La donna del ritratto

REGIA: Fritz Lang
CAST: Edward G. Robinson, Joan Bennett, Raymond Massey, Don Duryea
ANNO: 1944
 
Uno stimato criminologo rimasto in città dopo la partenza di moglie e figli per le vacanze, passa una notte molto particolare: fermatosi ad ammirare il ritratto di una donna, se la ritrova alle sue spalle e si fa convincere ad uscire a prendere qualcosa da bere e poi ad andare nel suo appartamento. Qui l’uomo verrà assalito dall’amante dell’avvenente signorina e per difendersi sarà costretto a pugnalarlo con delle forbici. Nascondere il cadavere e non attirare i sospetti della polizia sarà molto difficile, soprattutto quando un terzo personaggio farà la sua comparsa per ricattare i due complici dell’omicidio.
 
Nonostante appartenga al periodo americano del regista tedesco Fritz Lang, “La donna del ritratto” porta con sé molto dell’espressionismo che contrassegna l’arte cinematografica del suo paese d’origine. Attraversato da atmosfere surreali e oniriche, accompagnate da una splendida fotografia che gioca abilmente con le luci e le ombre e da un’ambientazione prevalentemente notturna, “La donna del ritratto” è un grande noir che coinvolge e affascina non solo per le caratteristiche succitate, ma anche per la caratterizzazione dei personaggi, soprattutto il protagonista magistralmente interpretato da Edward G. Robinson, e per il dilemma etico che lo contrassegna. Come rapportarsi alla decisione presa dal professore di sbarazzarsi del corpo e continuare come se niente fosse? E’ possibile condannare totalmente questo uomo comune, nel quale lo spettatore può facilmente immedesimarsi, per un omicidio commesso in preda al terrore di perdere la propria vita? Insomma, non è facile rapportarsi eticamente con quanto viene narrato nella pellicola, visto che man mano che il tempo passa e che gli indizi vengono a galla, i due complici sconosciuti scendono sempre più negli “inferi”, anche a causa di uno spregevole ricattatore nei confronti del quale non ci sarà altro da fare se non continuare ad uccidere… Laddove sembra che il tutto stia per terminare in maniera beffarda, punitiva e moralistica nei confronti dell’atteggiamento tenuto dal protagonista, Lang ribalta completamente le carte in tavola, forse spinto dalla produzione a non proporre un finale così cinico e crudele. Il risultato, seppur apparentemente imposto, è quello non solo di aver evitato il pericolo di demonizzazione del male a tutti i costi, ma, paradossalmente, di mostrare quanto il male a volte possa avere un fascino tutto particolare, tanto da indurre l’uomo a sognarlo come un’avventura appassionante, seppur pericolosa.
Parlare di sogno, ovviamente, non è un caso, dato che sin dall’inizio con una strizzatina d’occhio di classe il regista ci regala un’importante inquadratura con il protagonista che parla al suo uditorio e la lavagna alle spalle sulla quale campeggia il nome di Freud. Ed è proprio la coscienza dell’uomo comune messa a contatto con le aspirazioni più recondite ad essere raccontata in questo film. E’ da quando la donna si avvicina quasi sinistramente al protagonista, comparendo come un fantasma riflessa sulla vetrina nella quale è esposto il suo ritratto, che ci accorgiamo dell’estrema straordinarietà degli eventi che stanno per susseguirsi sullo schermo. A partire dal fatto che la bellissima donna si interessi così tanto ad un uomo di mezza età non così avvenente, passando per l’estrema sbadataggine di un criminologo nel condurre i sospetti dell’amico ispettore di polizia su di lui (mostra apertamente il graffio che si è fatto sul luogo in cui ha nascosto il cadavere poi ritrovato, accompagnando l’amico in ricognizione sul luogo del ritrovamento lo precede dirigendosi direttamente sul punto in cui aveva lasciato il cadavere, e via dicendo), arrivando alla crudele decisione di ammazzare anche il ricattatore, proveniente da un uomo prima di allora mite e onesto.
E’ inutile, allora, indignarsi per il finale solo apparentemente deludente, visto che per tutto il film Lang non fa altro che condurci per mano verso una determinata interpretazione dei fatti. Inoltre la soluzione narrativa da lui adottata è raccontata in un sublime momento registico che, senza stacco di montaggio alcuno, ci porta dalla condizione onirica del protagonista al ritorno vero e proprio alla realtà.
“La donna del ritratto” è uno dei più classici e indimenticabili esponenti del cinema noir che si fa apprezzare per tutti gli aspetti succitati e si fa ricordare anche con un sorriso grazie alla simpatica ironia che accompagna le battute finali del film, quando il protagonista, ancora una volta fermo ad ammirare il ritratto che ha scatenato il tutto, viene avvicinato da un’altra bella donna, ma fugge via a gambe levate, invocando quella saggezza che per tutto il film, invece l’aveva abbandonato.
Saggezza che, invece, contraddistingue l’abile mano registica di un magnifico Fritz Lang qui ad una delle sue prove più suggestive e in qualche modo visionarie.

Pubblicato su www.livecity.it

9 commenti su “La donna del ritratto

  1. Lang è stato un grandissimo Maestro,basti citare solo M ad esempio
    Questo film è perfetto e sopratutto che grande periodo quello:il falcone maltese,il bacio della morte,e tantissimi altri.W il noir!

  2. Il falcone maltese!!! Che capolavoro! Comunque si M è un film immenso, ma anche questo noir di Lang si difende egregiamente direi.

  3. Lang non mi ha mai deluso,pensa ad esempio a quel capolavoro de Il Grande Caldo,con Glenn Ford.Film violentissimo e feroce-per l'epoca,ma la cattiveria di Lee Marvin fa ancora la sua scena-oppure al noir Dietro la porta di cui non ho capito il finale.
    Grande regista,ma anche grande epoca.Facci caso dal 40 al 70 ogni paese del mondo ha donato capolavori e maestri come fosse antani!

  4. Uno dei (tanti) capolavori del Lang americano, uno dei miei registi preferiti di sempre.
    Concordo nel rimpiangere quegli anni!

    Ciao
    Christian

  5. film a dir poco geniale, col quale Lang ci conduce nel profondo del nostro inconscio, facendoci quasi "desiderare e sognare il male" come dici tu…e io ho letto il beffardo finale quasi come una presa in giro dello spettatore, un modo per farci rendere conto di quanto ci fossimo immedesimati nel protagonista, di quanto fossimo preoccupati di essere arrestati. Ed infatti chi non tira un sospiro di sollievo quando scopre che, alla fine, si tratta di un sogno?

  6. Adoro il genere Noir, con il suo inconfondibile B/N
    Pure il successivo "La strada scarlatta" con gli stessi protagonisti è stupendo !!!
    I capolavori di Lang sono davvero tanti, da "Metropolis" in poi

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