State of play

REGIA:  Kevin McDonald

CAST: Russel Crowe, Ben Affleck, Rachel McAdams, Robin Wright Penn, Jeff Daniels, Helen Mirren, Jason Bateman, Viola Davis
ANNO: 2009

TRAMA:

Il giornalista Cal McCaffery e la giovane blogger Della Jones si ritrovano a dover scrivere un pezzo sulla morte di una giovane donna legata professionalmente e non ad un importante uomo politico, Stephen Collins, in passato amico e collega universitario di Cal. Quella che sembra essere una normale storia di suicidio amoroso, si rivela invece una misteriosa ed enorme storia di corruzioni e intrighi politici.

 


ANALISI PERSONALE

Un thriller che si adagia comodamente e pigramente su tutti i soliti clichè di genere questo “State of play” tratto da una miniserie della BBC e che quindi non riesce a raggiungere alte vette, rimanendo a metà strada nella scalata verso l’originalità di contenuti o di linguaggio. Ma, nonostante l’uso massiccio di stereotipi cinematografici e non (il giornalista impegnato sciatto e imbolsito, la giovane blogger un po’ ingenua ma determinata e graffiante, il politico belloccio e piacente, la moglie di una che è stata amante dell’altro, gli intrighi che stanno alla base del caso e via di questo passo), c’è qualcosa di cui poter godere in questa pellicola. C’è una sorta di riflessione moderna e attualissima sul tema del giornalismo (più e più volte sviscerato in capolavori e capisaldi della storia del cinema a cominciare dal mitico “Quarto potere”, passando per i più noti “Prima pagina”, “La signora del Venerdì” o “Tutti gli uomini del presidente” che più si avvicina idealmente a questo più recente prodotto) e su come stia morendo, o perlomeno come stia scomparendo nella forma in cui lo conoscevamo per “rinascere” fuso con la sempre più reale e viva realtà del giornalismo on-line, il cosidetto mondo dei blog.
Tralasciando le solite americanate (l’improvvisa e repentina intuizione sulla reale dinamica del caso viene al giornalista proprio poco prima della scadenza dei termini per consegnare l’articolo, ma non solo) si può godere anche dell’atmosfera tesa e serrata che si respira nella redazione del giornale e delle dinamiche di costruzione di una storia da parte di un giornalista chiamato a scrivere un articolo così scottante come quello che deve scrivere Cal, sempre provvisto di penna e taccuino, giornalista vecchio stampo che si fa aiutare da una giovane ed entusiasta blogger dotata di quell grinta e di
quella freschezza che lui non possiede più, ma perennemente sprovvista di penne e di “agganci”.
Decisamente apprezzabile anche la prova di tutto il cast a partire da un ottimo e molto convincente Russel Crowe (forse troppo imprigionato in questo genere di personaggi però) e persino del solitamente deludente Ben Affleck che riesce in questo caso ad impersonare adeguatamente l’uomo in balia degli eventi, al centro del mirino di gioranlisti assetati di scoop e politici alleati o avversari. Fanno da contorno attori del calibro di Helen Mirren nel ruolo del capo dal pugno di ferro e Robin Wright Penn nei panni della moglie del politico ex-amante del giornalista, la cui storia collaterale (non ha nulla a che vedere né con la componente politica né con quella giornalistica), contribuisce ad abbassare il livello della pellicola (il suo è, infatti, il personaggio più debole e meno interessante). Nel mezzo si pone l’incisiva Rachel McAdams, blogger moderna e tecnologica, che termina il suo “viaggio” accanto a Cal, con il collo circondato da una collana di penne. Nota di merito anche per i personaggi di contorno, forse troppo poco caratterizzati, interpretati da nomi di peso come Jason Bateman, Viola Davis o Jeff Daniels.
Un film che ha dunque dalla sua parte un cast validissimo di attori, una buona ambientazione e un’interessante riflessione sul mondo del giornalismo, ma che si perde in un bicchier d’acqua abbandonandosi a facilonerie di sceneggiatura e di regia fin troppo piatta e lineare per una storia così serrata come questa.
Quello che rimane è
l’idea della potenza della scrittura. Nonostante tutti gli ostacoli trovati durante il loro percorso lavorativo, insieme i due giornalisti riusciranno a mandare in stampa l’articolo riguardante il caso dell’omicidio dell’amante del politico (molto belli i titoli di coda che mostrano tutto il percorso che compie l’articolo dal computer di Cal fino a quando viene stampato), utilizzando e riunendo le potenzialità e i metodi dei loro diversi modi di intendere e concepire il giornalismo.


