Un rebus per l'assassino




REGIA: Herbert Ross

CAST: James Coburn, James Mason, Dyan Cannon, Raquel Welch, Richard Benjamin, Joan Hackett, Ian McShane,

ANNO: 1973

 

Un ricco produttore cinematografico invita un gruppo di amici sul suo yacht con l’intento di svolgere una sorta di gioco di ruolo disseminato di indizi e misteri. In realtà il suo vero intento è quello di mascherare colui che ritiene essere l’assassino di sua moglie, morta un anno prima investita da un’auto ad un party a cui presenziavano tutti i suoi invitati.

 

Un vero e proprio giallo alla Agatha Christie questo “Un rebus per l’assassino” che in originale si intitola “The Last of Sheila” (dal nome della moglie defunta del protagonista). Uno di quei gialli che appassionano per i misteri che si celano dietro la narrazione, per i numerosissimi indizi disseminati qui e lì, per le deduzioni da cui ciascun protagonista viene colto nella risoluzione del caso, per l’esistenza di un colpevole da scovare in un gruppo ristretto di persone, per la suspense di alcuni passaggi narrativi, per le morti improvvise e inaspettate di alcuni personaggi e via di questo passo. Un giallo del tutto riuscito, quindi, che però non si limita solo a questo visto che porta con sé numerose tematiche come ad esempio il voler porre la lente d’ingrandimento su ciò che spesso si cela dietro il mondo del cinema, non sempre così meraviglioso come ci appare, ma spesso attraversato dal vizio e dal peccato, lo stesso che coglie i protagonisti del film tutti facenti parte, direttamente o meno, del fantastico mondo della settima arte. Il protagonista, infatti, è un produttore cinematografico (interpretato da un inquietante James Coburn) che sta “sopra le parti” ma che poi si scopre, in un apprezzabilissimo ribaltamento di prospettive, non essere esente dalla stessa dura critica, se vogliamo anche morale e moralistica, che colpisce tutti gli altri. I suoi invitati sono un regista ormai sul viale del tramonto (il brillante James Mason); uno sceneggiatore alla smaniosa ricerca di qualcosa da scrivere (l’ambiguo Richard Benjamin), con la sua ricchissima moglie (Joan Hackett); una famosa e bellissima attrice (Raquel Welch) accompagnata dal fedele marito (Ian McShane); e un’agente delle star (interpretata da Dyan Cannon). Un cast quanto mai assortito che ben si presta alla proposizione di tutte le luci e le ombre di questo variegato mondo del cinema e dell’alta borghesia ben rappresentato da tutti i “tipi” che compongono il puzzle costruito dagli sceneggiatori (Anthony Perkins, l’indimenticabile Norman Bates di “Psycho” e Stephen Sondheim) e dal regista stesso che contribuisce ad accrescere lo stato di tensione insito nei dialoghi e nella recitazione dei protagonisti, grazie a delle atmosfere molto suggestive e ad una serie di sequenze girate in ambienti che ben si prestano all’accrescimento del turbamento, come il monastero sull’isola o lo yacht stesso che verso il finale si fa teatro del più acuto degli episodi scabrosi presenti nel film, ma al tempo stesso dell’ambiguità e dell’estrema corruzione di questo mondo raccontato, così come dimostra il sicuramente ironico, ma al tempo stesso spiazzante finale. L’altro momento significativo ed esplicativo del sottotesto della pellicola è quello in cui appare chiaro che i protagonisti sono stati invitati non certo per divertirsi col giochino costruito dal produttore con molta minuzia, ma perché tra di loro c’è il colpevole dell’omicidio di Sheila, sua moglie. E se all’inizio si erano tutti galvanizzati perché il produttore stesso aveva detto di averli riuniti non solo per partecipare al gioco ma anche per discutere sulla produzione di un film dedicato proprio alla vita e alla morte di sua moglie, ben presto si renderanno conto di essere caduti in una specie di trappola. Ecco che allora, arriva il momento clou della pellicola, quello che dimostra la mancanza