L'assassinio di un allibratore cinese




REGIA: John Cassavetes

CAST: Ben Gazzara, Timothy Carey, Seymour Cassel, Morgan Woodward

ANNO: 1976

 

Cosmo Vitelli, gestore e padrone di un night club a Los Angeles, dopo aver estinto i suoi debiti con un usuraio, si ritrova a dovere estinguere un debito di gioco di di 23.000 dollari con una banda di mafiosi, che lo costringono a portare a termine l’omcidio di un allibratore cinese.

Primo gangster-movie di Cassavetes (a seguire ci sarà “Gloria – una notte d’estate”), “L’assassinio di un allibratore cinese”, è anche il primo film del regista, ad esclusione del convenzionale e mainstram “Gli esclusi” che si allontanava dal suo stile e dalla sua idea di cinema, in cui “succede qualcosa” nel senso che notiamo la presenza di un canovaccio più corposo e lineare rispetto alle sue grandi pellicole che lo hanno reso inimitabile, quali “Ombre”, “Volti” o “Una moglie”, in cui in realtà succedeva tutto ma non succedeva niente.

Cassavetes è nato e si è formato come autore e regista negli anni della Nouvelle vague francese e questo è ravvisabile nel suo modo di girare e di dirigere gli attori. Sin dalle prime pellicole il suo intento primario era quello di “buttare un’occhio sulla realtà”, facendo ricorso a mezzi come una regia al servizio dell’attore che a sua volta aveva piene libertà espressive e interpretative, avendo anche la fortuna di cominciare e finire a girare la pellicola quasi in tempo reale, e di avere quindi una sensazione di familiarità coi personaggi da interpretare. Facendosi assertore e promotore di un realismo cinematografico che puntava ad un pieno coinvolgimento emotivo ed all’immedesimazione dello spettatore, Cassavetes era in grado di creare suspance e attenzione anche senza fare ricorso a facili espedienti come abusati colpi di scena o facili e lineari scelte registiche.

E’ questo anche il caso di “L’assassinio di un allibratore cinese”, in cui tutta l’attenzione del regista è posta sulla figura di questo personaggio completamente avvolto dall’ambiente in cui vive e per cui vive. Personaggi e ambienti sono dunque i protagonisti assoluti dell’occhio attento e scrutatore di Cassavetes che con questa pellicola crea la giusta atmosfera tesa e allucinante, decisamente perfetta per descrivere il percorso “infernale” che il protagonista (un Ben Gazzara in stato di grazia) è costretto a percorrere. La notte è l’altra grande protagonista del film, l’unica in grado di offrire a Cosmo la possibilità di trovare soddisfazione nel suo lavoro, che sembra quasi essere anche la sua vita. Fa riflettere il riferimento finale all’immedesimazione della persona col personaggio, quando il capo-comico del suo gruppo di ballerine si lamenta del fatto di non godere mai della riuscita degli spettacoli, ma di risentirne quando questi vanno male. La risposta del padrone sarà quantomai illuminante: “Devi imparare bene la parte e recitare il tuo personaggio”. Una frase che viene ripetuta più volte e che ci fa comprendere come forse molto spesso due realtà come la vita e il cinema (o il teatro) vanno a confondersi (così come tenta di dimostrare il cinema di Cassavetes), ed è così che Ben Gazzara viene chiamato ad interpretare il ruolo di Cosmo e quest’ultimo viene costretto, suo malgrado, ad interpretare il ruolo di terribile assassino, anche se le conseguenze non saranno rosee, proprio perché non “aveva imparato bene la parte”. Cassavetes si sofferma sui particolari, incastrando con la mdp i suoi personaggi, relegandoli negli angoli e mostrandocene tutta la loro essenza, così come avviene con Cosmo all’interno del suo locale o nelle strade di Los Angeles che percorre inizialmente con sicurezza e poi con un’incertezza sempre più incalzante.

Altro grande tratto distintivo di questa prima parte della carriera registica del grande Cassavetes, è la mancanza di veri e propri finali, così come dimostrano i tre-film capolavori succitati che terminavano lasciandoci in sospeso sulla sorte, tragica, felice o dubbia, dei loro protagonisti. Lo stesso avviene in “L’assassinio di un allibratore cinese”, in cui la telecamera si stacca dal volto e dal corpo di Cosmo uscito dal suo locale completamente sanguinante dal fianco in cui è stato colpito dalle guardie del corpo del mafioso cinese che ha ammazzato. Cosa ne sarà di lui, che è riuscito a portare a termine il lavoro senza sapere che poi sarebbe stato braccato dai suoi stessi mandanti oltre che dagli “amici” della vittima? Allo spettatore non resta altro che “accontentarsi” del fatto che Cosmo si è finalmente reso consapevole dell’essenza dei suoi rapporti interpersonali (gira sempre in compagnia di tre delle sue dipendenti del night, ma viene realmente amato solo da una di esse), del suo lavoro, della sua esistenza, senza conoscere però gli esiti e il futuro della stessa.

 


6 commenti su “L'assassinio di un allibratore cinese

  1. Cassavetes è una certezza… non se ne parla mai abbastanza dei suoi film, quindi questa recensione è molto utile, brava!

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