperta, la macchina da scrivere e un preziosissimo bracciale), donna che pensa alle apparenze anche in situazioni estreme come questa e che si scopre poi essere una mantenuta. Non sono da meno neanche gli altri protagonisti che, nonostante siano alquanto stereotipati, proprio per rappresentare l’umanità nei suoi difetti più pregnanti, riescono a raccontare e descrivere la situazione socio-politica che Hitchcock ha voluto fotografare, allontanandosi dal più banale e scontato propagandismo, e costruendo una storia che è anche un modo per riflettere non solo sul binomio nazismo-democrazia, ma anche sul valore etico di determinate scelte (da qui tutta la disquisizione sul da farsi con il comandante tedesco, se giustiziarlo subito in quanto esponente della parte opposta, o se consegnarlo alle autorità competenti), suggellato, tra l’altro, dall’entrata in scena, altamente ironica e significativa al tempo stesso, di un secondo personaggio tedesco che, nuovamente, mette in subbuglio l’unità del gruppo.
E’ proprio in questi film basati sulla forza delle idee e sulla volontà di mettersi alla prova con sfide registiche che esulavano dalla consuetudine, che il grande Hitchcock ha dimostrato la sua enorme maestria di regista e la sua spiccata tendenza ad allontanarsi dalle banalità, non solo narrative, ma anche formali e stilistiche. “I prigionieri dell’oceano” non fa eccezione, anzi, è forse uno dei massimi esempi della genialità del regista, capace di sorprendere e conquistare anche solo con una barchetta in mezzo al mare.

Pubblicato su www.livecity.it

8 commenti su “I prigionieri dell'oceano

  1. una delle mie grandissime passioni sono i cosidetti cinema di regime.Mi piace studiare la propaganda.Reputo quindi le opere nate con questi intenti assai interessanti,anche perchè non si può nè si deve sfuggire ad essa.
    Detto questo il film da te recensito è davvero bellissimo,anche se non è tra quelli più trasmessi del popolare regista britannico.Sopratutto è il ritmo delle battute e la descrizione dei personaggi che coinvolge  e colpisce di questa pellicola.

  2. film dei meno noti del mago del brivido, eppure uno dei più personali e particolari. A parte la bravura di riuscire a tenere alta l'attenzione dello spettatore per un'ora e mezza in un ambiente ridottissimo come quello di una zattera, ciò che mi ha colpito maggiormente sono soprattutto le implicazioni sociali del dramma: gli esseri umani pacifici che si scannano fra loro, che non esitano ad uccidere il prigioniero (l'unico che se ne tiene fuori è quello di colore), insomma la bestialità dell'essere umano che viene fuori nelle situazioni più estreme.

  3. Si, infatti, è per questo che non lo ritengo poi così buonista come all'epoca qualcuno lo descrisse. Perchè va bene che il nemico è il tedescone cattivo, ma neanche gli altri ci fanno sempre e comunque una bella figura. Della serie che l'innocenza è estranea proprio al genere umano (tant'è che, ripeto, il neonato viene fatto fuori al primo colpo).

  4. si sa,mica che l'essere umano in una situazione di pericolco reale o percepito se stia a pettenare le bambole-citando un amatissimo modo di dire della brianza.

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