Il profeta




REGIA: Jacques Audiard

CAST: Tahar Rahim, Niels Arestup, Adel Bencheriff, Hichem Yacoubi, Reda Kateb, Jean-Philippe Ricci, Gilles Cohen

ANNO: 2010

 

Malik El-Djebana è un diciannovenne arabo condannato a sei anni di carcere. Entrato in prigione da ingenuo e ignorante, ne uscirà da colto e navigato. Per riuscire nella sua scalata attuerà un piano strategico consistente nell’amalgamarsi ai due gruppi dominanti del carcere, i corsi e gli arabi, e ad imparare a servirsene per i suoi scopi.

 

Dopo il “Nemico Pubblico n. 1” di Richet con il volto di Vincent Cassel, dalla Francia arriva un altro straordinario film di genere, stavolta firmato da Audiard con il volto dell’esordiente e al tempo stesso sorprendente Tahar Rahim. Questo “Il Profeta” è un film che entusiasma moltissimo, non solo perché si incastra alla perfezione tra due generi molto interessanti come il gangster-movie e il “carcerario”, riuscendo in entrambi gli ambiti ad assumere una qualità davvero molto alta, ma anche perché lo fa in maniera davvero molto originale e canonica al tempo stesso. Difficile intuire l’ossimoro se non dopo aver visionato il film, in cui vediamo molte delle regole dei suddetti generi prendere vita sullo schermo sia a livello stilistico, che a livello registico e narrativo. Il tutto però viene accompagnato da squarci quasi “filosofici” e metafisici che non mancano di stemperare la crudeltà e la violenza mostrata (sono molte le sequenze che lasciano col fiato sospeso per il realismo con cui sono costruite, una su tutte quella del primo omicidio del ragazzo ai danni di un arabo, armato di una lametta nascosta nella bocca) in più di un’occasione. Non c’è un attimo di noia ne “Il Profeta”, nonostante la sua lunga durata, così come non c’è modo di lamentarsi di momenti poco interessanti o scarsamente influenti ai fini della trama o degli intenti comunicativi ed espressivi del regista. Ecco che allora lo spettatore riesce ad apprezzare oltremodo molte delle soluzioni adottate da Audiard per raccontare questo percorso di ascesa del piccolo criminale che con coraggio, determinazione e soprattutto scaltrezza e furbizia (anche se non mancano i cedimenti come dimostrano le continue apparizioni della prima vittima del ragazzo che compare nella sua cella guidandolo in una sorta di “visioni” da cui il soprannome di “profeta”), riuscirà a liberarsi dalle maglie che lo hanno reso schiavo delle due fazioni contendenti, ma soprattutto a sperare di poter ricominciare con una nuova vita (esemplare al riguardo l’ultimissimo primo piano che lo ritrae fuori dalle mura del carcere).

Sei anni sono lunghi da passare, soprattutto se si è costretti a lavorare per un boss corso senza nessuno scrupolo e nel frattempo si vuole affermare la propria indipendenza costruendo una personale rete di spaccio e di connessioni con i componenti della comunità araba, quella a cui il ragazzo sente maggiormente di appartenere, pur non essendo un musulmano praticante. E questi sei anni, Malik, cerca di passarli nel migliore dei modi, dove per migliore in un ambiente come quello carcerario contrassegnato da un’estrema criminalità e distinzione razziale (metafora poi che si può allargare anche al di fuori delle pareti del carcere), si intende quello più consono per sopravvivere e non farsi completamente sopraffare. Ecco che Malik, riuscirà in questo suo intento, pur sporcandosi le mani e vendendo la sua anima. Straordinaria al riguardo la sequenza in cui fa una strage a bordo di un’auto blindata, il tutto ripreso con una celerità ed un’istantaneità che ci fa sembrare come se l’avvenimento avesse luogo “in presa diretta”. Una sensazione che più volte colpisce lo spettatore, coinvolgendolo oltremodo nelle vicende all’interno e all’esterno del carcere, grazie anche ad una serie di personaggi di contorno scritti e interpretati davvero magistralmente, a partire dal suddetto boss corso, un uomo che suscita sdegno, ma anche timore e paura (sia nel protagonista che di rimando nello spettatore) e che alla fine, paradossalmente, racchiuso in una magistrale sequenza che lo vede ormai solo in mezzo ai “nemici”, arriva a far provare addirittura pietà e compassione. Altro personaggio che crea una sorta di empatia con lo spettatore, tralasciando ovviamente il protagonista che pur nei suoi comportamenti negativi è quasi giustificabile seguendo quanto dice anche il sottotitolo italiano del film “uccidi o sarai ucciso”, è l’amico conosciuto in carcere, il ragazzo che una volta uscito metterà su famiglia, ma anche un giro di spaccio di droga e che poi verrà sopraffatto dal cancro, senza poter attuare nessuna strategia, così come Malik contro i suoi sopraffattori, per sconfiggere il suo nemico.

