Staten Island

REGIA: James DeMonaco
CAST: Ethan Hawke, Seymour Cassel, Vincent D’Onofrio
ANNO: 2009
 
La storia di tre personaggi si intreccia andando a creare una serie di coincidenze che scateneranno eventi incontrollabili. Un operaio che vuole mettere al mondo un figlio sicuramente migliore di lui, un salumiere sordomuto che non ha più nulla per cui sperare, un boss criminale che si dà all’ambientalismo. Muovendosi tra le strade di Staten Island, ognuno cercherà la propria strada.
 
Un film alquanto singolare nella proposizione delle singole storie che riguardano ciascun protagonista, anche se poi nella messa in pratica di questi racconti quasi surreali non si riesce ad essere altrettanto originali, andandosi ad adagiare comodamente su una serie di cliché narrativi alquanto prevedibili, soprattutto per quanto riguarda la direzione che ben presto prenderanno i tre diversi filoni del racconto. Sicuramente non si tratta di cliché così tanto fastidiosi tanto da far prevalere l’insoddisfazione durante la visione del film, visto che questo si fa comunque apprezzare per la sapiente suddivisione in capitoli, ognuno dei quali va ad influenzare l’altro, cronologicamente parlando e non (espediente ispirato chiaramente al “Pulp fiction” di Tarantino e al più recente “Onora il padre e la madre” di Sidney Lumet in cui tra l’altro recitava lo stesso Ethan Hawke). Durante la visione di questo film, che trova nell’ambientazione la sua primaria ragione di esistere, visto che è la stessa a trasmettere il senso di isolamento e la voglia di riscatto che caratterizza i tre protagonisti, capiamo subito che anche se i personaggi che si muovono sulla scena separatamente e in momenti diversi sembrano non avere nulla a che fare l’uno con l’altro, presto le loro strade si incroceranno. Ognuno di loro è molto ben caratterizzato, non solo grazie alle ottime interpretazioni dei tre attori protagonisti (su cui svetta un intenso e coinvolgente Seymour Cassel), ma soprattutto perché, tramite la metafora del proprio rispettivo lavoro, vengono caricati dell’assunto di raccontare e trasmettere la mancanza di prospettive e l’affannosa ricerca delle stesse.
Il giovane Ethan Hawke, sposato felicemente con una bella donna, lavora in una ditta di spurghi e per questo porta sempre con sé un cattivo odore che difficilmente riesce a levarsi di dosso (anche questa metafora non troppo velata dell’insoddisfazione che si porta dietro). Quando scopre che in città c’è una clinica capace di ricorrere ad una tecnologia scientifica avanzatissima in grado di mettere al mondo bambini dotato di un’intelligenza superiore, non ci pensa due volte a ricorrere a qualsiasi mezzo pur di procurarsi l’ingente somma necessaria per accedere al progetto. Il suo problema è che si metterà contro la persona sbagliata. Trattasi del boss Vincent D’Onofrio, spietato e senza scrupoli, ma ancora fortissimamente attaccato alla gonnella di mamma. Dopo aver scoperto che la sua stessa cricca si sta rivoltando contro di lui, decide di seguire una fulminea vocazione: leggendo degli articoli di giornale si è reso conto che un bosco del posto sta per essere raso al suolo e così decide di arrampicarsi su un albero e di rimanerci per protesta fino a quando non riuscirà a salvare tutti gli alberi. E’ la sua, ovviamente, la storia più surreale e a tratti grottesca, anche se sostanzialmente si prefigge il compito di trasmettere il senso di inadeguatezza di determinati ruoli sociali e non, spesso piuttosto imposti dall’esterno che realmente voluti. L’anello di congiunzione tra i due è costituito dall’anziano Seymour Cassel, che quasi danzando dietro il bancone della salumeria in cui lavora, offre un sorriso e uno sguardo benevolo a tutti i suoi clienti, tra i quali lo stesso Hawke, legato a lui da sincera amicizia. Nonostante la sua condizione di sordomuto, l’uomo riesce a vivere di piccole cose come il suo lavoro o lo sfizio delle corse ai cavalli, gioco che più che altro gli dà la gioia della speranza e dell’attesa, anche se poi non ha bisogno di attendere nulla, visto che ha già tutto ciò di cui ha bisogno. Trattasi del personaggio più riuscito anche perché dotato di una certa poesia e di un forte messaggio di riscatto che riesce a renderlo anche in qualche modo emozionante.
E’ in una particolare sequenza che i tre entreranno contemporaneamente nello schermo, visto che il boss costringe il salumiere a fare a pezzi le sue vittime e l’operaio si reca da lui a fare la spesa quasi ogni giorno. La sequenza, rivisitata da tutti e tre i punti di vista, assumerà un’importanza capitale ai fini del racconto, fino a giungere ad un finale che non ha avuto il coraggio di essere totalmente pessimistico, risolvendosi in uno spiraglio di eccessivo buonismo che mal si amalgama col senso di impotenza e ineluttabilità che circonda le tre storie ambientate in una terra dimenticata da tutti, nonostante l’estrema vicinanza con la grande New York, città dalle infinite possibilità.

Pubblicato su www.livecity.it

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