Underwater: i “sentimenti” non contano, ciò che conta è l’azione!

Norah è un ingegnere che lavora su una trivella di perforazione sottomarina nella Fossa delle Marianne. All’improvviso questa subisce una fortissima esplosione, apparentemente causata da un terremoto, e la ragazza riuscirà a riunirsi con i pochi sopravvissuti del suo equipaggio, con i quali farà di tutto per arrivare alla stazione in cui ci sono delle capsule di salvataggio tramite le quali potranno tornare in superficie.

Partiamo subito col dire che Underwater è un film con evidenti limiti di sceneggiatura, basata su dialoghi improponibili e improbabili (ironia fuori tempo massimo in primis), su uno scarsissimo interesse alla costruzione dei personaggi e di un background che ci faccia interessare anche solo minimamente almeno ad uno di loro e su una metafora ecologista di grana grossa, tra l’altro spifferata ai quattro venti in maniera didascalica proprio dai protagonisti stessi in uno degli assurdi dialoghi di cui sopra.

Ma escludendo questo, seppur notevole, scheletro nell’armadio e una piccola battuta d’arresto nella parte centrale del film che sembra un po’ avvolgersi su se stesso per arrivare ai minuti finali, Underwater è un survival horror come non se ne vedevano da tempo, in grado di trasmettere un senso di claustrofobia non indifferente e non solo perché ci troviamo negli abissi marini, ovviamente, ma anche grazie ad una fotografia che gioca abilmente con i toni cupi e asfissianti dell’ambientazione e ad un comparto sonoro che a un certo punto ci trascina a viva forza nell’orrore che i sei sopravvissuti si troveranno a sperimentare, dapprima per le problematiche legate all’incidente occorso alla loro base di lavoro e poi, non sveliamo niente che non sia scontato, per l’apparizione di un mostro marino che ha chiaramente le sembianze del Cthulhu lovecaftiano, creatura impressionante, non mostrata mai chiaramente al 100%, ma ripresa in modo tale da trasmettere il giusto terrore.

Inutile dire anche che siamo dalle parti di Alien, qui ripreso in molti momenti, soprattutto per quanto concerne la seppur flebile caratterizzazione dell’androgina protagonista spesso in mutande e reggiseno, quando non è bardata con la tuta pressurizzata, indossata anche dai suoi compagni di avventura e sventura. Ovviamente non si raggiungono gli stessi livelli, né per quanto riguarda il film di per sé, né per quanto riguarda il personaggio che indubbiamente non rimarrà negli annali del cinema, facendosi al centro piuttosto di un b-movie sicuramente usa e getta, ma teso e avvincente al punto giusto.

E, nonostante, lo spreco di star come Vincent Cassell, qui chiamato a rivestire i panni del capitano coraggioso e di buon cuore, a colpire non sono solo gli effetti speciali e le atmosfere opprimenti, ma anche l’interpretazione di Kristen Stewart, la quale riesce a dare alla sua Norah tutta l’intensità che la sceneggiatura le nega, accompagnandoci verso un finale che si fa seguire col fiato sospeso e che, nonostante la fastidiosità del voice over che arriva a suggellare il film in maniera speculare rispetto a come era iniziato, ci restituisce forse l’intento dell’autore dell’opera, più interessato all’azione che al  contenuto. Sarà forse per questo che la voce fuori campo recita così: “They’re just feelings. And sometimes you have to stop feeling. Start doing”.

2 commenti su “Underwater: i “sentimenti” non contano, ciò che conta è l’azione!

  1. Sono un’amante di questo genere di film, e avevo già messo gli occhi addosso a Underwater. Dalla tua recensione mi sembra proprio che in questo film troverò tutto quello che cerco. Grazie mille, anche per non aver spoilerato niente: anche se questi film hanno trame esili e personaggi inconsistenti non significa che a chi legge una recensione faccia sempre piacere sapere cosa accadrà per filo e per segno, anzi!

  2. Grazie a te. Comunque sì, se ami il genere sicuramente ti piacerà. Ripeto, non c’è spessore, ma l’intrattenimento è comunque di qualità secondo me.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.