Quel treno per Yuma (1957) vs Quel treno per Yuma (2007)

IL DIAVOLO TENTATORE TENTATO DALL’ONESTA’

“Quel treno per Yuma” (titolo originale 3:10 to Yuma), rispetta e contiene tutti i topoi del genere: deserti polverosi, cowboy “a bordo” di cavalli e armati di pistole, rancheri e banditi. L’assunto della pellicola è l’avventura di un allevatore che si ritrova, un po’ per bisogno di soldi un po’ per senso di giustizia, a scortare un terribile bandito fino alla stazione che poi lo condurrà a Yuma, dove sarà processato.
L’incipit è davvero interessante: una carrellata dal basso verso l’altro, accompagnata da una canzone country appositamente composta per la pellicola, ci mostra l’arrivo della diligenza. Poi l’assalto vero e proprio, senza nessun tipo di preambolo. La violenza dilaga quando meno ce l’aspettiamo e un pover’uomo perde la vita in maniera agghiacciante. Dopo la sua morte, il bandito pronuncerà le seguenti parole: “Dove vive, lì dev’essere sepolto”, lampante dimostrazione, questa, del rispetto dei delinquenti verso le proprie vittime, di una sorta di codice d’onore che regola la condotta e i comportamenti dei banditi. Altro grande elemento di riflessione è l’impotenza di fronte al male assoluto: il ranchero non può intervenire per evitare la tragedia e per questo si fa prendere dai sensi di colpa, soprattutto perché anche i figli hanno dovuto assistere all’assalto e alla sua impossibilità di evitare l’omicidio e il furto. E’ questo il tema di fondo della pellicola: il rapporto dicotomico tra i due protagonisti (il ranchero e il bandito), incarnazione vivente di due caratteristiche contrapposte, l’onestà e la disonestà. Il primo si fa esponente della giustizia, disposto a tutto pur di consegnare un criminale alla legge, nonostante l’iniziale motivazione che lo spinge a fare da scorta sono i soldi offertigli dal padrone della diligenza; il secondo non si preoccupa minimamente del destino a cui va incontro, totalmente convinto di farla franca grazie anche alla connivenza dei componenti della sua banda. A porsi nel mezzo, un personaggio apparentemente secondario, ma portatore di un’importante tematica: la giustizia arbitraria, quella fatta e decisa da sé. Ed è così che un amico della vittima tenta di assassinare il bandito per vendicarsi. Il ranchero, però, sventa il tentativo di omicidio, perché assertore della giustizia assoluta, di una punizione esemplare ma non arbitraria. La cosa che salta subito all’occhio guardando “Quel treno per Yuma” è la quasi innaturale simpatia del criminale, il cosiddetto fascino del maledetto. Il criminale riesce ad attrarre non solo lo spettatore, ma anche alcuni personaggi della pellicola: l’ex cantante, ora barista dell’ufficio dello sceriffo e la stessa moglie del ranchero che si fa “abbindolare” dai suoi complimenti sul colore degli occhi. Il male ha parecchie vie per contagiare il bene, una di queste è sicuramente il potere della tentazione e della persuasione, altro tema di fondo della pellicola. Solo i puri d’animo possono resistere a questo genere di pressioni, ma non sempre i buoni propositi sono di così facile attuazione. Il bandito tenta di corrompere l’allevatore offrendogli un mucchio di soldi. Il ranchero sarà vessato dalle sue continue proposte di denaro e dovrà resistere fino alle 3:10 ora di partenza del treno per Yuma. Sistemare sua moglie e i suoi figli per tutta la vita o rimanere ben saldi ai propri principi? I più moralisti potranno pensare che il solo tentennare di fronte a certe tentazioni sia indizio di mancanza di valori ben saldi, ma chiunque versi in determinate condizioni di debolezza (il protagonista ha problemi economici, non riesce a mandare avanti la baracca con le sue sole forse, anche perché si prospettano sei mesi di siccità), può cadere facile vittima di un simile diavolo tentatore, pur possedendo una moralità di ferro. Chi dei due vincerà? La morale e la giustizia assoluta o la cupidigia e la giustizia personale? Il finale molto poetico e inaspettato ci mostrerà che non sempre la contrapposizione tra bene e male è così netta e precisa.


