The Gentlemen: un ritorno alle origini con sprazzi di metacinema

Il re della marjuana, Michael Pearson, americano trapiantato a Londra, dove ha costruito un impero tramite i suoi traffici illeciti, decide di ritirarsi dal giro per vivere serenamente con sua moglie. Mentre è in trattativa con un milionario interessato all’acquisto del suo giro di affari per 400 milioni di sterline, il tutto viene disturbato dall’ingerenza di un parterre di soggetti molto particolari: Dry Eye, il vice di un gangster della mafia cinese; Coach, l’allenatore di un gruppo di rapper combattenti, ma soprattutto Fletcher, un investigatore privato che cerca di vendere dei segreti importantissimi al braccio destro di Pearson, ricattandolo per 20 milioni di sterline.

Accolto da molti, sia spettatori che addetti ai lavori, come un ritorno alle fortunate e apprezzabilissime origini di Guy Ritchie, dopo gli “scivoloni” nel meanstream degli ultimi anni, The Gentlemen è sicuramente un lampante omaggio ai tempi che furono, con le storie strampalate di gangster e criminali inglesi raccontati in Lock & Stock e The Snatch, ma ha anche un’anima molto più cool e più patinata, cosa che non necessariamente deve essere vista come un difetto.

Trasmettendoci la sua grande passione per il racconto cinematografico, tramite il geniale personaggio interpretato gigionescamente e irresistibilmente da Hugh Grant, l’investigatore con mire da sceneggiatore hollywoodiano, Ritchie ci catapulta nel racconto di questi malavitosi d’alto bordo con una serie di flashback, di piccoli siparietti inventati dalla mente fantasiosa dell’aspirante scrittore per il cinema, ricorrendo al classico montaggio forsennato e frammentato e restituendoci l’importanza dell’immaginazione, ma anche dei mezzi utilizzati per raccontare una storia (da qui tutti i discorsi deliziosamente metacinematografici intavolati dal personaggio interpretato da Grant, che si lancia in rivisitazioni del racconto che sta facendo al suo interlocutore, suggerendo anche di immaginarlo proiettato con determinate tecniche cinematografiche piuttosto che altre).

Ma al di là della passione per il cinema, quello che più traspare in The Gentlemen, oltre ovviamente alla volontà del suo regista e sceneggiatore di richiamare i suoi esordi e di riacquistare molto probabilmente l’apprezzamento di chi quegli esordi li aveva amati, è la cura del dettaglio nella rappresentazione di ciascun personaggio, a partire dai dialoghi, arrivando ai costumi, vero punto di forza, insieme a quelli già citati, di quest’opera sicuramente nostalgica e derivativa, ma a suo modo anche molto fresca e moderna.

E se insieme all’irresistibilità e alla “coolness” di Hugh Grant (davvero imperdibile nei panni di questo sceneggiatore vanaglorioso che in realtà è una sorta di proiezione del regista stesso), ci mettiamo il magnetismo inconfondibile di Matthew McConaughey (perfetto nei panni del ganster elegante che si è fatto da solo) e la follia quasi eversiva e nonsense di Colin Farrell (il suo Coach risulta forse il più “iconico” tra i personaggi che si affastellano sullo schermo, nonostante la fulmineità delle sue apparizioni), allora il gioco è fatto, perché pur sempre di un gioco stiamo parlando, un giocattolo per cinefili e non, amanti del genere, ma soprattutto del mood fracassone e genuinamente rievocativo di questo gangster movie molto divertente e divertito.

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