Ratched: c’è molto più Hitchcock che Forman nella nuova serie targata Netflix

Mildred Ratched è un’infermiera molto appassionata alla sua professione. Arrivata in California, fa di tutto per farsi assumere nella clinica psichiatrica gestita dal dr. Hanover. Qui è stato portato il detenuto definito l’assassino del clero, un ragazzo che ha ucciso a sangue freddo cinque preti. Nel frattempo si sconterà con la capo infermiera, farà la conoscenza della portavoce del governatore, del tutto deciso a sfruttare le tecniche utilizzate nella clinica a scopi elettorali e si farà sedurre dal suo vicino di stanza nel motel dove alloggia, il quale nasconde un’identità segreta. Ma ben presto, ci si renderà conto che, a discapito del suo aspetto e dei suoi modi oltremodo gentili, anche Mildred ha molto da nascondere.

Pur non possedendo una struttura perfetta come quelle che facevano da impalcatura alle storie macabre del maestro del brivido, Ratched, che a conti fatti può essere considerata una nuova stagione di American Horror Story semplicemente con un altro titolo, permette a Ryan Murphy di divertirsi con la sua vena cinefila e di proporci un prodotto che vacilla e scricchiola sotto molti punti di vista, ma che conquista totalmente lo sguardo dello spettatore con un’estetica che richiama potentemente proprio il cinema di Hitchcock, partendo sonoramente dal suo capolavoro Vertigo, richiamato soprattutto nell’utilizzo dei colori (straordinari i momenti in cui lo schermo viene inondato di verde e di rosso, proprio come nel film del Genio) e nel racconto di una mente sempre più intrappolata dalle sue ossessioni, quali quella di James Stewart in La Donna Che Visse Due Volte e quella di Sarah Paulson nella serie in questione.

Con un utilizzo delle musiche perfettamente in grado di riportarci a quel tipo di cinema, senza farci sentire la sensazione stridente di voler malamente scopiazzare un mood irraggiungibile, le note della colonna sonora ricordano potentemente quelle di Bernard Hermann, incorniciando con un piglio affascinante e trascinante i momenti più inquietanti e importanti della discesa agli inferi della protagonista. Protagonista che ha il volto perfetto di Sarah Paulson, qui straordinariamente in grado di richiamare alla mente le dive d’altri tempi che hanno contrassegnato il cinema noir del passato e di trasmettere tutta l’allucinante alienazione mentale di una donna a tratti fredda e calcolatrice a tratti del tutto risucchiata dal suo passato e dal suo presente oscuri e imperscrutabili.

Siamo molto lontani, però, dall’impianto concettuale e formale che circondava il personaggio “leggendario” a cui Murphy ha voluto ridare vita, la Ratched interpretata da Louise Fletcher nell’altro capolavoro a cui si ispira, Qualcuno Volò Sul Nido Del Cuculo di Milos Forman (oltre a quelli di Hitchcock e Brian de Palma, qui ripreso soprattutto nel suo magistrale utilizzo dello spleet screen e non a caso stiamo parlando di uno dei registi più hitchockiani che la settima arte abbia mai conosciuto). Siamo talmente lontani da avere il sentore che semplicemente sia stata presa una figura iconica come riferimento per far crescere l’interesse di un certo pubblico nei confronti della serie, per poi effettivamente andare a parare sulle solite “ossessioni” e “manie” dell’autore, che anche stavolta non ci lascia orfani dei suoi tanto cari freaks, della sua vena fortemente “pop-orrororifica” e degli immancabili personaggi appartenenti al mondo queer.

Molto stile, apprezzabilissimo (colori, scenografie, costumi, trucco, luci, tutto da rimanere a bocca aperta), molta meno sostanza, in una storia che comunque affascina maggiormente per il suo contenitore che per il suo contenuto, lasciandoci, tra l’altro, con un cliffhanger che ci tiene in sospeso in attesa di una seconda stagione in cui la speranza è quella di continuare ad assaporare la forma, riuscendo anche a non disprezzare il retrogusto della sostanza.

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