VOTO: 6,5

 


CITAZIONE DEL GIORNO

"Quando hai un problema che non puoi risolvere con i soldi…puoi risolverlo con molti soldi!!!" (Gatto nero, gatto bianco)


LOCANDINA

9 commenti su “State of play

  1. Un film che mi intriga proprio per il suo aspetto un po’ “vecchiotto” … Bella ed utile recensione, come sempre.
    Ciao, Ale

  2. No questo non è noioso, almeno non secondo me. E ripeto la riflessione sui vari “metodi” giornalistici è alquanto interessante.

  3. Invece a me è piaciuto molto!Linguaggio moderno pur avendo una struttura classica, una storia solida, un cast ben assortito e tensione lungo tutte le due ore. Un gran bel film di genere!

  4. Avrei gradito meno “americanate” e meno stereotipizzazioni di alcuni personaggi e situazioni. Comunque, a parte questo, a me il film è piaciuto soprattutto per il “discorso giornalistico”.

  5. State of play un thriller incalzante

    State of play, gioco di potere, ispirato ad una miniserie di successo trasmessa nel 2003 dalla Bbs, ricalca anche celebri film del passato come il preistorico L’ultima minaccia del 1952, del quale ripropone il finale, che scorre assieme ai titoli di coda, quando il mitico Humprey Bogart fa ascoltare il rombo delle rotative ad un gangster smascherato. In State of play un imbolsito quanto gladiatorio Russel Crowe celebra il trionfo del quarto potere, in grado di dipanare intrighi, chiarire misteri e fare giustizia, con lo scorrere frenetico dei macchinari del Washington Globe, che risuonano fragorosi come moderne trombe del giudizio.

    Un richiamo inconscio e costante si avverte anche con lo scandalo Watergate, che dà il nome ad una faraonica struttura immobiliare della fantomatica organizzazione al centro della trama, la quale ambisce a commesse belliche ultra miliardarie e ad impossessarsi, privatizzandolo, del sistema di sicurezza interno degli Stati Uniti.

    Crawe, nei panni del giornalista di razza, è beone, sovrappeso, capellone e indisciplinato, ma riesce a dipanare con la sua inchiesta i retroscena di una gigantesca corruzione che investe politica, industria ed esercito, la triade onnipotente che comanda non solo l’America, ma tutto il pianeta, facendoci percepire che l’ignaro cittadino ha un disperato bisogno di un’adeguata chiave di lettura per capire gli avvenimenti che lo riguardano. Le sue indagini faranno tremare le poltrone più importanti del Congresso, rivelando intrighi inquietanti, mescolati di sesso e denaro, fino al finale imprevedibile.

    Scopriremo inoltre che tutto il mondo è paese, infatti mentre noi dobbiamo vedercela con mafia, camorra e ndrangheta, oltre oceano la criminalità è talmente infiltrata nelle istituzioni da confondersi con essa e la maggiore sorpresa è constatare che il napoletanissimo cavallo di ritorno alberga non solo all’ombra del Vesuvio, ma viene praticato anche all’ombra del cupolone della Casa Bianca.

    Allo strapotere di una società basata unicamente sull’accumulazione di denaro, facendo leva su un puteolente amor patrio e su una miriade di militari esaltati e violenti, la storia contrappone l’utopia di un giornalismo libero capace di far venire a galla la verità e trionfare la giustizia. Una favola moderna che, mentre internet con le sue notizie in tempo reale ed i suoi blog si appresta a far scomparire la carta stampata, farà sognare, sulle ali di una eccitante fantasia, migliaia di aspiranti cronisti italiani, costretti tra precariato ed insoddisfazioni, ad un’interminabile anticamera nelle redazioni di quotidiani e televisioni locali.

    Achille della Ragione

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