Rendition – Detenzione illegale

REGIA: Gavin Hood

CAST: Jake Gyllenhaal, Reese Witherspoon, Meryl Streep, Alan Arkin, Peter Sarsgaard, Omar Metwally
ANNO: 2007

TRAMA:

In seguito ad un attentato terroristico nel Nord Africa, l’ingegnere Anwar El-Ibraimi, viene catturato ed arrestato segretamente, secondo la consuetudine americana (acuita dopo l’11 settembre) di poter detenere illegalmente persone sospette di avere contatti con frange di terroristi fondamentalisti.

 



ANALISI PERSONALE

Detenzione illegale, recita il sottotitolo italiano di questo film. E mai come in questi ultimi anni, il tema della pellicola ha assunto connotati purtroppo estremamente reali ed attuali. I tg, ma anche gli altri canali di informazioni (youtube su tutto) non fanno altro che informarci di queste terribili pratiche effettuate ai danni di persone colpevoli di essere nate in un determinato paese. La pratica chiamata extraordinary rendition, consiste nell’arrestare in maniera non molto ortodossa il sospettato di turno, nel rinchiuderlo in una prigione segreta e nel torturarlo inumanamente fino a farlo confessare. Il soggetto è coraggioso, ma il modo di affrontarlo è poco incisivo, non graffia, non colpisce. Si poteva osare molto di più e soprattutto si poteva giocare meglio con le psicologie dei vari personaggi che, invece, restano solamente abbozzati, anche quello che dovrebbe essere il protagonista con un cognome simbolico: Freedman. La pellicola non tocca mai momenti alti e si limita a mostrarci, peraltro in maniera molto blanda, alcune fasi della tortura o l’affannosa ricerca di una moglie che ha perso il marito o il dubbio del funzionario americano chiamato ad assistere agli interrogatori o il pugno fermo di una donna intrallazzata nella politica americana. Molti i personaggi che fanno la loro comparsa sullo schermo, ma molto deboli i legami che li uniscono e soprattutto poco profonda la loro interiorizzazione. Il più ambiguo e mal costruito è sicuramente il succitato protagonista, il quale assiste senza batter ciglio alle torture e che poi cambia idea senza un motivo vero e proprio. Numerose anche le incongruenze e di difficile comprensione e digestione il finale, che si costruisce su due binari diversi, facendoci rimettere in gioco tutto quello che abbiamo visto fino ad allora.

Anwar El-Ibraimi (l’emaciato Omar Metwally, viene da chiedersi se l’abbiano scelto appositamente così magro) sta tornando in America dalla sua famiglia dopo un summit di lavoro in Africa. Ha una bellissima moglie (la sofferente Reese Witherspoon), una fedelissima mamma e un bellissimo bambino. Nel frattempo in Nord-Africa, viene compiuto un attentato che invece di colpire il diretto interessato (il comandante della polizia locale), fa perdere la vita, tra le altre vittime, al collega di Douglas Freedman (l’apatico Jake Gyllenhaal), il quale si ritrova da solo a dover dirigere la squadra antiterroristica lì di istanza. Il povero Anwar, di scalo in Nord Africa, viene arrestato per la sua nazionalità ma soprattutto perché sui tabulati del suo cellulare (o di quello che si presume essere tale) vengono trovate delle telefonate ricevute ed effettuate verso un tale Rashid, che si suppone essere il leader di questa frangia terroristica, la quale in passato aveva attuato altri piani terroristici. L’uomo si ostina a ripetere di non conoscere nessun Rashid, di vivere in America da 20 anni, di essere sposato con un’americana e di avere un bambino piccolo, di essere uno stimato ingegnere e via dicendo, ma tutto questo non basta. Viene arrestato e portato in un carcere segreto, dove molto presto comincia ad essere torturato dal comandante della polizia che vuole ottenere informazioni su Rashid e sul suo gruppo di radicali islamici.


Ad assistere alle torture viene mandato lo stesso Freedman, che ha una relazione segreta con un membro della sua squadra, una donna che lo aiuterà dopo quando cambierà  idea, e che deve dar conto alla signora Corrine Whitman (la sempre fantastica Meryl Streep), la quale decide e organizza tutto ciò che riguarda l’extraordinary rentition.
Nel frattempo Isabella, la moglie di Anwar, incinta di parecchi mesi, si mette in moto per trovare suo marito e chiede aiuto ad un suo vecchio compagno di college, tale Alan Smith (Peter Saarsgad),  forse all’epoca innamorato di lei, che lavora per il senatore Hawkins (il poco sfruttato Alan Arkin) che ha una relazione clandestina con la stessa Whitman. All’inizio l’uomo sembra voler aiutare la sua amica, con la connivenza del senatore, ma quando appare chiaro che sporcarsi le mani può provocare gravi danni, Isabella verrà abbandonata al suo destino.
Contemporaneamente nel Nord Africa le torture continuano (l’uomo è tenuto rinchiuso al buio, tutto nudo, in un buco), ma Freedman sembra dissentire con i metodi del suo collega, anche se non può fare nulla per opporsi. Alla fine la sua coscienza, o il suo dubbio sul reale coinvolgimento di Anwar nell’attentato terroristico, gli fa compiere un atto a dir poco rischioso…

