Ultimatum alla Terra 1951 Vs Ultimatum alla Terra 2008

La fantascienza essenziale e pacifista di un grande cinema di genere

 

Nella città di Washington all’improvviso atterra una navicella spaziale diffondendo il panico tra la popolazione. A bordo del disco volante c’è un alieno, Klaatu, con sembianze umane, e un androide, Gort, che si attiva solo per rispondere alla violenza altrui. L’obiettivo della venuta è cercare di convincere gli uomini a non espandere la loro sete di conquista e il loro guerreggiare oltre la terra, arrivando a rovinare anche gli altri pianeti, pena l’estinzione della razza umana.
 
Uno dei primi esempi di film fantascientifico, datato 1951, “Ultimatum alla Terra”, a ben 60 anni di distanza, mostra ancora una giovinezza e un’aderenza al tessuto storico e socio-politico della situazione mondiale, da lasciare in qualche modo stupefatti. Se all’epoca il terrore e il pericolo provenivano dalla nascente espansione delle ricerche sul nucleare e sull’energia atomica, così come dalla paura per il comunismo e il maccartismo (esemplare al riguardo la figura di una vecchia signora che insinua il dubbio sulla reale provenienza dell’alieno, magari appunto dalla Russia), oggi ci sarebbero molti altri motivi che potrebbero spingere i rappresentanti di eventuali altri pianeti a porci un ultimatum per smetterla di mettere in subbuglio la nostra terra e, di rimando, quella di altri a noi vicini.
Il messaggio pacifista e se vogliamo anche sottilmente evangelico (il protagonista sembra quasi un messia venuto in terra, con tanto di morte e resurrezione ad opera dell’androide) che questo alieno porta sulla Terra, insomma, è raccontato con toni e modi davvero eleganti e allusivi, ma mai gridati o volgarmente spiattellati, per un pubblico incapace di pensare e dedurre con la propria testa.
Grande merito del film, tra l’altro, è quello di fare scarso riscorso agli effetti speciali o spettacolarizzazioni di sorta, fondando la sua impalcatura teorica, concettuale e comunicativa sulla forza dei dialoghi, a tratti pungenti e sarcastici (si veda quello in cui il segretario cerca di spiegare all’alieno come mai non è possibile riuscire a riunire i rappresentanti di tutti i paesi del mondo), sulla compostezza delle interpretazioni (rimane impressa quella del protagonista impassibile e, coerentemente al tipo di personaggio interpretato, quasi atono), sull’innovativa e bellissima colonna sonora firmata Bernard Herrmann (storico collaboratore di Hitchcock e Welles), e soprattutto, sulla precisa e affascinante regia che con rigore ed eleganza ci accompagna lungo il racconto di questa storia straordinaria e fantascientifica, ma al tempo stesso veicolo di riflessioni interessanti e stimolanti sull’incapacità dell’uomo di governare non solo la terra, ma soprattutto i propri istinti, il più delle volte tendenti al male, al sopruso, alla vittoria a tutti i costi.
Non è un caso, infatti, che l’alieno (assunto il falso nome di Carpenter e mescolatosi all’umanità per cercare di comprenderne al meglio i comportamenti), quando si accorge dell’impossibilità di parlare a tutti i rappresentanti politici del mondo, decide di rivolgersi ad uno scienziato che sia in grado di radunare tutte le menti eccelse dei vari stati, in modo che siano loro a portare al resto della popolazione il messaggio che è venuto a portare. Un messaggio che ha del beffardo, se si pensa che all’alieno non importa affatto di ciò che gli uomini possono farsi tra loro, con le guerre e le violenze, ma di quello che potrebbero fare agli abitanti degli altri pianeti se solo riuscissero ad espandersi nell’universo. Un messaggio sì pacifista, dunque, ma per nulla buonista o retorico, che nasconde dentro di sé una buona dose di cattiva e pungente critica al valore negativo dell’umanità.
Certo non mancano le eccezioni, come dimostrano due personaggi che si affezionano a loro modo all’alieno: un bambino molto curioso e affettuoso e la sua mamma coraggiosa e ragionevole. Quello che più rimane impresso, però, è l’atteggiamento del mondo politico e militare nei confronti dell’ignoto, di ciò di cui non si conosce la provenienza. Atteggiamento tendente all’attacco prima di tutto, piuttosto che all’ascolto.
Tra le sequenze che si fanno ricordare, ci sono sicuramente quella in cui l’alieno provoca l’arresto totale di tutti i mezzi di trasporto e non della terra e quella, ormai entrata nella leggenda e nell’immaginario collettivo, in cui la protagonista femminile, su suggerimento dell’uomo astrale, per fermare la furia distruttrice di Gort, attivatasi dopo l’uccisione del compagno, deve urlare “Klaatu, Barada, Nikto”, diventato poi vero e proprio motto di cinefili e appassionati.
 

