Il sorpasso

REGIA: Dino Risi

CAST: Vittorio Gassman, Jean-Louis Trintignant, Catherine Spaak, Luciana Angiolillo, Claudio Gora, Luigi Zerbinati, John Francis Lane, Linda Sini

ANNO: 1962

Bruno gira per una Roma deserta a causa del ferragosto con la sua Lancia Aurelia, alla ricerca di avventura e libertà. Si imbatte nel giovane Roberto, timido studente universitario, che passerà due giorni con lui all’insegna del divertimento e della spensieratezza.

Inutile sprecare energie alla ricerca di aggettivi per descrivere “Il sorpasso”. Questa è una di quelle volte in cui si può usare senza timore la parola capolavoro. Trattasi di un vero e proprio pioniere del road-movie di formazione qui in Italia, oltre che di un massimo e straordinario esemplare di quella commedia all’italiana che ci ha regalato così tante pellicole indimenticabili. La fusione tra questi due generi, inusuale per l’epoca, ha dato vita a questo film che partendo dall’incontro tra due persone molto diverse in quanto ad estrazione sociale, età e personalità (differenze che si fanno emblema delle diverse “italie” dell’epoca), in realtà arriva a regalarci una precisa e profonda fotografia della nostra società di allora, quella del boom economico, delle stagioni estive, quella fatta di gente come Bruno, al tempo stesso genuino e “arrabbattone”, e di gente come Roberto, ligio al dovere e eticamente irreprensibile, proteso verso il raggiungimento di uno status sociale ben determinato. Nel mezzo un bel po’ di “figurine” tutte molto ben delineate che superano egregiamente il rischio di macchietta e caricaturizzazione (cosa che, ahinoi, avviene ai giorni d’oggi quando ci accostiamo a questo genere di pellicole) e rappresentano alla perfezione vari comportamenti tipici, dei veri e propri tipi universali appunto. Ecco comparire la famiglia di Roberto con un cugino che ne rappresenta l’evoluzione negativa, tant’è che è proprio attraverso i pensieri del giovane studente, altro espediente innovativo per il genere, che riusciamo a concentrarci sulle sue aspirazioni e i suoi desideri e su come però si scontrino con la realtà meschina della loro eventuale esplicazione. Ad aggiungersi a questo parterre davvero variegato arriva la figlia quindicenne di Bruno, disposta a sposare un uomo più anziano non per amore ma per sicurezza economica e professionale, salvo poi rendersi conto di apprezzare maggiormente il “tipo” alla Bruno, sfaccendato e non impegnato, ma spontaneo e mai ipocrita (“Almeno tu, non cambiare”, gli dirà infatti verso la fine del suo viaggio). Con piglio quasi documentaristico, poi, Risi ci accompagna per mano in una sorta di visuale ampia e precisa dell’epoca, focalizzando l’attenzione sulle spiagge laziali con tutte le sue “pedine”che si muovono al ritmo del twist e sulle mode musicali di allora che accompagnavano ogni momento della vita delle persone (per la prima volta si utilizzano brani molto famosi dell’epoca come quelli di Vianello o Modugno). Grande merito di Risi, e dei co-sceneggiatori, tra cui Ettore Scola, è quello di aver suddiviso in tappe davvero molto emblematiche il viaggio di Bruno e Roberto (entrambi al tempo stesso oggetto di simpatie e antipatie da parte dello spettatore, in una sorta di mescolanza di aspetti positivi e negativi che li rendono estremamente sfaccettati e non monodimensionali), con le varie soste che i due effettuano inframmezzando le folli corse a bordo dell’Aurelia che ben rappresentano il desiderio di libertà che contrassegna Bruno e di stupore che man mano si impossessa di Roberto. Le strade e i luoghi percorsi, allora, non solo rappresentano il teatro dell’evoluzione del rapporto tra i due (e di rimando di tutto ciò che essi archetipicamente rappresentano), ma anche il luogo in cui è possibile essere testimoni degli usi e dei costumi (spesso vagamente parodiati o criticati) dell’epoca presa in esame. Entrambi i protagonisti, infatti, sono registi e al tempo stesso attori del processo evolutivo della società in cui vivono, come dimostrano i differenti approcci di ognuno dei due alle diverse situazioni in cui vengono coinvolti e alle diverse categorie sociali con le quali entrano in contatto, come quella borghese o sottoproletaria. Entrambi i protagonisti a bordo di una macchina di lusso, emblematicamente ridotta male, attraversano metaforicamente tutta l’Italia di allora e ne registrano le contraddizioni. Il finale drammatico, apparentemente in distonia con il carattere principale della pellicola, è un’ulteriore esplicazione degli intenti comunicativi della stessa, uno sguardo pessimistico sul futuro della società italiana.

Racconto di un progresso sociale ed economico (il titolo stesso richiama questo concetto), “Il sorpasso” è arricchito anche dalle straordinarie interpretazioni dei due attori protagonisti (un Vittorio Gassman davvero incontenibile e un Jean-Louis Trintignant perfetto nel ruolo del timido indeciso) e da una serie di dialoghi, battute e considerazioni che riescono contemporaneamente nell’intento di far sorridere e riflettere (esemplare quella che riguarda l’infanzia considerata come l’età migliore solo perché non si ricorda più).

Un film, insomma, che non soltanto è una perfetta commedia all’italiana, non soltanto è un imperdibile road-movie, ma che, soprattutto, risulta essere una sorta di trattato antropologico e sociologico di un paese ripreso in uno dei suoi periodi storici più importanti e significativi.

 


Pubblicato su www.livecity.it

8 commenti su “Il sorpasso

  1. A me Modugno mi piace sempre, questo "Uomo in frac" me fa impazzì, perché pare 'na cosa de niente e invece c'è tutto: la solitudine, l'incomunicabilità, poi quell'altra cosa, quella che va di moda oggi… la… l'alienazione, come nei film di Antonioni. Hai visto "L'eclisse"? Io c'ho dormito, na bella pennichella…

    idolo

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