Seven

REGIA: David Fincher

CAST: Morgan Freeman, Brad Pitt, Kevin Spacey, Gwyneth Paltrow, John McGinley

ANNO: 1995

Somerset è un detective della omicidi che sta per ritirarsi a causa delle brutture a cui assiste ormai da troppi anni; Mills è il giovane sostituto che arriva con tutto il suo entusiasmo a portare una ventata d’aria fresca. I due si ritroveranno fianco a fianco per indagare su una serie di omicidi molto particolari.

Uno dei thriller più intensi e importanti della storia del cinema, “Seven” si affianca per qualità e per impatto all’altro grande capolavoro del genere che è “Il silenzio degli innocenti”. Quando si parla di thriller, insomma, non è possibile fare a meno di menzionare queste due pellicole. Soffermandoci sul film di David Fincher possiamo anche notare che in comune con il capolavoro di Jonathan Demme ha delle piacevoli, calibrate e ben studiate incursioni in altri generi cinematografici a partire dall’horror che viene solo evocato e sfiorato (soprattutto nella modalità degli omicidi effettuati dall’antagonista, di cui ci vengono mostrati solo i terrificanti effetti), fino ad arrivare al poliziesco con la figura dei due protagonisti che in qualche modo richiamano alla mente quel tipo di pellicola. Fatto sta che l’utilizzo di determinati topoi cinematografici, come la netta dicotomia tra i due colleghi (uno giovane, l’altro anziano; uno di colore, l’altro bianco; uno disilluso e cinico, l’altro entusiasta e irrefrenabile), viene plasmata in maniera originale e molto interessante dal regista e dallo sceneggiatore, in maniera tale da restituirci una sorta di specularità ravvisabile nella terza pedina di questo ritratto perfetto e intenso delle varie sfaccettature della natura umana. Ognuno dei due, quindi, può essere comparato non solo all’altro (comparazione dalla quale usciremo con la netta sensazione che l’uno è l’evoluzione dell’altro o viceversa), ma soprattutto con il killer moralista e rappresentante di una ben definita volontà di smascherare le ipocrisie e le meschinità dell’uomo moderno. Ipocrisie e meschinità che ormai sono ben radicate nella nostra cultura, tanto da essere del tutto ignorante o non riconosciute anche se a esserne portatori sono i protagonisti positivi del film, i due detective che più spesso ci vengono sottilmente indicati come modelli di ciò che viene denunciato nella pellicola stessa, modelli che lo stesso killer denuncia con le sue riprovevoli azioni. Una sorta di giustiziere un po’ sopra le righe che assolve il compito di portare alla luce ciò che è stato sepolto sotto macerie di egoismo, noncuranza e indifferenza. Il tutto conducente verso una strisciante, ma ben presente, sensazione che in realtà i protagonisti di cui sopra non sono totalmente positivi, così come ciò che ci sembra “marcio” non è totalmente negativo. Una rottura quasi impalpabile dell’equilibrio etico insito nella condanna totale di un personaggio scomodo come quello del killer e nell’assoluzione completa di coloro che si situano dall’altro lato della barricata, perseguendo la legge e la moralità.

Ma molto probabilmente la caratteristica fondamentale di “Seven”, ben nascosta nel racconto cupo e nero di omicidi e torture (racconto che visivamente assume anche dei contorni noir come dimostra il bellissimo incipit sotto una pioggia inarrestabile o la straordinaria sequenza dell’inseguimento con il killer di cui si ravviserà solo l’ombra), è quella di essere un vero e proprio racconto di formazione, tant’è che entrambi i protagonisti del film, alla fine del loro percorso di ricerca e poi di “accompagnamento” dell’antagonista, figura archetipica di agitatore per eccellenza, si ritroveranno con una consapevolezza circa il valore della vita e del loro modo di viverla, oltre che della loro stessa natura, che altrimenti non avrebbero mai raggiunto. E dunque tutto l’impianto narrativo che già in superficie risulta affascinante e coinvolgente con il ricorso ai sette peccati capitali utilizzati dal killer come movente per gli omicidi da lui effettuati, assume anche un valore metaforico e comunicativo non indifferente, oltre ad offrire il fianco a numerose citazioni letterarie davvero molto apprezzabili, partendo da Dante, senza tralasciare Milton.

Se ci aggiungiamo le perfette interpretazioni dei tre attori protagonisti, su cui spicca un Kevin Spacey in stato di grazia nel ruolo del mellifluo killer predicatore, e il finale a sorpresa che fa luce sull’intero malefico disegno dimostrativo del killer, oltre che sull’impossibilità di combattere i tarli che attanagliano la natura umana (così come dimostra la reazione di uno dei due detective); avremo anche noi una visuale completa che ci permetterà di stabilire l’alto valore formale, qualitativo e contenutistico di questo grandissimo film di genere.


Pubblicato su www.livecity.it

9 commenti su “Seven

  1. Un'ottima analisi che non poteva definire meglio questo immenso film, che enuclea le sue peculiarità e la sottigliezza (e grandezza) di molte sequenze. Quando mi sarà possibile rivedrò Seven tenendo conto di questo post. A presto.

  2. Geniale non aver messo Kevin Spacey nei titoli di testa, in modo da tenere nascosta l' "identità" dell'assassino anche al pubblico…sono daccordo, uno dei thriller più intensi di sempre, ma anche uno dei meglio realizzati, più torbidi, più accattivanti.

  3. Luciano, grazie! Non sai quanto mi fa piacere leggere quelle parole scritte da te.

    Giacomo, fu un'idea dell'attore stesso. Un'idea piuttosto brillante direi.

  4. qui si parla di uno dei più grandi thriller della storia, un autentico capolavoro: girato splendidamente, con toni noir e metropolitani, con una trama splendida e un finale a dir poco agghiacciante.

  5. …qui siamo di fronte a un capolavoro assoluto del genere !!!
    "Seven" è stato il film che mi ha fatto conoscere Fincher ed è stato amore aprima vista

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