Targets




REGIA: Peter Bogdanovich

CAST: Boris Karloff, Tim O’Kelly

ANNO: 1968

 

TRAMA:

 

Un ragazzo perbene, reduce dalla guerra in Vietnam, comincia a sparare con dei fucili sui passanti in autostrada, appostandosi su un gasometro. Poi si sposta in un drive-in, nel quale comincia a sparare da dietro lo schermo cinematografico dove viene proiettato un vecchio film di Byron Orlock, vecchia star del cinema dell’orrore, recatosi lì per riguardare il suo vecchio film…

 

 


ANALISI PERSONALE

 

Un attore di vecchi film horror ormai diventato vecchio ha perso ogni speranza per poter continuare a comunicare il terrore in un mondo dove il reale ha superato la fantasia, per questo tentenna nell’aderire ad un nuovo progetto cinematografico. Nel frattempo un ragazzo di famiglia bene mette in atto quel terrore “moderno” e molto reale, cominciando a sparare all’impazzata sui passanti, rendendo dunque plausibili i timori del vecchio attore. E’ questo l’assunto principale di questa straordinaria pellicola che al di là della contrapposizione tra questi due personaggi e tra ciò che significano, opera un profondissimo discorso metacinematografico, incentrato su tutti i meccanismi del cinema, a partire dai rapporti interni come quelli che possono esserci tra attori, registi, produttori, sceneggiatori e via dicendo. Senza tralasciare, ovviamente, una sorta di nostalgia per un determinato cinema che già allora (la fine degli anni ’60) non esisteva più: “Tutti i buoni film sono già stati fatti”, dice il regista all’interno del film che tenta in tutti i modi di convincere l’attore a partecipare al suo progetto, guardando in tv Codice penale di Howard Hawks, prima grande occasione per Boris Karloff. Perché Targets è soprattutto un grandissimo omaggio al mitico Boris Karloff e al cinema considerato kitsch e fuori moda, di cui egli stesso era simbolo (il film comincia con una scena tratta da La vergine di cera, con il grande attore protagonista). Non manca nemmeno una riflessione molto approfondita sul rapporto sempre più proporzionalmente scostante tra cinema e società, come dimostra l’articolo di giornale letto al regista insistente dal grande attore rinunciatario, che tenta di dimostrare quanto ormai gli orrori del reale superino e sovrastino quelli della fantasia. Ma il personaggio di Bobby arriva a destabilizzare questa sorta di certezza, proprio perché facendosi portatore di una sorta di discorso sull’alienazione in seguito all’esperienza in Vietnam, dimostra palesemente come attualità e società, nonostante le apparenze di preponderanza del reale sul “filmico”, continuino e sempre continueranno ad influenzare il cinema. Ma Bogdanovich non si ferma qui e inserisce anche una sorta di denuncia a quegli ingranaggi che portano i grandi attori di genere (ma non solo) a rimanere intrappolati in un personaggio o in un determinato stereotipo cinematografico nel quale è l’attore stesso a sentirsi ingabbiato: esemplare al riguardo la scena in cui Boris Karloff appena sveglio si guarda nello specchio e si spaventa.

 

Un momento di alta ironia che però dimostra quanto la stessa vittima del pregiudizio ne diventi anche “esecutrice”. Al di là dei numerosissimi sottotesti che accompagnano la pellicola, Targets si fa apprezzare anche in quanto a stile registico e narrativo: precisa e di chirurgica attenzione, asciutta e muta (se si escludono i rumori degli spari), la sequenza in cui il protagonista comincia ad esternare il suo disagio interiore facendo letteralmente fuori i membri della sua famiglia, che in quanto tali meritano un trattamento di un certo tipo (mamma e moglie vengono riposte entrambe nei propri letti, al contrario del garzone della spesa, capitato lì per caso e per sfortuna, abbandonato nel corridoio). Straordinaria la sequenza nella quale Karloff comincia a raccontare una storia dell’orrore ad un pubblico costituito dal regista e da quelli che sembrano essere i presentatori di uno show a cui parteciperà. La telecamera si avvicina sempre di più al volto dell’attore, muovendosi lentamente fino a centrarlo in un primo piano, in cui sembra che si stia rivolgendo alla camera e a noi spettatori. La camera poi continua a muoversi mostrando l’inganno. Lo sguardo di Karloff non si è mai mosso, rimasto incollato ai suoi interlocutori di “finzione”, è solo la telecamera col suo movimento ad averci dato l’impressione di un certo contatto diretto. Un espediente che ci restituisce tuta la forza comunicativa di un accorgimento tecnico come un movimento di camera, una carrellata orizzontale, un primissimo piano. Una sorta di dimostrazione lampante di quello che molto spesso si dà per scontato. Tutte le riflessioni pessimistiche che costituiscono la forma mentis del protagonista più anziano (e di rimando del regista), vengono in qualche modo smentite dalla sequenza del drive in dove c’è gente che vi si reca solo per appartarsi, ma anche bambini piccolissimi che aspettano con trepidazione di poter guardare l’ultimo film di Orlok, segno questo della forza della passione che persiste a dispetto di qualsiasi ostacolo o elemento disturbante (come il folle dietro lo schermo), che arriva a dissacrare una forma d’arte che è quella che più aggrega e riunisce ed amalgama, ma è anche la stessa che a volte “crudelmente” esclude e rifiuta chi non ne è perfettamente addentro e consapevole conoscitore, così come escluso e rifiutato da una società sorda e incurante (simbolizzata da una moglie troppo intenta a lavorare piuttosto che ad ascoltare i problemi di suo marito), si sente ed è il protagonista “negativo” della pellicola. Di straordinaria lucidità il finale dove l’arte si confonde con la realtà  e viceversa, in una lotta frontale che vede vincere inesorabilmente solo una delle due parti contendenti.

 

VOTO: 9

 



CITAZIONE DEL GIORNO

 

Ned: "Forse non dovresti vestire così". Matty: "Ho una camicetta, non vedo che altro dovrei portare". Ned: "Non dovresti portare quel corpo". (da "Brivido caldo")


LOCANDINA

 

 

6 commenti su “Targets

  1. Film meraviglioso, a mio parere il punto di snodo fra l’horror classico e il moderno (sebbene sia qualcosa di più di un semplice horror).

    Boris Karloff immenso (lo è sempre, ma qui anche di più)!

    Davide DG

  2. Infatti, sicuramente è molto di più di un “semplice” horror. Chiamoli semplici poi, gli horror! Comunque è un film che mi ha colpita moltissimo.

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