Con la telecamera di Audiard, spesso tremolante ma sempre implacabile, che segue da vicino tutti i cambiamenti di Malik e la sua crescita culturale e non (funzionalissimi i primi piani che ci mostrano tutti i segni sui volti dei protagonisti), siamo immessi a viva forza in questo carcere sporco e corrotto che risulta essere per il ragazzo, ma non solo, una vera e propria scuola di vita e di morte.

 

VOTO:

 


13 commenti su “Il profeta

  1. Come entrare in galera da semi innocente e uscirne boss indiscusso. Forse la storia nella sua completezza non sta troppo in piedi, altra cosa sarebbe stato se il protagonista fosse uscito di galera "solo" come affiliato ad un potente clan. IL PROFETA resta comunque un film molto bello e curato nei dettagli. Mi permetto di far notare una cosa: Quando al protagonista viene chiesto il risultato di una partita di calcio di SECONDA divisione francese, lui risponde fornendo il risultato di Auxerre-Sochaux. Entrambe le società negli ultimi anni hanno militato in pianta stabile nella PRIMA divisione francese. Forse il regista le "odia" talmente tanto che ha voluto relegarle nella categoria inferiore. Fabrizio

  2. Non conoscendo neanche una parola del dialetto corso, non sono in grado di dirti nulla. Posso dirti che quando parlavano in corso il tutto era abbastanza comprensibile. fabrizio

  3. Fabrizio, non capendone nulla dell'argomento, non me ne ero minimamente accorta. Però è una bella chicca!

    Alè, sfortunatamente questo non sono riuscita a vederlo "in italiano", per cui me lo sono goduta in lingua originale e sicuramente credo che doppiato perderà moltissimo.

  4. A mio avviso uno dei più bei film dell'anno cinematografico 2009 (solo in Italia esce  ora); se si tralasciano gli inserti profetici dei carbiatti e , almeno in parte, la figura del fantasma compagno di cella che appaiono assolutamente fuori luogo, la regia è bellissima, capace di descrivere con grande efficacia e forza le dinamiche interne al carcere che tendono a ricreare un ambiente simile a quello che il malvivente è uso frequentare fuori. La parabola di Malik di per sè non è cosa particolarmente originale, ma è descritta  senza mediazioni e pudori.
    Se non erro in Italia è distribuito con i dialogfhi in corso originali e con i sottotitoli (tra l'altro si capisce benissimo).

    Missile

  5. non è un capolavoro, ma merita.
    attori bravissimi e Malik diplomato a pieni voti nella scuola del crimine (e Audiard bravissimo regista)

  6. L'ho visto iera sera, gran bel film.
    Soprattutto perchè non guardi mai l'orologio e non ti accorgi che siano passate due ore e un quarto. Straordinario l'attore che interpreta il boss corso Luciaini.

    Ma alla fine il corso sembra una variante del sardo, piccola nota linguistica…

  7. Bruno, è vero, il corso era abbastanza comprensibile perchè sembrava un italiano dialettizzato (non avevo però compreso che fosse simile al sardo). Comunque bravissimo l'attore che interpreta Luciani, ma anche il protagonista secondo me.

  8. Si si, non volevo sminuirlo.
    Ma "Luciani" ha uno sguardo che ti gela il sangue, bravissimo !
    Mi sono un poco documentato ed effettivamente il corso è molto affine al sardo, con parecchi influssi liguri a causa dei 2 secoli di dominio genovese…

  9. Ancora una volta sono d'accordo con la tua recensione. Anche a me il film è piaciuto tantissimo. Secondo me però il ruolo delle apparizioni della prima vittima non rappresenta un cedimento del film. Leggo le apparizioni come espressione della coscienza del protagonista e il rapporto che esiste tra coscienza e potere. Finché il protagonista è ancora in fase di crescita è soggetto apparizioni (e cioè è ancora in contatto con la propria coscienza), nel momento in cui ha ormai superato la soglia di non ritorno nella sua evoluzione criminale le visioni scompaiono. Quasi a dire (ma è una lettura tutta mia forse) che il potere è inconcilibile con la coscienza.
    Inoltre secondo me è magistrale la scena finale del film: è una sintesi dell'ascesa del protagonista.
    Daniele

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