Red Dot: il survival horror rovinato dalla contaminazione di generi e dal plot twist a tutti i costi

Nadja e David, dopo la laurea in ingegneria di lui, decidono di sposarsi e iniziare una vita insieme. Dopo poco più di un anno dal matrimonio, però, le cose non sembrano andare benissimo, con lei impegnata a studiare per diventare una psicologa e lui troppo assorbito dal lavoro, entrambi fin troppo egoisticamente presi dalle proprie preoccupazioni e occupazioni. Per risanare le crepe del loro rapporto, allora, decidono di partire per un’escursione sulla Valle degli Orsi, nel nord della Svezia. Ma il loro viaggio riserverà non poche sorprese.

Parte e si sviluppa come uno dei più classici dei survival horror con una natura impervia che non aiuta e con una coppia che deve ritrovare la propria essenza, braccata da un nemico che ne mina il già labile equilibrio, in preda alla ferocia senza motivo di alcuni “redneck” razzisti e vendicativi (seppur siamo in Svezia luogo in cui non ci aspetteremmo di trovare figure simili), follia omicida causata da una piccola miccia (come una flebile ammaccatura all’auto): Red Dot, pur non essendo chissà quale rivelazione, intrattiene ottimamente proprio per la sua linearità e semplicità, tenendoci incollati allo schermo con la voglia di scoprire che fine faranno i due protagonisti e chi la spunterà tra loro o i loro assalitori.

Quello che però rovina la gradevolezza di questa tipologia di visione, basica ma pur sempre funzionante, perlomeno per gli amanti del genere, è il voler strafare con un approfondimento di contenuti, andando ad arzigogolare la sceneggiatura (per modo di dire, vista la banalità del tutto), cercando di rimescolare le carte in tavola, di ribaltare il punto di vista sui due ignari protagonisti (ma sono poi così ignari?), creando un plot twist ad effetto (almeno nelle intenzioni, non tanto nei risultati), in cui si cambia non solo la prospettiva sulla figura dei due sposi in crisi, ma addirittura il genere di riferimento della pellicola stessa, virando in una sorta di revenge movie che dovrebbe farci riflettere sul peso delle colpe commesse e sull’impossibilità di ignorarle, nonostante gli sforzi.

Un approfondimento e un colpo di scena che appesantiscono una visione che non aveva bisogno di altro se non delle buone interpretazioni dei due protagonisti, dell’ottima ambientazione (a tratti se vogliamo anche inedita per il genere di riferimento iniziale), e della folle fuga dei due innamorati che parte dal momento in cui all’interno della loro tenda vengono sorpresi dalla lucina rossa di un mirino laser che comincia a puntarli (da qui il titolo del film).

Purtroppo non si è avuta la giusta fiducia in questi elementi e si è andati a parare in una profondità di temi e di toni mal gestita che ci pone di fronte alla certezza che quasi sempre i proverbi non si sbagliano mai e in questo caso l’autore dell’opera è incappato in quello che lo vede “volere troppo, senza nulla stringere”.

2 commenti su “Red Dot: il survival horror rovinato dalla contaminazione di generi e dal plot twist a tutti i costi

    1. Ho visto che comunque non ha dato fastidio quasi a nessuno come nel mio caso. Per me, invece, ha rovinato un po’ la visione.

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