Sunshine cleaning




REGIA: Christine Jeffs

CAST: Amy Adams, Emily Blunt, Alan Arkin

ANNO: 2010

 

Una ragazza madre, ormai stanca del suo lavoro di donna delle pulizie, e desiderosa di un’istruzione più elevata per suo figlio, decide di fondare insieme a sua sorella Norah, una ragazza senza arte né parte, una ditta di pulizie di scene del crimine. Le cose andranno bene all’inizio, ma poi una serie di peripezie, compresa la stranezza del padre, metteranno a repentaglio la loro attività e il loro futuro.

 

Vi ricordate di “Little Miss Sunshine”, quel piccolo gioiellino indie che vinse il Sydney Film Festival del 2006, portando a casa l’apprezzamento del pubblico e della critica? E come dimenticarlo, vista la storia straordinaria, lo stile narrativo e formale particolarissimo, e i protagonisti altrettanto grandiosi? Ecco, questo “Sunshine cleaning”, che tra l’altro nel titolo riprende una parola dell’altro, vuole essere una sorta di riproposizione di quello stile, di quelle tematiche, di quella pellicola in parole povere. Il “vuole” è d’obbligo, perché, pur apprezzando molti degli aspetti di questo film, non si può sicuramente asserire che il risultato sia raggiunto. Quello che rende questo “Sunshine cleaning” decisamente meno godibile della pellicola a cui si vuole paragonare, è proprio l’insistenza nel volerle assomigliare (addirittura si ripropone Alan Arkin nel ruolo di un nonnino tutto pepe un po’ sopra le righe, in un personaggio che imita palesemente l’originale, con tanto di nipotino un po’ “strambo” a seguito che, nonostante un’intelligenza superiore alla norma, viene reputato un po’ “ritardato”), insistenza che a lungo andare diventa un po’ troppo forzata e visibile, cosa che suscita un certo fastidio nello spettatore. Al di là di questo, comunque, a frenare la possibilità di essere un grande film di “Sunshine cleaning” è lo scarso equilibrio esistente tra il dramma e la sdrammatizzazione del dramma (dato che questo genere di pellicole solitamente è contrassegnato da una quasi sempre perfetta commistione tra il drammatico e il comico-grottesco-surreale), dato che sul primo ricade un’eccessiva enfasi, mentre sul secondo pesano i difetti “imitativi” di cui sopra.

Certo che poi le straordinarie interpretazioni delle due attrici protagoniste (una perfetta Amy Adams nel ruolo della donna frustrata dal proprio lavoro e dalla propria vita che ha preso una piega diversa da quella prefissata, e un’intensa Emily Blunt sommersa dal ricordo svanito della madre defunta e dalla voglia di libertà da un’esistenza che le va stretta), oltre ad alcuni momenti davvero coinvolgenti, rendono comunque “Sunshine cleaning” una pellicola che vale la pena di essere vista. Tra i suddetti momenti c’è sicuramente la riunione della ragazza madre con le sue ex compagne di liceo tutte sposate o in qualche modo realizzate, riunione durante la quale la donna si rende conto che al di là del tipo di mestiere che si ritrova a fare, in qualche modo si sente realizzata per l’aiuto che dà alle persone; il “viaggio” sotto le rotaie di un treno della triste e “spenta” sorella; e lo stupendo finale in cui il cerchio si chiude e ognuno (compresi il nonno strampalato e il nipotino curioso e silenzioso) trova la sua “strada”, letteralmente e metaforicamente.

Così come spesso capita nel cinema di Anderson, e anche in “Little Miss Sunshine”, anche in questo caso sono alcuni oggetti a fare da viatico dell’espressione delle emozioni e delle intenzioni dei vari protagonisti. In questo caso abbiamo un tanto anelato binocolo, un furgone (anche questa sembra non essere affatto una coincidenza con la pellicola di quattro anni fa), delle casse di gamberetti o una scatola piena di ricordi o di oggetti che servono a mantenere vivi questi ricordi. Ma alla fine il messaggio sembra essere uno (al di là del retorico riferimento al fatto che “siamo chi siamo e non quello che facciamo”): ognuno deve compiere il proprio personale percorso, senza escludere ovviamente i legami affettivi e l’aiuto reciproco che da essi scaturisce, per giungere al superamento del dolore per i propri drammi e i propri fallimenti, ma soprattutto per il raggiungimento, o il tentativo dello stesso, della propria identità e della propria soddisfazione. Lo dimostrano, ad uno ad uno, tutti i protagonisti di “Sunshine cleaning” che, un po’ individualmente, un po’ coralmente, arrivano ad una svolta che gli permetterà di guardare ad un futuro, sicuramente imprevedibile e insicuro, ma senza ombra di dubbio migliore.

 

VOTO:

 

 

Pubblicato su www.livecity.it

10 commenti su “Sunshine cleaning

  1. Concordo, forse ho dato mezzopunto in più per il testosterone messo in circolo in me dalle due protagoniste (quando la Adams sta in lingerie ci manca poco che mi prenda uno scompenso cardiaco).

    Hai scritto benissimo della quasi assenza della "sdrammatizzazione": prima di vederlo ho "venduto" il film a mia moglie come una "commedia dolce amara" ma francamente non c'era quasi mai da ridere

  2. l'anonimo di sopra è steutd… non so perchè ma da qualche tempo splinder mi ha trasformato in "utente anonimo", vabbè

    steutd

  3. Mi ero fatto un'idea completamente diversa sul film.
    Comunque da me ancora non lo mettono, quindi c'ho ancora tempo per pensarci su.

    Roberto (moviecinemania)

  4. iosif, poi verrò a leggere sicuramente da te, comunque a me il film è piaciuto, seppur non eccessivamente.

    Roberto, che idea ti eri fatto sul film?

  5. Bè, un pò lo è, ma è soprattutto in "indie" termine coniato appositamente per questo film e altri simili come Little miss sunshine appunto, Juno e molti altri.

  6. Sicuramente inferiore a “Little Miss Sunshine”… ma sempre benvenuti i film che ci mostrano (contrariamente alle abitudini) un volto verosimile dell’America

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