Sea Fever: l’individualismo sfrenato messo a confronto con una convivenza forzata  

Siobhan è una studentessa di biologia marina, che alla compagnia dei colleghi di studio o all’armonia di gruppo in generale, preferisce la solitudine e il raggiungimento dei propri obiettivi. Il suo individualismo, però, verrà messo a dura prova quando partirà in un viaggio a bordo di un peschereccio per portare avanti alcune ricerche in mare aperto. Durante questo viaggio, infatti, una creatura marina arriverà a sconvolgere i componenti dell’equipaggio, fino a quando per Siobhan apparirà chiaro che dovrà collaborare con loro e, soprattutto, meritarsi la loro fiducia per riuscire a sopravvivere.

Un horror europeo che, pur rifacendosi al cinema americano dedicato a creature “mostruose” e “aliene” (Alien, ovviamente, in primis) e pur strizzando l’occhio a molti film ambientati negli abissi marini, cerca di costruirsi un’identità tutta sua, andando con rigore (che in certi punti, si trasforma anche in piattezza), a sondare la personalità della protagonista posta di fronte alle difficoltà del viaggio (che è metafora della vita stessa) e alla necessità di doversi necessariamente confrontare con l’altro (e in questo caso non si parla solo del mostro marino, ma dei componenti dell’equipaggio con i quali dovrà obbligatoriamente entrare in contatto).

Con compostezza e ritmi dilatati, entrambe caratteristiche che fanno apprezzare il lavoro svolto sui personaggi, Sea Fever regala comunque momenti di alta tensione, sfociando nell’horror vero e proprio in alcune sequenze in cui le conseguenze della presenza “aliena” disturbata dall’ingerenza umana si faranno sentire (scorrerà parecchio sangue, insomma).

Ma se è pur vero che in ogni horror che si rispetti, la presenza di creature mostruose e terrificanti serve a metaforizzare ben altro, è altrettanto scontato che, nonostante questo, un film del genere deve riuscire comunque a trasmettere inquietudine e, nei casi più vincenti, a spaventare lo spettatore.

Sea Fever, invece, pur essendo un’opera elegante ed equilibrata, che ci racconta del percorso di “formazione” compiuto dalla protagonista che impara il significato di collaborazione e di interconnessione col prossimo, dal punto di vista puramente orrorifico (se si escludono le poche sequenze in cui scorre del sangue, come suddetto), latita proprio perché, andando a cercare insistentemente una verosimiglianza e una spiegazione quasi scientifica, non impressiona quanto dovrebbe, senza riuscire a trasportare lo spettatore in un’altra “dimensione”, regalando, quindi, ben poche suggestioni, sia visivamente, sia metaforicamente parlando.

Quello che rimane è un bel messaggio sulla convivenza (non solo tra esseri umani, ovviamente, perché in questo caso abbiamo la natura, impersonata dalla creatura marina, che si ribella ai soprusi e agli abusi dell’uomo, tipico leitmotiv di certo cinema horror), che se da un lato può esistere solo grazie alla comprensione reciproca e all’immedesimazione nel prossimo, dall’altro può ritenersi vincente solo nel caso in cui non si delimiti troppo la libertà altrui, superando dei limiti che dovrebbero rimanere invalicabili. Che poi è quello che abbiamo già visto e rivisto in decine di film appartenenti allo stesso filone cinematografico.

4 commenti su “Sea Fever: l’individualismo sfrenato messo a confronto con una convivenza forzata  

  1. Mi è piaciuto, non inventa certo molto se non una creatura meravigliosamente orribile, poi le situazioni da paranoia tipo “La Cosa” mi conquistano sempre 😉 Cheers

  2. In realtà non è dispiaciuto nemmeno a me, anche se sicuramente pesca fin troppo da altri film (e parlare di pesca ovviamente non è casuale 😛 ).

  3. Sì, infatti. Si muove, parla, reagisce, interagisce in maniera molto credibile, a differenza di tanti altri personaggi che si vedono in film simili.

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