Mezzogiorno di fuoco Vs Mezzogiorno e mezzo di fuoco

PRECISO COME UN OROLOGIO SVIZZERO

Lo sceriffo, Willy Kane, appena sposatosi con una quacchera, riceve la notizia dell’arrivo in città col treno di mezzogiorno di un terribile criminale, Frank Miller, che egli stesso aveva arrestato. Invece di andare in pensione come previsto, decide di rimanere e di proteggere il suo villaggio.
Western classico per eccellenza e ci sarà un motivo per il quale “Mezzogiorno di fuoco” è da sempre considerato uno dei più grandi film tra quelli del genere a cui appartiene. Il motivo, anzi, i motivi sono tanti a cominciare da una straordinaria colonna sonora che ben si sposa con le sontuose immagini in bianco e nero che incorniciano i volti e i paesaggi.
Altro pregio della pellicola è l’unità di tempo, le azioni si svolgono proprio nell’arco di circa un’ora e mezza, la stessa durata del film. La stessa ora a mezza che ha a disposizione Kane per riuscire a sventare la minaccia del terribile criminale, impresa quanto mai ardua considerando che è stato abbandonato da tutti: la moglie che è contraria alla violenza, l’ex-fidanzata che non ci sta a vederlo morire in quel modo, il vice-sceriffo che pretende in cambio ambigue promozioni, il giudice che ha celebrato le sue notte, e tutti i concittadini del suo villaggio.
Il senso del dovere e dell’onore, il coraggio e il sacrificio, la solitudine e l’alienazione, questi sono i temi incarnati alla perfezione dal grandissimo protagonista Gary Cooper nel ruolo dello sceriffo che accetta la sfida e il pericolo solo per il bene altrui, non venendo ricompensato per questo, scontrandosi contro l’egoismo e l’ostracismo altrui. “Quando c’era Frank Miller il mio locale era sempre pieno”, dirà il gestore di un saloon alla moglie di Kane, segno questo della connivenza e dell’asservimento al male, quando questo porta anche a benefici economici e non. Rimando neanche tanto velato al fenomeno del maccartismo, vivissimo in quegli anni, in cui era caduto vittima anche lo sceneggiatore di questo film. Un riferimento etico-policito che sarebbe andato bene anche dalle nostre parti, incarnato alla perfezione dal famoso detto “Quando c’era lui…”.
Tra le tante, spiccano alcune sequenze in particolare, soprattutto quella che mostra i minuti precedenti l’arrivo del bandito che con uno straordinario montaggio alternato che si concentra sul ticchettio incessante dell’orologio (elemento fondamentale in questa pellicola), ma anche sui primi piani dei volti dei vari protagonisti, creando uno stato di pathos non indifferente. Indimenticabile anche lo straordinario finale con un’epica sparatoria che vedrà come protagonista, non solo Kane, ma anche la moglie pentita di averlo abbandonato (un’acerba ma già bellissima Grace Kelly), che si “convertirà” all’uso della pistola. Della serie: “Il fine giustifica i mezzi”.

SGANGHERATO COME UNA MUCCA IN UNA SALA CINEMATOGRAFICA

“Mezzogiorno e mezzo di fuoco” non è propriamente il remake di “Mezzogiorno di fuoco”, ma una vera e propria parodia del genere western in toto. La distribuzione italiana ha deciso di titolarlo in questo modo, proprio perché la pellicola succitata è sicuramente uno dei capisaldi per eccellenza del genere trattato.
Persino la colonna sonora di questo film è una vera e propria rielaborazione comica di quelle tipiche che accompagnavano i western vecchia maniera (geniale al riguardo la sequenza iniziale in cui un gruppo di “negri” viene sfidato ad esibirsi in un canto tipico, intonando invece le note di una nota canzone di Frank Sinatra).
Ma lo “sberleffo” non finisce sicuramente qui, dato che “Mezzogiorno e mezzo di fuoco” è straricco di trovate geniali e sbeffeggianti che riescono nel doppio intento di riferirsi al cinema che hanno per oggetto e di divertire in maniera intelligente e allo stesso tempo esilarante. Tra le tante, sicuramente rimangono impresse le mucche che si trovano un po’ ovunque (dal saloon, fino addirittura ad una sala cinematografica), i personaggi che si rivolgono direttamente allo spettatore o le apparizioni dello stesso Mel Brooks nel ruolo di uno stupido governatore o di un indiano con l’accento siciliano. Ma la trovata più strepitosa e spassosa del film è quella del finale in cui i nostri protagonisti vanno a finire incidentalmente sul set di un musical andandosi a mischiare coi ballerini vestiti in frac e dopo nella mensa degli attori hollywoodiani tra cui un “Hitler” che viene interrotto proprio mentre dice ad un suo collega: “Dopo questa scena del bunker ho finito”.
“E’ un’arte saper tenere sveglia la gente”, dirà il protagonista di colore rivolgendosi ad un Gene Wilder che si è addormentato sul tavolo all’ascolto della sua noiosa storia. Ma Mel Brooks ci riesce eccome a tenere sveglio lo spettatore con la sua genialità e la sua vena comica non indifferente che contribuisce a rendere questa pellicola dissacratoria, intelligente e pungente, oltre che deliziosamente demenziale senza tralasciare la presenza di un messaggio ben preciso contro il razzismo e i pregiudizi in generale (pregiudizi che possono colpire anche questo tipo di cinema).
La parodia è un genere di per sé metacinematografico, perché per comprendere appieno tutti i riferimenti al suo interno bisogna conoscere a fondo l’oggetto di scherno, in questo caso il genere western in tutti i suoi principali topoi (la minaccia al villaggio, lo sceriffo abbandonato da tutti che poi però riesce a farsi valere e questo è il più grosso rimando a “Mezzogiorno di fuoco”, la presenza di un personaggio di rottura qui interpertato da uno straordinario Gene Wilder, ecc…). E in questo si può dire che “Mezzogiorno e mezzo di fuoco” è un film decisamente riuscito, proprio perché riesce a far riconoscere allo spettatore quali sono gli oggetti e i motivi dello “scherno” che è poi in realtà un vero e proprio omaggio divertito e divertente.

Pubblicato su www.supergacinema.it

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