EROE PER CONCESSIONE

Niente più carrellata iniziale, ma già un bel po’ di adrenalinica azione: l’incipit di questo remake è completamente diverso da quello dell’originale. Il punto di vista è centrato sulla famiglia dell’allevatore che in questo caso ha una gamba di legno ed è vessato oltremodo dai suoi creditori che per avvertimento danno fuoco alla sua stalla e rubano la sua mandria. Ma le differenze tra le due pellicole sono veramente molte e dal confronto è sempre l’originale ad uscirne vincitore.
Il tema principale di questa pellicola, al di là del rapporto tra i due protagonisti, è molto probabilmente il rapporto padre-figlio, tra il povero ranchero e suo figlio maggiore che non lo guarda come lui vorrebbe essere guardato, e cioè come una guida, come un eroe (“Un giorno William diventerai un uomo e capirai” “Si, ma io non farò mai come te”). La figura del ragazzo, nell’originale solo accennata, qui assume un ruolo centrale e per certi versi salvifico, la sua comparsa in un paio di occasioni eviterà la tragedia. Il ragazzo sarà quasi affascinato dalla figura del bandito, forse molto più coraggioso e avventuroso di suo padre (“Non credo che sparerai alla testa un uomo che ammiri” gli dirà infatti il criminale quando se lo ritroverà alle spalle con una pistola puntata alla testa). Ma i personaggi che si affastellano durante la pellicola sono veramente molti: il dottore, i creditori dell’allevatore, i fratelli di una vittima del bandito che vogliono vendicarsi uccidendolo con le proprie mani, ecc…Insomma, c’è troppa carne al fuoco senza consistenza in questo “Quel treno per Yuma”, laddove l’essenzialità dell’originale riusciva a comunicare ben più profonde riflessioni.
Russel Crowe è un cattivo meno affascinante e sicuramente a tratti più viscido di Glenn Ford (seppure possiede rispetto a questo la capacità di fare splendidi ritratti), Christian Bale è un buono molto più sofferto e melodrammatico di Van Heflin. Una maggiore stereotipizzazione, questa, che rende il tutto molto più netto e prestabilito, non lasciando spazio a nessun tipo di sfumature. I personaggi, le situazioni, i dialoghi e anche la recitazione sono quasi fumettistici: sguardi impostati, battute predefinite, gesti quasi calcolati e situazioni al limite del ridicolo come ad esempio il volo da un dirupo di un componente della scorta a causa di commenti poco lusinghieri nei confronti della madre di Ben Wade, il bandito. Le scene d’azione sono moltiplicate e anche molto più dettagliate, basti pensare allo stesso assalto alla diligenza, nell’originale quasi stilizzato, qui sviscerato nei minimi particolari. Anche il numero dei morti aumenta in modo esponenziale, non esiste nessun codice d’onore, ci si ammazza anche all’interno della stessa banda. Insomma, molte più sparatorie e molta meno poesia. C’è spazio anche per una sorta di amicizia che nasce tra i due protagonisti, nata per compassione da parte del bandito e per disperazione da parte del ranchero. A spingere quest’ultimo non è più il senso di colpa, misto a senso di giustizia e a bisogno di denaro, ma principalmente il desiderio di mostrarsi come un vero eroe ai propri figli e alla propria moglie, intento nel quale riuscirà solo grazie ad una “gentile concessione”. Molto inverosimile risulta, infatti, il finale (con una sola pistola e l’handicap della gamba di legno, il protagonista buono riesce a far fuori quasi tutti i componenti della banda di Wade), anche se negli ultimi minuti si fa in qualche modo emozionante, seppur un po’ troppo stucchevole.

Pubblicato su www.supergacinema.it

4 commenti su “Quel treno per Yuma (1957) vs Quel treno per Yuma (2007)

  1. Però mi aspettavo di più dal remake, seppur rimane comunque un film sufficiente. Peccato, per me un’occasione sprecata.

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