Il solista




REGIA: Joe Wright

CAST: Robert Downey Jr, Jamie Foxx, Catherine Keener, Tom Hollander

ANNO: 2010

 

Il giornalista del Los Angeles Times, Steve Lopez, per caso si imbatte in un senzatetto prodigioso nel suonare un violino a due corde, Nathaniel Ayers. Interessandosi a lui scopre che in passato ha frequentato la prestigiosa Juliard e che è finito per le strade a causa della sua schizofrenia. Riuscirà a cavarne una storia molto seguita dai suoi lettori, ma soprattutto instaurerà con lui un autentico e profondo sentimento di amicizia.

 

Dopo le epopee sentimentali di “Orgoglio e pregiudizio” ed “Espiazione”, entrambi film in costume apprezzati da pubblico e critica, Joe Wright, regista inglese che sa ben maneggiare la macchina da presa, ha deciso di cimentarsi con una storia moderna dai contorni quasi favolistici, ambientata in una metropoli come Los Angeles, molto distante dai “teatri” nei quali si svolgevano le sue pellicole precedenti. Il risultato non è del tutto soddisfacente, soprattutto se comparato agli altri due film, ma bisogna dire che le difficoltà e i rischi di caduta in questo caso erano sicuramente maggiori. “The Soloist”, tratto dal romanzo autobiografico del giornalista Steve Lopez, infatti, non solo è una storia vera, ma è anche la storia di un senzatetto con un grande talento, entrambi elementi base di qualsiasi “americanata” che si rispetti. Wright cerca di allontanarsi dall’”americanata” ma non sempre ci riesce scadendo più volte nello stucchevole soprattutto quando si sofferma sul musicista che quasi in trance comincia a suonare tra le strade di Los Angeles, con tanto di inquadrature dall’alto che riprendono la frenesia delle strade percorse da decine di automobili, ma al tempo stesso attraversate dal volo di colombe. Anche nel voler porre l’accento sul problema dei senzatetto nelle grandi metropoli come Los Angeles, Wright calca un po’ troppo la mano, finendo addirittura per essere didascalico come quando alterna filmati in tv che mostrano il dilagare della guerra nel mondo contrapposti poi a ciò che succede nelle strade di queste città dimenticate o ignorate da tutti, contrapposizione che viene più volte sottolineata da numerosi allargamenti di visuale che vanno dalla piccolezza del protagonista che si muove col suo carretto pieno di cianfrusaglie alla maestosità degli edifici alle sue spalle. Nonostante l’insistenza non solo registica, ma anche di sceneggiatura e colonna sonora, nel voler emozionare a tutti i costi anche con facili espedienti, il risultato che si ottiene non è proprio quello desiderato, tant’è che la prima sensazione che la pellicola trasmette è proprio quella di freddezza, di mancato coinvolgimento nelle vicende narrate. Riescono a raggiungere questo obiettivo solo i due attori protagonisti che hanno il volto dei talentuosi e navigati Robert Downey Jr (ancora una volta nel ruolo di uno scrittore-giornalista, così come gli è successo sia in “Zodiac” che in “Guida per riconoscere i tuoi santi”) e Jamie Foxx (che dal piano di “Ray” è passato al violoncello di Ayers), capaci entrambi di trasmettere tutta la straordinarietà e al contempo la dolcezza di questa storia che dimostra un’umanità variegata e profonda nascosta nelle persone più differenti e lontane tra loro. Certo il voler insistere sui primi piani dei senzatetto compagni di Nathaniel, costringendoci ad osservare i segni della loro alienazione dal resto del mondo è un ulteriore prova del fatto che si è voluta percorrere la strada più semplice e convenzionale per raccontare questo micromondo così particolare e nascosto. Fatto sta che la pluralità di temi proposti (la solitudine privata del giornalista che sta naufragando anche in campo lavorativo, il talento musicale come ricchezza dell’uomo, la schizofrenia e il fenomeno dei senzatetto), non è stata ben calibrata finendo per non dare l’adeguato spessore e la giusta attenzione a ciascuno di essi. Una pellicola incompleta per certi versi e poco misurata per altri, che comunque riesce a farsi seguire con interesse per arrivare alla fine di questa parabola sicuramente istruttiva che però non ha un vero e proprio lieto fine, perlomeno non quello americano fatto di casa, automobile e lavoro; ma che ci restituisce il valore della felicità insita nell’esprimere totalmente e senza condizionamenti, sociali e non, la propria essenza e la propria libertà.


VOTO:

 


Pubblicato su www.livecity.it

4 commenti su “Il solista

  1. Ma diciamo che in Espiazione mi era piaciuta veramente tantissimo la regia, qui è più impersonale e più ruffiana se vogliamo, ma è anche colpa della storia e della sceneggiatura, bisogna dirlo.

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