estrema di moralità di questo gruppo di personaggi, presi ad emblema forse un po’ troppo schematicamente e in maniera fin troppo bacchettona, dell’amoralità di questa particolare “casta” sociale. Dopo l’inaspettato e geniale colpo di scena che vede il protagonista morire, sicuramente assassinato da uno degli invitati, a metà film, lo spettatore non sa più cosa aspettarsi, proprio perché sembrava essere il produttore stesso il protagonista assoluto e dunque quello che avrebbe smascherato l’assassino e svelato altri colpi di scena. Così non è, rendendo il tutto molto più originale e imprevedibile, e dunque i sei invitati rimangono da soli ad accusarsi a vicenda non solo dell’omicidio del produttore, ma anche di quello di sua moglie avvenuto un anno prima. E quindi ritorna in primo piano il gioco per il quale erano stati chiamati sullo yacht: tutti avevano ricevuto un bigliettino con sopra scritto un vizio, un peccato appartenente ad ognuno di loro, non necessariamente in base a quello che si era ricevuto personalmente. Ogni giorno della settimana programmata dal produttore, si sarebbe dovuto scoprire il colpevole di ciascun vizio: uno svaligiatore, un omosessuale, un lussurioso nei confronti dei bambini, un informatore, un ex-detenuto e un alcolizzato. Ma nel momento in cui i sei invitati si riuniscono per comprendere come sia potuto succedere che il loro ospite sia stato assassinato, avviene qualcosa di inspiegabile: i protagonisti posano il loro biglietto sul tavolo per confessare ognuno il proprio peccato e un biglietto scompare, lasciando spazio ad un altro che non avevamo mai letto prima che recita “pirata della strada”. In un miscuglio di ironia e sarcasmo vediamo allora i vari protagonisti fare a gara per accaparrarsi tutti i peccati e le nefandezze suddette, pur di non rimanere i proprietari del biglietto accusatore dell’omicidio di Sheila. Alla fine, nonostante vari ingarbugliamenti di sceneggiatura e non (a volte un po’ farraginosa), si arriverà alla verità e non è un caso che a scoprire i meccanismi contorti e viziati di questo rebus a incastri sia proprio il regista e che in un certo senso il fautore degli stessi sia invece lo sceneggiatore. Un vero e proprio riferimento meta-cinematografico al lavoro del regista consistente nell’”ordinamento” delle varie trame dello sceneggiatore. Una vera e propria “lotta” che non si conclude con un vincitore o un perdente, ma con la creazione di una squadra ben oliata ed equilibrata. Trattasi sicuramente di un volo pindarico, data la natura prettamente giallistica della pellicola, ma è pur sempre una considerazione che è possibile cogliere prestando la dovuta attenzione, la stessa che il produttore richiede ai suoi invitati e che poi si rivela essere l’unica arma vincente per risolvere l’intricato e conturbante rebus.

 


 

4 commenti su “Un rebus per l'assassino

  1. wow, dev'essere molto figo 'sto film! non ne avevo mai sentito parlare. herbert ross è un grande, sottovalutato (o meglio, dimenticato).
    alberto

  2. Di Herbert Ross conosco solo, diciamo, alcune "commedie": Provaci ancora, Sam; Quel giardino di aranci fatti in casa; Il segreto del mio successo… A parte Provaci ancora, Sam ( ma lì è presente quel genio che si chiama Woody Allen) non sono mai stato troppo convinto dai suoi film. Però non ho ancora visto altri suoi lavori tipo questo film che hai recensito. Molto interessente. Appena mi sarà possibile cercherò di vederlo.

  3. Ma lo sai che Provaci ancora, Sam non l'ho ancora visto nonostante la mia adorazione per Woody Allen? Certo che la cosa che non mi ha affrettata al recupero è stato proprio il fatto che non si trattasse di un film DI Woody Allen…ma sicuramente lo recupererò il più presto possibile. Devo ammettere che di Ross per il momento ho visto solo questo film e sono rimasta piacevolmente sorpresa.

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