Incontro con David Cronenberg: quando la genialità diventa follia

Nonostante il cospicuo ritardo è impossibile irritarsi durante l’attesa di uno dei più grandi cineasti viventi e quando finalmente arriva sul palco con un’aria umile e disponibile, trattenere l’emozione è impossibile. Tra domande improbabili con preamboli assurdi del tipo “M’illumino d’immenso quando guardo le sue pellicole”, abbiamo modo di pendere dalle labbra del regista canadese che risponde esaurientemente ed intelligentemente – oltre che spiritosamente – a molte domande.



Uno dei chiodi fissi della sua filmografia è la trasformazione del messaggio in medium. C’è sempre un corpo che si trasforma, anche nelle sue ultime pellicole. E’ un percorso che continuerà a lungo?
“Penso gli uomini siano gli unici animali uin grado di pensare e di sperare di poter essere diversi, di poterlo immaginare. E questo può avvenire in differenti maniere. Per me questa cosa è naturalmente interessante, è una cosa che appare incoscientemente in ogni mio film”.

“Sono molto interessato all’idea di fare qualcosa di nuovo, di non usuale. Curare la regia di un film è come dirigere una grande nave, un vero e proprio transatlantico. Un’altra cosa che mi interessa molto fare è collaborare con i musicisti delle mie opere. Nei film di solito la musica è una cosa che viene alla fine, ma in alcuni casi come per esempio per il mio film La mosca, la musica venne prima di tutto. E’ molto difficile creare una colonna sonora e per questo io cerco sempre di creare una via più sfot per i miei collaboratori. Vivere a Parigi e dirigere l’opera è stata un’esperienza grandiosa”.

Quando è morto Stanley Kubrick, si disse che Eyes Wide Shut fosse incompleto per via del mixaggio. Che importanza hanno per lei i suoni, le atmosfere, la colonna sonora?
“A Montreal, molti anni fa incontrai Bernardo Bertolucci che stava girando “Il conformista”. Il montatore gli mostrò quanto si potesse lavorare sul film, anche in post-produzione. Si possono cambiari singoli elementi della pellicola, soprattutto con le nuove tecnologie. Il suono per me è ciò che rende tridimensionale un film, ciò che gli dona spazio e dimensione. “Stereo”, il mio primo film non aveva affatto colonna sonora ed era molto disturbante perchè ciò rendeva il film bidimensionale. Il suono dà solidità, tutti i suoni sono diversi e trasmettono sensazioni diverse. Se Kubrick non era coinvolto in questo aspetto di Eyes wide shut, allora si tratta di una pellicola incompleta. Si può distruggere un film nel mixaggio del suono, possono stravolgersi le battute, persino le interpretazioni”.

Dopo essersi occupato per molte pellicole della mutazione e trasformazione fisica, è passato ad interessarsi all’invisibile. Il suo cinema è diventato più mentale. Continuerà a lavorare sulle linee invisibili dell’inconscio umano?
“Quando dice invisibile, presumo che voglia dire astratto e non letteralmente “non visibile”. Ci sono concetti che non è possibile filmare, ma bisogna trovare una visuale per mostrare questi concetti astratti. Per me si tratta del corpo umano, ho cominciato da lì. Io comunque non ho mai pensato a me sotto questo punto di vista, questo è solo un modo di approcciarsi della critica nei miei confronti”.

Al contrario di molti altri registi della sua generazione, lei non ha ottenuto lo stesso successo di pubblico. Le dispiace non essere popolare?
“Una volta Oliver Stone mi disse: “Ma non ti fa rabbia rimanere ai margini?”. Sinceramente è una cosa che non mi interessa, tutto quello che voglio è fare i miei film ed esprimere quello che voglio esprimere”.

Molti dei suoi film sono tratti da romanzi. Sta anche per uscire da noi un suo romanzo. Di cosa si tratta, ce ne può parlare?
“No. No, davvero. E’ stata un’esperienza interessante. Una volta una giornalista mi chiese: “Ha mai pensato di scrivere un romanzo?” “Si, ci penso solo da 15 anni”, le risposi. Sono in una fase molto delicata, non posso parlarne.”

Quali sono i suoi scrittori preferiti?
“Molti, moltissimi. Amo tanto gli scrittori russi come Dostojevsky, ma anche tutti quelli da cui ho tratto i miei film, come Borroughs”.

Quanto deve trasformarsi un attore per poter essere apprezzato da lei?
“Ognuno ha il proprio modo di lavorare. Io come regista posso solo dare delle direttive, ma il mio compito è far sentire agli attori che possono esprimere loro stessi. In genere i miei attori sanno già quello che devono fare. Non devono preoccuparsi di essere umiliati. Tra me e loro si crea un rapporto di fiducia, è una cosa quasi fisica. Ho fatto l’attore anche io qualche volta e fare il regista è una cosa completamente diversa. Non si tratta di una trasformazione magica, io sono molto collaborativo, non dico mai loro cosa fare o non fare.”

Pubblicato su www.livecity.it

11 commenti su “Incontro con David Cronenberg: quando la genialità diventa follia

  1. Ragazzi non vi dico la sensazione di trovarmi a due tre metri proprio di fronte ad uno dei miei miti. Cioè il cuore mi si è fermato per un paio di secondi credo. Comunque un’esperienza che mi porterò dentro per sempre, credo.

  2. Ah che peccato. Sono arrivato ad un metro da Cronenberg ma non sono riuscito a prendere i biglietti. Brutta organizzazione alla biglietteria del festival. Ma domani e martedì rimedio.

  3. Che esperienza deve essere stata assistere alla conferenza di Cronenberg! Perché vivo così lontano da Roma e venezia???
    Ciao, Ale

  4. Ragazzi finalmente e purtroppo sono tornata a casa! Comunque non invidatemi troppo che poi mi succedono brutte cose eh? Presto scriverò un articolo serio e uno meno serio con le frivolezze per raccontare questa esperienza per me davvero fantastica.

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