I segreti della mente

REGIA: Hideo Nakata
CAST: Aaron Johnson, Imogen Poots, Matthew Beard, Hannah Murray
ANNO: 2011
 
William, diciassettenne problematico e in conflitto con la famiglia, apre una chatroom nella quale attira alcuni coetanei, fingendo di interessarsi ai loro drammi e di volerli aiutare, ma col solo intento di spingere alcuni di loro al suicidio per appagare un vuoto esistenziale che egli stesso non riesce a colmare.
 
Dopo il mezzo sfacelo fatto con “The incite mill”, da Hideo Nakata, regista dell’ormai cult movie “Ring” e uno dei capostipiti del cosiddetto j-horror, non era poi così lecito aspettarsi il filmone. Detto questo, però, era giustificabile, invece, l’attesa di un film perlomeno decente e sufficientemente apprezzabile, attesa che risulta del tutto vana a fine visione. Quello che stupisce de “I segreti della mente”, banalistico titolo italiano per il ben più indicato “Chatroom”, è infatti, la sua totale incapacità di destare il minimo interesse, protraendosi per tutta la sua, per fortuna breve, durata in maniera stanca, a tratti ridondante, ma soprattutto piatta e noiosa. Eppure l’idea di base non è affatto spregevole, trattandosi della messa in scena vera e propria di un mondo virtuale sempre più pressante e incombente e delle implicazioni etiche, sociali e psicologiche che determinati fenomeni possono creare, soprattutto quando agiscono sulle menti più deboli e malleabili. Fatto sta che, al di là di un’interessante realizzazione di queste chatroom create per attirare appassionati di un determinato argomento o pratica o stile di vita, il film offre veramente ben poco. Aggiungiamoci che questa realizzazione non è poi nemmeno così entusiasmante, perlomeno dal punto di vista visivo ed effettistico, soprattutto se lo spettatore ha in mente ben più indimenticabili realizzazioni del virtuale già messe in pratica cinematograficamente parlando (i primi esempi che vengono in mente sono “eXsistenz”, “Matrix”, “Inception”, ma non solo); e il sentimento di indifferenza che “I segreti della mente” lascia a fine visione, sarà più comprensibile. Nakata, infatti, vede queste chatroom come dei veri e propri stanzoni, addobbati ad arte a seconda dell’argomento, all’interno del quale alcune persone si ritrovano per condividere i propri pensieri (ed è così che vedremo i protagonisti sia nel mentre scrivono ai loro pc, sia nel mentre si immaginano fisicamente in questi corridoi affollati e poi nelle stanze private vere e proprie). Anche dal punto di vista delle considerazioni e riflessioni di fondo, o se vogliamo dei sottotesti, il film lascia un po’ a desiderare, anche perché accompagnato da una sceneggiatura fin troppo semplicistica e a tratti retorica che offre un parterre di personaggi che hanno dell’infantile, nell’accezione negativa del termine, e che sono caratterizzati da una serie di ovvietà a non finire. Anche in questo senso, tra l’altro, altre pellicole hanno affondato il coltello più in profondità, riuscendo a trasmettere le loro idee su questo specifico argomento con più efficacia e personalità (basti pensare al recente “Ben X”).
Rimane, dunque, ben poco da apprezzare in questa pellicola che sicuramente passerà inosservata e verrà presto dimenticata. Forse la prestazione del mellifluo e malefico protagonista interpretato dal giovane Aaron Johnson, stella nascente del cinema, volto prima dell’adolescente John Lennon in “Nowhere boy” e poi del supereroe da strapazzo in “Kick-ass”? Forse qualche suggestione musicale in accompagnamento dei momenti virtuali, resi in qualche modo quasi realistici e tangibili? Certo è che si tratta davvero di pochi elementi per poter affermare di avere a che fare con una pellicola in qualche modo salvabile e neanche lontanamente memorabile. Sono sicuramente lontani i temi di “Ring” e appare chiaro che l’occidentalizzazione del cinema di Nakata non sta offrendo buoni risultati e non lascia altro che l’amaro rimpianto e la nostalgia per un cinema altamente caratterizzato e sicuramente coinvolgente come quello del suo film d’esordio. Dal videoregistratore a internet, insomma, per Nakata, comunque, il pericolo si nasconde sempre in una tecnologia fin troppo incombente e pressante. Sentimento più o meno condivisibile, nel primo caso accompagnato da un’idea di cinema alquanto perturbante e suggestiva, nel secondo, decisamente più scialba e incolore.

VOTO:

Pubblicato su www.livecity.it

4 commenti su “I segreti della mente

  1. non è il primo che andando in america si è smarrito,penso a Woo.E non solo.
    Non è sempre stato così però,perchè uno dei miei registi preferiti Fritz Lang in america ha diretto dei capolavori assoluti

  2. Questo è vero. C'è da dire però che qua abbiamo proprio sbracato o quasi…Woo perlomeno un po' di decenza l'ha conservata, anche se devo ammettere che non conosco benissimo il suo cinema.

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