Il remake e l’arte dello stravolgimento

Se esistesse una classifica dei remake più irrispettosi, fuori luogo e mal riusciti della storia del cinema, molto probabilmente questo girato da Scott Derrickson e interpretato da Keanu Reeves, Jennifer Connelly, Kathy Bates, Jaden Smith (il figlio di Will), Jon Hamm (il Don Draper di Mad men) e Robert Knepper (il T-bag di Prison Break), si aggiudicherebbe uno dei primi posti.

Al di là del fatto che molti degli spunti dell’originale sono stravolti, cosa che potrebbe essere anche un aspetto positivo visto che non avrebbe forse alcun senso riproporre pedissequamente uno stesso film, quello che più irrita e indispettisce di questa pellicola è il suo carattere altamente retorico e buonista, la sua morale tipicamente hollywoodiana di fondo, il suo scadere fin troppe volte nel ridicolo involontario, la bassa lega dei dialoghi che lo compongono, messi in bocca ad interpreti sottotono, e l’infantilismo, misto a semplicismo e banalità varie, che inonda il risibile messaggio di fondo.
Nel post 11 settembre, il film che nell’originale era tratto dal racconto “Addio al padrone” di Harry Bates, si sposta a Manhattan, centro nevralgico di qualsiasi disgrazia, calamità naturale, attacco alieno o terroristico che si rispetti. Ma se questa scelta può risultare comprensibile, oltre che attuale, non si comprende bene per quale motivo sottolineare didascalicamente e grottescamente il sottile carattere evangelico contenuto nell’originale  (con tanto di Keanu Reeves che addirittura cammina sulle acque) e trasformare il messaggio pacifista e al tempo stesso intimidatorio del primo film, in una metafora ecologista che suggerisce all’uomo di comportarsi meglio con la natura, con la propria terra.
Ecco che allora il perfetto, essenziale e lineare disco volante del film del ’51 viene sostituito da grossolane e inguardabili sfere luminose sparse qui e lì come delle moderne arche di Noè per tentare di racimolare quanti più esseri viventi meritevoli di salvezza prima che arrivi il “diluvio”; e all’inizio del film fa la sua comparsa un incipit che spiega, laddove non ce n’era stato giustamente bisogno, come ha fatto l’alieno ad assumere sembianze e conoscenze umane.
Se ci aggiungiamo l’antipatia estrema del bambino, come nell’originale figlio di un caduto in guerra, che continua a richiamare l’eroico coraggio del padre, oltre che a disturbare con le sue inutili lamentele, e proseguiamo con la stucchevolezza estrema che caratterizza il rapporto interpersonale tra la matrigna, qui una scienziata dal cuore d’oro, e il suddetto bambino, allora il pasticcio è fatto. Senza considerare il fatto che il temibile e inamovibile alieno (che qui incontra anche un esemplare della sua specie da anni infiltrato tra gli essere umani e ormai affezionato alla Terra), alla fine cambia improvvisamente idea perché testimone dell’infinito affetto che gli esseri umani sono capaci di provare l’uno nei confronti dell’altro, come se durante gli anni di osservazione del pianeta (così come da lui annunciato al suo arrivo), ciò non fosse emerso.
Insomma non c’è nient’altro da aggiungere se non che il caro vecchio Gort qui assume dimensioni enormi, per compensare forse la vacuità dello script e delle idee di fondo, e che della mitica frase dell’originale non si vede neanche l’ombra, così come del resto dello stesso ultimatum che dà il titolo alla pellicola.

Pubblicato su www.supergacinema.it

 

8 commenti su “Ultimatum alla Terra 1951 Vs Ultimatum alla Terra 2008

  1. Questo però è un po' sparare sulla Croce Rossa: uno splendido classico della fantascienza, ricolmo di vere inquietudini e speranze/ammonimenti per il futuro, contro un indegno remake pieno di melassa newage su neomessianismo ed effetti seciali ritriti…

  2. L'originale è un capolavoro che funziona su più piani (intrattenimento e messaggio), il remake mi sono rifiutato di vederlo… ^^

    Ciao
    Christian

  3. Guarda, sono d'accordissimo con te sugli elementi di "fastidio" del remake…il bambino è una vera piaga, e l'intero film in sé sembra soltanto l'ennesimo compitino di fantascienza senza troppe pretese con Keanu Reeves che passava di lì. Devo riconoscere, avendoli visti entrambi, che l'originale resta ampiamente superiore. In poche parole, film deludente come La guerra dei mondi di Spielberg e Segnali dal futuro di Alex Proyas.

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