Quello che non funziona nel film è proprio lo scarso approfondimento degli avvenimenti, dei personaggi, dei legami tra questi, delle psicologie, dei motivi che spingono ciascun protagonista ad agire come agisce e via dicendo. La moglie che appare estremamente fiduciosa nei confronti del marito, ad un certo punto dubita di lui, ma questo dubbio dura meno di una telefonata; il suo amico che sfida mari e monti per aiutarla ad un certo punto abbandona tutto solo perché il senatore gli dice che c’è in gioco anche la sua carriera (non lo sapeva già inizialmente?); Freedman non ha personalità e pare quasi assistere inerme a tutto ciò che gli capita per poi diventare incomprensibilmente, quasi un eroe, ma soprattutto non si capisce come mai i tabulati del cellulare di Anwar contenessero quelle telefonate o come mai i torturatori ne siano così sicuri (Anwar è davvero coinvolto, allora? Alla domanda non viene data risposta). Come se non bastasse, nel corso della pellicola ci viene mostrato un altro filone narrativo: un giovane musulmano sfreccia con la sua motoretta insieme ad una ragazza (la figlia del comandante della polizia locale) e pare che sia coinvolto anche lui in alcuni gruppi di fondamentalisti, trascinando con sé anche la ragazza ciecamente innamorata. La storia di questi due ragazzi poi va a legarsi con tutto il resto della vicenda, anche se nel finale ci appare chiaro (?), che i due episodi non erano separati solo dal punto di vista narrativo, ma soprattutto dal punto di vista temporale (nonostante nel corso della pellicola ci sono dei vari indizi e delle varie scene montante proprio come se i due avvenimenti fossero contemporanei), la qual cosa non fa altro che aumentare la confusione e soprattutto la delusione su un film che poteva costituire un’interessante pagina di cinema che rispecchia l’attualità. 

VOTO: 5

 



CITAZIONE DEL GIORNO

E’ uno scandalo vedere brutti manifestanti che disturbano belle persone! (Da "Zoolander")


LOCANDINA

18 commenti su “Rendition – Detenzione illegale

  1. insolita stangata (sul voto, ma su ciò che hai scritto non sei stata poi troppo spietata) per un cuore tenero come te…! la questione dello scarso approfondimento dei personaggi e degli avvenimenti l’avevoi notata nell’altro film di gavin hood “il suo nome è tsotsi”, immeritato oscar come film straniero nel 2005. rendition lo aspettavo, ma…devo abbassare le aspettative a quanto leggo…

    mario

  2. Bè se questa è un’insolita stangata, prova a vedere sotto il voto di Prospettive di un delitto! 😛

    E poi non cono così come tenera come sembro! 😛

  3. tsotsi mi era piaciuto molto, e anche rendition mi è sembrato un film molto valido su una pratica vera che pochi conoscono, la detenzione illegale… ammazza l’ammmericani ao

  4. Lessio, infatti è interessante che si sia voluto fare un film su questa pratica, però farlo meglio no? Per me è molto superficiale…

    Al, bè non c’è proprio paragone guarda!

  5. non sei la prima a stroncarlo…mi pare che anche trinity rimase delusa….peccato perchè con quel cast si potevan far faville…si comunque io questa settimana il cine lo salto….niente di eccezionale…anzi a sentir te proprio brutture!

  6. Bè questo e Prospettive di un delitto sono della settimana passata, questa settimana, a parte qualche documentario interessante (che da me non uscirà mai), non mi interessa nessuna uscita…

  7. Peccato, perché poteva essere un grande film (con una sceneggiatura simile). Non so se lo vedrò. Di sicuro al cinema no visti i tanti film arretrati.

  8. Infatti, se proprio devi recuperalo in dvd, perchè ripeto la tematica è molto interessante, ma a mio avviso è sviluppata proprio male…

  9. Il film mi interessava per la tematica trattata, però mi basta questa frase “il soggetto è coraggioso, ma il modo di affrontarlo è poco incisivo, non graffia, non colpisce” per decidere di evitare il cinema.

    Lo recupererò in dvd con calma, ci sono troppi film che devo ancora vedere al cinema ^^

    Ciao,

    Lorenzo

  10. Fai benissimo! Poi ovviamente il mio è solo un parere personale, magari a qualcuno è piaciuto e l’ha trovato graffiante…ma io non ne ho avuto notizie ^^

  11. 5 non è poi così male. C’è di peggio (guarda sotto), secondo me il film non colpisce, nonostante l’argomento.

    Si può tranquillamente saltare comunque ^^

  12. “E’ uno scandalo vedere brutti manifestanti che disturbano belle persone!”

    che mito, che mito! è sul podio dei film che mi hanno fatto più ridere al cinema

  13. Un tema quanto mai attuale: la consegna straordinaria (extroardinary rendition), il programma segreto della Cia contro chi è sospettato di terrorismo (il presunto colpevole viene rapito e deportato in Paesi dove sono consentite condizioni inumane, privazione dei diritti fondamentali e torture).

    Un film non riuscito completamente (il ritmo è lento, il cast prestigioso non utilizzato al meglio, il finale eccessivamente consolatorio e improbabile…) ma che ha l’indubbio merito di farci riflettere sugli errori che tutto il mondo continua a commettere quando è in gioco la propria salvaguardia (cosa è cambiato dall’epoca del nazismo?).

    Primeggiano le due primedonne, Reese Witherspoon è da lodare per misura ed equilibrio in un ruolo in cui era facile eccedere, Meryl Streep conferma ancora una volta la sua eccezionale bravura (le basta un cenno, uno sguardo per rappresentare il male assoluto).

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