Little Joe: inquietudine e paranoia cadenzate da ritmi tribali e da colori pastello

Alice è una scienziata che sta studiando una nuova tipologia di pianta in grado di rendere felici i suoi proprietari a patto che questi la trattino con amore, dialogando con lei e dandole affetto. Un giorno, così, decide di regalarne un esemplare a suo figlio Joe, chiamandola in suo onore Little Joe. Ma da un certo momento in poi, il comportamento del ragazzino, così come quello dei suoi colleghi, comincia a diventare decisamente strano e indecifrabile. Sono solo sensazioni dettate dal senso di colpa per aver trascurato fin troppo suo figlio a causa del lavoro, o qualcosa sta realmente accadendo per via della nuova specie che cerca in tutti i modi di espandersi?

Un film di fantascienza molto dimesso, con echi da L’Invasione Degli Ultracorpi, scopertissimo e lampante riferimento primario, Little Joe colpisce moltissimo per la paranoia strisciante che man mano diventa sempre più pressante in un crescendo che incolla letteralmente allo schermo.

Con lentissime carrellate frontali, ma soprattutto laterali, la regista Jessica Hausner, ammanta il suo racconto inquietante con uno stile raffinatissimo e rarefatto, affidandosi ad una fotografia che si incentra sui colori tenui e pastello (quello dei camici degli scienziati, dei muri, dei complementi d’arredo), in contrapposizione al rosso acceso della nuova specie floreale creata in laboratorio dalla scienziata con lo scopo di creare una felicità indotta, in realtà non reale e genuina. Da un lato, quindi, la “piattezza” di una vita in cui non tutto viene visto col sorriso stampato sul volto, dall’altro la pericolosità (e il rosso è proprio il simbolo del pericolo) dei rapporti interpersonali falsamente costruiti su una facciata di buonismo che sotto nasconde ben altro.

Ed è tutto qui il fulcro di Little Joe, con riferimenti all’attuale condizione dell’essere umano, spesso incastrato tra voleri e doveri (la protagonista è afflitta dal senso di colpa per il suo essere ossessionata dal lavoro, ma dall’altro lato è quello che più le piace fare e quindi si sente anche costretta nel suo ruolo di madre), ma soprattutto imprigionato in un mondo di finte dimostrazioni d’affetto, amore, approvazione e condivisione, laddove in profondità a farla da padrone è un individualismo sfrenato.

Parlando di fantascienza “paranoica”, inoltre, non mancano i palesi riferimenti agli abusi e soprusi che spesso si perpetuano ai danni di un ordine naturale delle cose, al fine di cambiare ciò che naturalmente è stato creato per funzionare in un determinato modo, arrivando a risultati decisamente opposti a quelli desiderati, sfociando infine nel terrore vero e proprio con la ribellione dell’oggetto dei soprusi dell’uomo e con la scoperta che quasi sempre la scienza che travalica oltre ogni limite la natura, diventa un mezzo di declino inaspettato, piuttosto che di progresso effettivo.

Ma non siamo di fronte ad una metafora ecologista, ciò che più importa alla regista sono le implicazioni psicologiche dei vari personaggi, soprattutto di Alice che parlando con la sua psicoterapeuta spesso si trova a dubitare delle sue impressioni su quanto sta avvenendo, interrogandosi appunto sul suo suolo all’interno della famiglia, del mondo lavorativo e della società.

Una società che mira alla soddisfazione a tutti i costi, a quella tanto agognata felicità collettiva e, ripetiamo, non genuina, a cui aspirare come risultato massimo, tendente alla produttività assoluta e al profitto (dietro la creazione della nuova pianta, ovviamente ci sono interessi economici con la società per cui lavora la scienziata che sta per partecipare ad un’importantissima fiera dove mostrare i frutti degli studi portentosi portati avanti con Little Joe).

Sono molte le inquadrature che donano un senso di perturbante non indifferente, soprattutto quando vengono inquadrati con estrema lentezza i fiori “maledetti” all’interno della serra in cui vengono conservati ad alte temperature. E il terrore viene trasmesso senza mai mostrare nulla, ma solo facendo ricorso alla regia e, elemento preponderante e totalmente imprescindibile di questo film, alla colonna sonora, le cui note dalle venature tribali e a tratti orientali (le musiche infatti sono di Teiji Ito), ci trascinando nel delirio di inquietudini e di angoscia che ben presto prende il posto dell’apparente nonchalance dimostrata da coloro che sono venuti a contatto con il polline del fiore.

Grazie anche alla perfetta interpretazione di Emily Beecham, coadiuvata da un ottimo cast su cui svetta un Ben Whishaw perfettamente in grado di rendere il cambiamento del tutto impercettibile che il suo personaggio si trova a vivere in seguito all’inalazione del polline, Little Joe ci lascia con un senso di disagio non indifferente, perché al di là della causa di quanto avviene all’interno della narrazione (elemento fantascientifico), gli effetti sono del tutto percepibili anche nella società odierna, sfociando in una sorta di realismo raggelante.

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