Il monello




 

Uno dei grandi geni cinematografici dello scorso secolo, Charlie Chaplin, attore, autore, regista e sceneggiatore dall’animo artistico e dal carattere fanciullesco, si ritrova per la prima volta a dirigere ed interpretare un lungometraggio, pervenendo a dei risultati sorprendenti e stupefacenti.

“Il monello”, infatti, abbandona il carattere totalmente comico e “fracassone” dei precedenti lavori di Chaplin, per diventare una perfetta e riuscitissima fusione tra il melodramma e l’ironia con un’immancabile, soprattutto nei film a venire, critica alla società di allora, fatta di soprusi nei confronti dei più deboli e di ingiustizie e prepotenze da parte delle istituzioni in primis, ma non solo (il riferimento all’arricchimento della protagonista femminile non è ovviamente casuale, così come la figura del poliziotto corpulento e antipatico).

Come anticpia la didascalia iniziale, “Il monello” è un film che ci strapperà sicuramente delle risate, ma quasi più certamente delle lacrime, visto che sarà difficile trattenersi di fronte al rapporto tenero e dolcissimo che si instaura tra il vagandono Charlot, vetraio di professione, e il piccolo orfanello che viene abbandonato dalla ragazza madre e cresciuto da Charlot stesso.

Il vagabondo, che si mantiene facendo ricorso ad espedienti vari, si vedrà costretto a prendersi cura del bambino trovato per strada e ben presto si prenderà cura di lui nelle migliori delle maniere con mezzi di fortuna: la sedia bucata come vasino, la teiera come biberon e cose di questo genere. Impossibile non emozionarsi per il rapporto amorevole e affettuoso che si instaura tra questi due grandi personaggi (in realtà possono essere visti come lo sdoppiamento dello stesso tipo universale, il bambino troppo cresciuto e l’adulto ancora troppo bambino), come dimostrano molte sequenze che inteneriscono lo spettatore, prima su tutte quella in cui il bambino (interpretato da quel Jackie Coogan che in futuro sarebbe diventato il celebre Zio Fester della Famiglia Addams) prepara la colazione o aiuta il suo “papà” a mandare avanti la baracca, rompendo con delle pietre i vetri delle abitazioni che poi verranno cambiati proprio da Charlot, di passaggio, “causalmente”, con dei vetri di ricambio.

Il film prosegue mantenendosi in un perfetto equilibrio tra comico e tragico, con delle gag per niente eccessive e molto divertenti (come la lotta tra il bambino e un bulletto di quartiere che poi diventa una vera e propria rissa tra Charlot accorso per difendere il suo figliolo e il fratello dell’altro ragazzino, o la figura del vagabondo ospite di una specie di ostello, che durante il sonno tenterà di sgraffignare delle monete dalle tasche di Charlot, tipicamente vestito alla sua maniera e cioè con giacchetta stretta, pantaloni larghi e scarpe enormi).

Tra una marachella e l’altra però i due protagonisti verranno divisi a causa della cattiveria o ignoranza altrui (altra critica neanche troppo velata) e anche in questo caso trattenere le lacrime sarà difficile, visto che non ci saranno risparmiate le scene strazianti della separazione tra padre e figlio che richiamano le atmosfere melodrammatiche dell’incipit in cui la povera ragazza madre, forse a causa di una società fin troppo giudicante e retrograda, si vedrà costretta ad abbandonare il frutto di un amore “clandestino”, salvo poi pentirsi e tornare indietro per rendersi conto di aver perso la possibilità di ricongiungersi col bambino, lasciato in un’auto lussuosa, rubata però da due malviventi.

