Wounds: le ferite attraverso cui passa l’orrore del cambiamento

Will fa il barista e spesso copre il turno di notte per guadagnare più soldi, passando il tempo con gli avventori del bar e soprattutto con Alicia, ragazza per cui ha palesemente un debole pur essendo lei accompagnata da Jeffrey e lui fidanzato e convivente con Carrie, studentessa universitaria. Una notte, Eric, cliente abituale del bar, viene coinvolto in una rissa e rimane ferito pesantemente al volto, mentre alcuni ragazzini si divertono a filmare l’accaduto. Una volta sgombrato il bar, Will trova casualmente lo smartphone di uno di quei ragazzi e lo porta con sé per cercare di restituirlo. Quando riesce a sbloccarlo, però, cominciano ad arrivargli messaggi strani e sempre più inquietanti, messaggi che nascondono un mondo sommerso e oscuro che ben presto fagocita anche Will…

Aveva sorpreso veramente tutti con la sua precedente opera, il suo primo lungometraggio, Under The Shadow, horror d’atmosfera che raccontava anche di una guerra significativa e terrificante come quello tra Iran e Iraq, ambientando la sua storia negli anni ’80, agli inizi dell’annoso conflitto, perfetto teatro per trasmettere in chiave horror le paure e i “fantasmi” che un evento simile porta con sé.

Babak Anvari, regista anglo-iraniano molto promettente, non riesce a riconfermare la grandezza di quel piccolo film, sia permesso l’ossimoro, anche se con la sua seconda fatica, Wounds, indipendentemente dai confronti, riconferma, invece, la presenza di uno sguardo particolare e interessante nell’affrontare il genere declinandolo a racconti che riescono a trasmettere qualcosa allo spettatore, andando a toccare temi e argomenti di interesse universale, come ha fatto con l’opera precedente, o particolare, come con questo prodotto.

Perché in realtà le ferite del titolo, che poi sono le ferite tramite le quali i rituali gnostici al centro delle ossessioni del protagonista che vi assiste tramite video e fotografie che gli vengono inviati sul cellulare rivenuto nel bar, sono ferite sicuramente fisiche (c’è anche un po’ di godibilissimo body-horror alla Cronenberg prima maniera che fa capolineo nella narrazione), ma indubbiamente e primariamente metaforiche. E sono le ferite di una vita arrivata ad un punto morto (Will si trascina tra giornate tutte uguali a se stesse, senza ambizioni, senza emozioni, senza futuro) e, soprattutto, di un amore finito, strascicato, svuotato, caduto in un vortice di silenzi e incomprensioni (vortice che appare anche sul pc di Carrie, la fidanzata interpretata da Dakota Johnson, e che sembra spingerla in un orrore che la immobilizza e annichilisce, una volta fissatolo).

L’altro aspetto positivo di quest’opera è che il suo protagonista, interpretato in maniera perfettamente compassata da Armie Hammer, generalmente impegnato in interpretazioni più cool ed eleganti, è un uomo per il quale è difficile provare empatia, un ragazzo dagli atteggiamenti sgradevoli e dai comportamenti scorretti, del tutto incapace di rendersi conto dei suoi errori e delle sue mancanze, totalmente fuori fuoco rispetto al suo lavoro, alle sue amicizie e al suo rapporto d’amore. E questo risulta essere un aspetto positivo, perché questo tipo di personaggio è il viatico perfetto per raccontare questa storia soprannaturale che in realtà molto concretamente ci parla di come spesso i nostri comportamenti abbiano influenze totalmente devastanti sulle esistente degli altri e di come il non voler scegliere “da che parte stare” possa creare un mondo sommerso e terrificante di ambizioni inespresse, sentimenti nascosti, pulsioni represse, ferite, insomma, in cui può annidarsi l’orrore vero e proprio se si dà modo ad esso di entrare (in questo caso il cellulare funge da porta di ingresso per il percorso compiuto da Will).

Certo, Wounds in alcuni punti soffre di una ripetitività fine a se stessa, quasi come a voler raggiungere il minutaggio prestabilito per un lungometraggio, e sicuramente non ha la stessa potenza evocativa e lo stesso grado di coinvolgimento di Under The Shadow o di molti altri horror più riusciti in questo senso, ma alla piattezza emotiva fa riscontro un’ottima utilizzo degli ambienti, soprattutto il bar e l’appartamento, funestati dalla presenza di scarafaggi che cominciano a moltiplicarsi fino ad arrivare ad un numero spropositato. Scarafaggi che ovviamente si materializzano agli occhi di Will proprio mentre le falle della sua vita e dei suoi rapporti diventano palesi e non più ignorabili (mentre litiga con Carrie, ad esempio, ma non solo) e che ben presto lo spingono sempre più fortemente verso il mondo oscuro che ha iniziato ad attirarlo tramite il fatidico cellulare, forse perché ormai attratto dalla verità che questo mondo gli mette davanti agli occhi, fino ad arrivare ad un finale agghiacciante in cui, ormai totalmente sommerso e catturato nella rete, decide di far entrare letteralmente il cambiamento dentro di sé. Cambiamento che, così come tutti i cambiamenti personali che ognuno di noi può e deve compiere lungo il proprio cammino, lascia una scia di vittime consapevoli, ma molto più spesso inconsapevoli, dietro di sé.

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