La donna scimmia

REGIA: Marco Ferreri
CAST: Ugo Tognazzi, Annie Girardot
ANNO: 1964
 
Antonio, che vive a Napoli di espedienti vari, fa casualmente la conoscenza di Maria, una donna completamente ricoperta di peli. Capisce di aver trovato la sua gallina dalle uova d’oro e decide di esporla al pubblico come fenomeno da baraccone, come una leggendaria donna scimmia scoperta in una fittizia esplorazione nelle foreste africane. Per poterla tenere con sé sarà costretto a sposarla e quando la donna rimarrà incinta qualcosa andrà storto per gli affari di Antonio, anche se non per molto…
 
Uno dei film più rappresentativi del cinema allegorico e metaforico di Ferreri, “La donna scimmia” risulta molto interessante e coinvolgente proprio per i sottotesti che lo attraversano e che strisciano potentemente fino alle menti degli spettatori, intrattenuti nel frattempo da una serie di trovate narrative che raggiungono volutamente il grottesco nel raccontare il cinismo e la meschineria dell’essere umano.
Tramite la storia di questo squattrinato che sfrutta la povera donna per guadagnare sempre più soldi, in realtà ci viene raccontata tutta un’umanità dalla quale molto probabilmente nessuno di noi è escluso. Perché è difficile riuscire a capire chi sia il vero mostro, al di là del fatto che si può escludere ovviamente l’innocente donna-scimmia che ne ha solo le apparenze. E’ Antonio, lo sfruttatore, o sono tutti quelli che accorrono in massa a vedere la donna rinchiusa in una gabbia all’inizio, o la ragazza succinta a metà film, o la salma imbalsamata alla fine? Con un pionierismo non indifferente, infatti, Ferreri ha dipinto perfettamente una società che oggi ci sembra più vivida e reale che mai, travolti come siamo da un estremo voyerismo e da un’attenzione al morboso che non ha eguali.
Tranciato e spezzato in maniera criminale dalla censura di allora “La donna scimmia” rappresenta anche una pesante critica alle ipocrisie e alle assurdità della morale cattolica, così come dimostrano i vari interventi degli esponenti di quel mondo, soprattutto quello in cui una suora accetta di far andare via Maria con Antonio a patto che la sposi, nonostante sia a conoscenza degli abusi dell’uomo nei confronti della ragazza. L’importante, insomma, è mantenere la facciata ed essere puliti agli occhi degli altri, anche se all’interno del nucleo familiare avviene di tutto. Del resto è proprio l’istituzione del matrimonio ad essere presa di mira dal regista che ce ne mostra la vacuità e, soprattutto, la falsa consistenza. Ci si sposa, spesso e volentieri, per motivi utilitaristici o perché costretti dalla società, anche se non si prova amore e rispetto per l’altra persona. Altro grave taglio, un vero e proprio scempio che colpisce l’anima e la vera essenza della pellicola, è quello che riguarda il controverso finale, stravolto nella sua natura sarcastica e cattiva e reso melenso, buonista e retorico fino alla dissacrazione vera e propria dell’opera d’arte, a causa di una scelta facile e poco coraggiosa del produttore Carlo Ponti che impose questa decisione infelice. Laddove Ferreri ci aveva lasciato amaramente con un Antonio ancora sfruttatore della sua famiglia, nonostante la tragedia, si è voluto concludere il tutto con un lieto fine che capovolge il senso della pellicola.
Non risparmia nessuno, come sempre, Ferreri e ci racconta questa storia inusuale e coinvolgente ponendo tutta la sua attenzione sui due personaggi principali, lasciando sullo sfondo un’ambientazione volutamente indefinita, proprio perché a partire dallo studio delle due personalità si è in grado di allargare lo sguardo e di abbracciare non più il particolare, ma il generale. Del resto se non ce lo dicessero non ci accorgeremmo che da Napoli i due si trasferiscono a Parigi per lavorare in un night club. Perché non importa il luogo di provenienza o di arrivo, ciò che importa è come ci si comporta, come si vive in qualsiasi luogo.
Come sempre fantastico Ugo Tognazzi, riesce a dare tutte le giuste sfumature al suo personaggio, un po’ cialtrone, un po’ meschino, un po’ sfaccendato, un po’ italiano insomma. Anche la Girardot è perfetta nell’esprimere tutta l’ingenuità e l’incapacità di opporsi e di difendersi di Maria, anche se quando si raggiungono determinati limiti (Antonio addirittura pensa di cederla ad uno scienziato che vuole farla “accoppiare” in cambio di soldi), assume una fierezza non indifferente.
Del resto è la dignità quella che sembra mancare ad Antonio ed essere, invece, vivamente presente in Maria. Una dignità che pare quasi essere in via d’estinzione, posseduta piuttosto dalla donna scimmia, che dall’”umano” Antonio e da tutti coloro che accorrono per non perdersi un così inusuale spettacolo.

Pubblicato su www.livecity.it

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