VFW: il cameratismo di un gruppo di “vecchietti” al servizio di un horror deliziosamente citazionistico

Un gruppo di amici veterani di guerra si riunisce nel bar di uno di loro per festeggiarne il compleanno. Nel frattempo in città gira una droga potentissima, chiamata hype, che rende chi la assume simile a degli zombie assetati della sostanza e pronti a tutto pur di averla. La giovane Lizard, dopo che sua sorella viene uccisa dal capo degli spacciatori del quartiere, decide di rubargli una grossa quantità di droga e finisce per rifugiarsi proprio nel bar in questione….

VFW sta per Veterans of Foreign Wars ed è l’acronimo utilizzato sia per indicare i veterani di guerra protagonisti del film sia per nominare il bar all’interno del quale si barricheranno perché assaltati da spacciatori e drogati alla ricerca della droga “magica”. Il cameratismo che sta alla base dell’amicizia che lega questo gruppo di “vecchietti” molto duri a morire e l’aver partecipato ad una guerra come quella del Vietnam, fanno sì che le loro tecniche di sopravvivenza prima, e di attacco dopo, siano decisamente calzanti per un horror squisitamente incentrato sulla presenza di crani squartati, corpi maciullati, sangue schizzante ovunque e via di questo passo.

Il richiamo al tema della guerra finisce qui, perché non si parla di patriottismo o di retorica difesa di un “avamposto”, fosse anche il bar in cui si svolge la vicenda, ma siamo dalle parti di un vero e proprio omaggio a Distretto 13 – Le Brigate della Morte di John Carpenter (di cui il regista stesso fa ammissione già nei titoli di testa) e di un ritratto molto divertente e divertito di un gruppo di caratteristi ormai anzianotti che qui si riunisce per fare il culo ad una serie di figure utili solo come carne da macello, che cadono preda di armi di fortuna, costruite con quello che si trova all’interno del locale, fino ad arrivare ad avere a disposizione asce, mazze ferrate, piccoli esplosivi e non solo, tutti utilizzati per far saltare in aria gli assalitori.

Non c’è molto altro, per fortuna, in questo horror sporco e sanguigno, che si sofferma molto anche su un utilizzo dei dialoghi volto all’ironia più sfrenata e sul voler “glorificare” in qualche modo il lavoro degli attori protagonisti, a partire da uno Stephen Lang più in parte che mai (di recente nuovamente sulla cresta dell’onda grazie al suo particolarissimo personaggio in Man In The Dark), passando per caratteristi che spesso abbiamo visto in secondo piano in diverse pellicole cult del passato, come Fred Williamson, William Sadler, David Patrick Kelly e Martin Kove, e mettendo la “sua” Dora Madison (protagonista assoluta del precedente Bliss), nella banda rivale che, ovviamente, avrà quel che merita, per mano di questi “anziani” ancora pronti a tutto.

Con la zampata carpenteriana sempre in primo piano (non solo per l’assalto al centro della narrazione e per lo stile registico adottato, ma anche e, forse, soprattutto per l’utilizzo di una colonna sonora che richiama fortemente quelle del maestro), VFW è come se fosse una sorta de I Mercenari in salsa horror (con meno metacinema spicciolo e più azione), con tutta una serie di vecchie glorie che tornano insieme sullo schermo per fomentare tutti gli appassionati del genere, senza troppe pretese, ma con grande senso del ritmo.

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