Una volta divenuta ricca e famosa, la donna (interpretata da Edna Purviance allora attrice preferita di Chaplin e in seguito anche sua grandissima amica ed amante) placa il suo senso di colpa prendendosi cura delle povere madri e dei loro bambini, abitanti dei quartieri più poveri, così come Charlot (padre e madre allo stesso tempo) e il suo piccolo monello. Quando si renderà conto della realtà dei fatti vorrà ricongiungersi con suo figlio, facendo sprofondare il povero Charlot, separato nuovamente dal bambino di notte dal gestore dell’ostello che leggendo della ricompensa sul giornale non ci pensa due volte a portare il monello alla stazione di polizia, nella disperazione più cupa e delirante. Il vagabondo si accascerà sugli scalini della sua scalcinata abitazione e si abbandonerà ad un sonno attraversato da un sogno apparentemente paradisiaco: il viale della sua abitazione tutto fiorato e lindo verrà popolato da una serie di personaggi alati, tra cui il suo amatissimo bambino che lo condurrà per mano in un volo dolcissimo. Peccato che dei diavoletti tentatori riusciranno a spezzare questo idillio fino a giungere ad un epilogo tragico coincidente con il risveglio dell’uomo strattonato dal poliziotto che lo condurrà verso un finale un po’ meno amaro, ma comunque non del tutto risolto.

Inutile rimarcare l’impareggiabile maestria del genio Chaplin, capace di svolgere egregiamente e inimitabilmente entrambi i mestieri di attore (rimarrà per sempre indelebile nella storia del cinema la sua mimica corporale e facciale, con la tipica camminata alla Charlot e le innumerevoli espressioni sempre intense a metà strada tra il tragico e il comico) e di regista (la sequenza del sogno è di una bellezza strabiliante oltre che di un’inventiva non indifferente e arricchita dalla caratteristica di portatrice di un messaggio quale l’impossibilità di trovare piena felicità e giustizia in questa vita fatta di stenti e povertà, così come è stata realmente l’infanzia di Chaplin, salvo poi mostrarci la felicità delle “piccole cose”), qualità ampiamente ravvisabili in questo piccolo-grande capolavoro dotato di una enorme potenza emotiva e comunicativa.


11 commenti su “Il monello

  1. Si, del resto lo dice chiaramente la didascalia iniziale. Io ho davvero riso e pianto e non mi commuovo mai così facilmente…

  2. Chaplin aveva un dono, quello di riuscire a comunicare alle masse con la semplicità e l’innoncenza di un bambino temi tragici e questioni importanti. Nei suoi film parla di lotta di classe, di rincorsa al capitale, di guerra, di omicidi, di progresso e sempre riesce a farti arrivare ogni pensiero, ogni parola, ogni immagine sottopelle.

    Io quando inizio a vedere IL MONELLO poi finisco per vedermi tutta la sua filmografia, rigorosamente in ordine cronologico: l’evoluzione di questo personaggio è straordinaria.

  3. Sono d’accordo. In questo era, forse involontariamente, geniale. Anche io preferisco vedere tutto in ordine cronologico ^^

  4. Grande film, forse non il migliore di Chaplin ma di un fascino davvero unico. In parte il film è anche autobiografico in quanto anche Chaplin fu portato in un orfanotrofio da bambino.

    Durante il film viene fuori anche in più occasioni l’anarchismo Chapliniano nell’impartire una cattiva educazione al piccolo, nettamente contro l’istituzione.

    Un grandissimo Coogan riuscì a conquistare davvero le platee di tutto il mondo con quell’immortale interpretazione che affascina e commuove molto.

    Ottima analisi Alessandra e sfrutto l’occasione per farti i complimenti per il tuo blog che in questi giorni sto visitando con attenzione… e mi sta piacendo assai.

  5. Ciao Daniel, si in effetti è anche molto autobiografico questo film.

    Grazie per la visita e i complimenti al mio blog.

  6. Mi unisco ai commenti positivi su questo film. Come si fa a non essere d’accordo davanti a un film tanto intenso e semplicemente complesso? Credo si possa dire: capolavoro. E per me nel cinema i capolavori non sono molti.

  7. anche io non mi commuovo mai facilmente, specialmente vedendo un film, ma questo è uno dei pochi casi in cui ciò è avvenuto. Immenso Chaplin.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.