The Night House: quei vuoti che riempiono fin troppo la nostra vita e la nostra mente

Beth è rimasta da poco vedova dopo che suo marito si è suicidato lasciandole un biglietto alquanto sinistro. In preda al dolore e alla solitudine, accompagnata da un forte senso di colpa per la paura di aver trasmesso la sua stessa depressione all’uomo che amava, notte dopo notte inizia a scoprire un mondo, e soprattutto, una casa, che mai avrebbe pensato di “abitare”.

Apparentemente una banale ghost story con venature da “casa infestata”, in realtà The Night House piega questi sottogeneri al suo volere per raccontare in maniera viscerale e potentemente coinvolgente l’elaborazione del lutto della sua protagonista, ma soprattutto la sua condizione di depressione ben precedente alla morte del marito, causata forse da un avvenimento passato che l’aveva trascinata in un vuoto esistenziale, acuito maggiormente dopo la scomparsa del coniuge.

Una condizione resa magistralmente tangibile non solo dalla straordinaria interpretazione della stupefacente Rebecca Hall, ancora una volta in grado di stupire per il suo talento di interprete sopraffina, ma soprattutto grazie ad un espediente “scenico” che cerca di dare forma e vita a questo vuoto, confondendo anche la percezione della realtà sia della protagonista stessa che dello spettatore, in balia delle visioni notturne della donna, tra incubo, percezioni distorte e realtà.

Scoprendo una vita segreta del marito, Beth in realtà fa un viaggio dentro se stessa, attraversando con dolore e confusione l’ennesimo vuoto che si è venuto a creare attorno a sé e nella sua casa, arrivando a scoprire solo dopo un viaggio nel nulla più assoluto, quello che rischia di inghiottirla definitivamente, quale può essere la strada per non farsi risucchiare totalmente, in uno dei finali più commoventi e potenti che un horror ci abbia mai regalato.

E se è pur vero che siamo piuttosto dalle parti del thriller soprannaturale (che non disdegna di farci credere di essere di fronte alla solita scabrosa storia di segreti nascosti tra coniugi), in realtà The Night House fa quello che ogni horror di un certo tipo che si rispetti deve fare: metaforizza tramite l’arma dell’orrore, appunto, le più grandi paure e difficoltà dell’essere umano.

In questo caso si parla di depressione in maniera estremamente toccante e comunicativa al tempo stesso, così come lo straordinario Relic aveva fatto col tema dell’invecchiamento. In entrambi i casi è impossibile non empatizzare con le storie e i protagonisti portati sullo schermo, così come rimanere impassibili di fronte a quell’”I know” pronunciato alla fine di questo contorto e labirintico viaggio in questa casa oscura, che in realtà sta a rappresentare ben altro.

2 commenti su “The Night House: quei vuoti che riempiono fin troppo la nostra vita e la nostra mente

  1. Una bella angoscia, soprattutto per il suo aspetto “reale”. E’ molto simile, in questo, ai prodotti migliori dell’horror recente, penso a Relic o altri di questo spessore.

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