La maschera di cera 1933 Vs La maschera di cera 1953

La giornalista tutto pepe e lo scultore "pazzo"

Un artista che scolpisce la cera creando dei personaggi davvero molto veritieri, subisce l’attacco del suo socio che decide di dare fuoco al loro laboratorio, contenente tutte le statue, per riscuotere i soldi dell’assicurazione. Scampato all’incendio l’artista continuerà a svolgere il suo lavoro, stavolta perfezionato dal fatto che le cere non sono più completamente scolpite da lui, che ha perso l’uso delle mani, ma sono ricalcate sui cadaveri di alcune delle sue vittime.  A intralciare i suoi loschi affari arriva una giornalista molto intraprendente.
Un horror davvero molto interessante, soprattutto dal punto di vista visivo e scenografico, grazie soprattutto all’utilizzo del colore, non proprio usuale nel 1933, trattato con la famosa tecnica del Technicolor.
A rendere inquietante e angoscioso il film, che di per sé non è proprio confacente agli standard attuali dei film horror (giustificato in questo dalla sua veneranda età ovviamente), sono proprio le ambientazioni e il modo in cui il regista, quel Michael Curtiz che tutti ricordiamo per "Casablanca", riesce ad incorniciarle donando loro delle atmosfere espressioniste e macabre. Ecco che allora tutto lo studio dello scultore riesce in qualche modo a farci avere qualche sussulto, con le immancabili scale a chiocciola e gli anfratti segreti. Anche gli esterni non scherzano, con un’attenzione alle strade buie e alle ombre proiettate sui muri delle case che dimostra un lavoro certosino e approfondito riguardante proprio la creazione della suspance e del timore.
Anche perché, dal punto di vista prettamente narrativo l’attenzione del regista e dello sceneggiatore è rivolta più che altro alla figura sbarazzina e ammiccante della giornalista, interpretata dalla biondissima Glenda Farrell passata poi alla storia come l’attrice in grado di snocciolare centinaia di parole al minuto, che per non perdere il lavoro e soprattutto per dimostrare al capo col quale è sempre in attrito di valere ancora qualcosa, comincerà a ficcare il naso nel lavoro dello scultore. Questi, interpretato da un inquietante Lionel Atwill, ha poco spazio per esprimersi, seppur non manchino i momenti in cui il regista non perde occasione per mostrarcene la natura ambigua e sospettosa, fino ad arrivare al momento propriamente terrificante in cui una ragazza, la fidanzata di un suo nuovo aiutante (interpretata da Fay Wray che poi diventerà famosa per la sua interpretazione in "King Kong"), scoprirà che anche il suo volto è costituito da una maschera di cera che nasconde sotto una faccia completamente deturpata dalle fiamme dell’incendio che lo videro protagonista.
Interessanti anche tutti i personaggi di contorno, a partire dal milionario sospettato dell’omicidio di una sua vecchia fiamma, in realtà assassinata dallo scultore, che poi finirà con l’innamorarsi proprio della giornalista che lo tirerà fuori di prigione. Di qui una serie di dialoghi brillanti e divertenti da tipica screwball comedy che si rispetti ("La conosco da 24 ore e mi sono già innamorato!" "Oh, in genere ci mettono di meno, ma la perdono, non è un bel periodo per lei" "No, non scherzo, sono pazzo di lei!" "Io direi che è solo pazzo" "Così non mi crede? Glielo dimostro: vuole sposarmi?" "Di quant’è il suo patrimonio?" "Non saprei, un sacco di soldi" "In questo caso potrei anche farci un pensierino"). Non sono da meno nemmeno il suddetto capo-redattore, e l’indifesa e ingenua amica della giornalista che finirà tra le grinfie dello scultore che vuole utilizzarla per riprodurre la cera della sua amatissima Maria Antonietta.
Un horror d’altri tempi che sicuramente farà storcere il naso ai teen-ager in cerca di frattaglie e spargimenti di sangue (che per carità sono sempre apprezzabili se però accompagnati anche da una certa sostanza), ma che non mancherà di conquistare i veri amanti del grande cinema.


L’artista maledetto nel vero senso della parola

Il plot sostanzialmente rimane lo stesso: c’è lo scultore che "impazzisce" in seguito al tradimento del suo socio che ha dato fuoco alle sue amatissime opere e che, non potendo più utilizzare le mani per lavorare, escogita un metodo alquanto discutibile per ridare vita ai suoi capolavori: uccidere qualche povero ignaro e utilizzare il suo cadavere per le sue creazioni. Al posto di Lionel Atwell, però, stavolta abbiamo il mitico Vincent Price, qui alla sua prima interpretazione horror dopo anni nell’avventura e nel dramma, che costituisce un vero e proprio valore aggiunto alla pellicola. Manca del tutto la figura della giornalista che molto probabilmente stemperava eccessivamente la componente orroristica della pellicola. Compare invece in primo piano una delle vittime dello scultore, che poi prenderà il volto di Giovanna D’Arco, fidanzata proprio con il vecchio socio in affari, anch’egli poi brutalmente assassinato. L’altra figura femminile, protagonista di un finale quasi totalmente rispondente a quello dell’originale, sarà la fidanzata del nuovo aiutante, nonché ex-coinquilina della suddetta vittima.
Questo "La maschera di cera", che arriva esattamente vent’anni dopo l’originale e ventidue anni prima dell’ultimo remake che ne è stato tratto, si fa apprezzare anche e soprattutto per la straordinario talento istrionico e sornione di Vincent Price, in grado di dare vita a tantissimi personaggi (tra cui questo "artista maledetto") davvero indimenticabili. Non manca il richiamo ad una componente quasi metacinematografica presente, seppur in maniera più velata, anche nell’originale. Trattasi dell’insistenza del socio in affari dello scultore nel pigiare l’acceleratore sulla creazione di opere sempre più macabre e "spettacolari" in modo da attirare una maggiore fetta di pubblico. Inutile dire che il discorso può estendersi direttamente al cinema, e in particolare a quello horror, in cui più si spettacolarizza la violenza e più si ottengono successi di botteghino. Evidentemente Curtiz inizialmente e De Toth con questo film, hanno voluto percorrere strade probabilmente più tortuose, ma a conti fatti più apprezzabili.
Ecco che allora anche in questo bellissimo remake, le scenografie e le ambientazioni assumono un’importanza essenziale, come dimostra il primo piano-sequenza che apre la pellicola in cui ci vengono mostrate tutte le statue dello scultore e come dimostrano successivamente vari momenti ad alto tasso "adrenalinico" come l’inseguimento del mostro ai danni dell’indifesa ragazza (che gli ricorda la solita  Maria Antonietta, come nell’originale) tra le strade deserte e bue della città.
Un altro horror poco patinato, seppur girato sorprendentemente in 3D (fu uno dei primi, in effetti), in modo forse da utilizzare al meglio il carattere "spaventoso" delle sculture di cera (che nell’originale in realtà erano degli attori che tentavano in tutto e per tutto di rimanere totalmente immobili pur non riuscendoci sempre), "La maschera di cera" del 1953 non fa rimpiangere affatto l’originale, pur comunque non surclassandolo.
Una cosa alquanto rara da poter dire quando si parla dei remake horror, ma non solo, dei giorni nostri.

Pubblicato su www.supergacinma.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.