Truman Capote – A sangue freddo

REGIA: Bennett Miller

CAST: Philip Seymour Hoffman, Catherine Keener, Clifton Collins Jr, Chris Cooper, Bruce Greenwood, Bob Balaban, Amy Ryan, Mark Pellegrino

ANNO: 2005

Lo scrittore-giornalista-sceneggiatore Truman Capote si interessa ad un caso del Kansas in cui un’intera famiglia è stata sterminata. I due uomini ritenuti colpevoli sono in prigione in attesa che venga eseguita la pena capitale nei loro confronti. Capote decide di scrivere un romanzo verità, fondando di fatto un nuovo genere letterario, ma è ostacolato nella terminazione del suo lavoro dai continui rimandi dell’esecuzione.

Non si tratta di un vero e proprio biopic, perché non tenta di restituirci un’immagine a tutto tondo del personaggio raccontato o di descriverci tutti i passaggi più importanti della sua vita. “Truman Capote – A sangue freddo”, potrebbe dirsi più che altro un’istantanea del grande personaggio che prende in esame, una precisa fotografia di un determinato momento della sua vita e di alcune sue particolari caratteristiche: la determinazione e la fragilità al tempo stesso, ma soprattutto l’ossessione per il suo lavoro, per il suo valore di scrittore. Un’ossessione che si rivela quasi deflagrante a livello psicologico, quello più approfondito, dato che lo porterà a scindere totalmente il suo comportamento, il suo modo di sentirsi nei confronti dei soliti amici, del jet-set che frequentava sempre in maniera molto bohemien, del mondo della cultura e del giornalismo, da un lato; e dei due uomini sui quali ha deciso di concentrare la sua attenzione per il romanzo-verità che sta scrivendo, dall’altro. Sentimenti contrastanti che rischiano di portarlo sull’orlo della “pazzia” e che in qualche modo ne sottolineano le incongruenze e le ambiguità, restituendoci un’immagine non proprio delineata, ma eticamente sfocata, di un uomo che non è riuscito a lasciar totalmente libera nessuna delle sue due “nature”. Nature che vengono appropriatamente descritte in questo film incentrato sulla “discesa agli inferi” di Capote, sempre più sfinito e sfiancato dai continui rimandi dell’esecuzione ai danni dei due detenuti colpevoli della strage. Detenuti coi quali instaura un rapporto particolare, soprattutto con uno dei due,  insito non solo nel fatto che saranno i protagonisti del suo romanzo, ma soprattutto nel suo rispecchiarsi in alcune delle difficoltà che hanno contrassegnato le loro rispettive vite, portandoli però in due direzioni completamente opposte. Una sorta di rispecchiamento asimmetrico che coinvolge ulteriormente Capote e lo porta a scrivere sempre più affannosamente alla ricerca di una conclusione che tarda ad arrivare, così come per i detenuti stessi. Difficile riuscire ad avere un’idea ben definita del comportamento del personaggio, proprio perché anche lo sguardo su di lui assume dei contorni ambigui: ha solo finto di interessarsi e di preoccuparsi della sorte di due terribili assassini, oppure in qualche modo è entrato in sintonia con loro? E dall’altro lato: ha solo sfruttato la disgrazia a cui si è interessato per completare un romanzo che l’ha reso ancora più famoso di quanto già non lo fosse (era già molto noto per il suo “Colazione da Tiffany”, ma non solo), oppure ha voluto davvero raccontare una storia emblematica per restituire la verità ai suoi lettori e alla comunità nella quale si era consumata la strage? Domande a cui non viene data risposta, proprio perché molto probabilmente una risposta non c’è. Grande merito di questa pellicola, prettamente “letteraria”, e molto coinvolgente dal punto di vista narrativo, piuttosto che formale o registico (se si esclude l’agghiacciante momento in cui il detenuto più legato a Capote gli chiede se sta sfruttando la situazione e lui reagisce in maniera fredda e calcolata, e il bellissimo flashback che mostra la strage), è proprio quella di non dare una soluzione, di lasciare aperta ogni strada interpretativa, proprio perché lo stesso personaggio raccontato non era interpretabile, così come non era incasellabile in un’unica “modalità descrittiva”. Un’ambiguità, quella affascinante e al tempo stesso controversa di Capote, resa magistralmente da un mastodontico Philip Seympur Hoffman, grande attore qui alle prese con una delle sue migliori interpretazioni, perfettamente misurato nonostante il rischio di eccessi (Capote era un personaggio a dir poco eccessivo), e decisamente calato nella doppia parte di uomo di mondo vanitoso e pomposo, e di scrittore ossessionato.

“Truman Capote – A sangue freddo, dunque, oltre ad essere un’istantanea del personaggio che racconta, è anche un racconto intenso e profondo dell’atto creativo, dell’ossessione che si cela dietro il lavoro di ideazione e produzione, dell’oblio in cui cade tutto il resto (l’amica scrittrice, Harper Lee, autrice del capolavoro “Il buio oltre la siepe”, viene sempre più ignorata e trascurata, così come il compagno di Capote), una volta che si è concentrati su qualcosa che cattura tutta l’attenzione di uno scrittore, e di rimando di qualsiasi altro artista.



Pubblicato su www.livecity.it

 

12 commenti su “Truman Capote – A sangue freddo

  1. da tempo cerco di vederlo,non ci son mai riuscito.Peraltro nello stesso anno era uscito un altro film su Capote,anche quello quanto pare molto interessante

    TI consiglierei invece la visione del film di Richard Brooks "a sangue freddo" tratto dal libro dello scrittore statunitense.
    Bellissimo,anzi:cerca se puoi di vedere un bel po' di film di richard brooks-era un ottimo direttore!

  2. film davvero bellissimo, con un piliph seymour hoffmann davvero da capogiro, in una interpretazione davvero eccellente, una delle migliori degli ultimi anni

  3. tra l'altro vi consiglio anche di leggere il libro, che oltre a essere un grande romanzo è anche l'esempio forse migliore in assoluto di giornalismo narrativo.
    alberto

  4. Seymour Hoffman è grande, ma quanto al film devo dire che mi è piaciuto di più "Infamous" di Douglas McGrath, che racconta la stessa storia con maggiore equilibrio e con un cast di contorno secondo me più convincente.

    Ciao
    Christian

  5. alberto, sicuramente il libro sarà molto interessante. Prima o poi riuscirò a leggerlo spero.

    Christian, l'altro film mi manca, ma cercherò di recuperarlo.

  6. Mah, posso capire che può risultare noioso, però la falsità non l'ho proprio recepita, ma ovviamente si tratta di sensazione del tutto personali.

  7.  Un film talmente profondo, denso, intenso, coinvolgente che è incredibile che a dirigerlo sia stato un documentarista e regista pubblicitario al suo esordio nel lungometraggio. Un film perfetto nella ricostruzione ambientale e mentale degli anni Sessanta, freddo asciutto e severo, ma anche lirico doloroso e complesso e che peraltro costituisce una denuncia contro la pena di morte (nonché un esame di coscienza per tutti gli spettatori). Prodigio virtuosistico la performance di Seymour Hoffman

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