Speciale Ivan Zuccon – 1° parte




IVAN ZUCCON E L’IMPONDERABILE FASCINO DELL’ORRORE

Il cinema horror, genere che apparentemente non ha nulla da dire se non mostrare il terrore attraverso effetti speciali o magie del trucco su attori e “mostri” vari, in realtà è stato da sempre teatro di riflessioni e considerazioni di non poco conto sulla società, la religione e numerosi temi di interesse non indifferente, così come hanno dimostrato tantissime pellicole appartenenti al genere che si sono succedute negli anni riscuotendo enormi successi o immeritati insuccessi. In Italia abbiamo avuto la nostra stagione d’oro, per quanto riguarda il cinema di genere, grazie a grandissimi registi che hanno saputo dare linfa vitale ad un genere ritenuto erroneamente minore. Trattasi dei grandi Fulci, Bava, Deodato, D’Amato, Mattei, Avati e compagnia danzante, che hanno sfornato capolavori indimenticabili rimasti ormai nella storia dell’horror e del cinema. Ma non bisogna credere che l’horror italiano sia scomparso dopo la rispettiva scomparsa dei suoi maestri e capostipiti, perché ci sono registi che continuano a coltivare la loro passione e il loro talento sfornando pellicole degne di nota, seppur completamente ignorate dalla distribuzione italiana.

E’ questo il caso, ad esempio, di Ivan Zuccon che ha saputo farsi strada nel mondo del cinema proprio grazie alla sua grande passione per l’horror. Partecipando a vari festival con i suoi primi corti, si è fatto conoscere soprattutto all’estero. Poi è arrivato il momento dei lungometraggi, tutti o quasi ispirati al genio narrativo di H. P. Lovercraft, a cominciare da “L’altrove” (The darkness beyond) del 2000, proseguendo con “Maelstrom – il figlio dell’altrove” del 2001, “La casa sfuggita” (The shunned house) del 2003, “Bad brains” (Degenerazione) del 2006, “NyMpha” del 2007 e la sua ultima fatica “Colour from the dark” del 2008.

Analizzando le ultime tre pellicole del regista, tentiamo di darne un ritratto alquanto esaustivo ed approfondito con l’intento di diffondere il suo cinema molto particolare ed interessante, soprattutto perché non convenzionale e asservito, oltre che di ottima qualità:

BAD BRAINS

Davide e Alice, fratello e sorella, ma anche amanti, vivono in un casolare sperduto in campagna dove compiono efferati omicidi alla ricerca di qualcosa nei corpi delle loro vittime. Una notte giunge nel loro rifugio un ragazzo, Mirko, che sembra conoscerli meglio di chiunque altro e che sembra avere un legame molto particolare e simbiotico con Davide.

 

Un horror quasi estremo questo “Bad brains”, non solo per l’elevato impatto gore presente in esso, e comunque mai eccessivo e decisamente funzionale alla storia narrata, ma anche e soprattutto per le tematiche quasi terrificanti che vengono affrontate con attenzione e approfondimento. Si va dalla follia, protagonista assoluta più degli stessi personaggi che si muovono in questo casolare decisamente angosciante, passando per sottotematiche come il cannibalismo, l’incestuosità, l’importanza dell’anima e della sua forza “stabilizzante” (“Chi non ride mai è senza anima”, dirà la mamma dei due protagonisti, a sua volta vittima di una ferocia inaudita, soprattutto considerando che ha preso vita sin dalla tenera età dei due serial killer). E sembra quasi che i due, Davide e Alice, non si rendano conto dell’efferatezza delle loro azioni, descrivendo loro stessi come “ricercatori” piuttosto che come sadici e crudelissimi assassini. Loro infatti uccidono a più non posso perché sono alla ricerca di qualcosa ben definito che dovrebbe trovarsi all’interno dei corpi maciullati e torturati all’inverosimile. La visione di copiosissimi fiotti di sangue, gocciolanti persino dalle pareti o dalle lampadine del casolare, non ci verrà sicuramente risparmiata, così come lo splatter più impressionante (lode agli effetti speciali davvero ben curati) come quando Davide mangia l’occhio di una delle sue vittime. “Bad brains” è infatti un film altamente disturbante, ma anche particolarmente turbante. A fine visione si rimane con una sorta di disagio e di quasi malessere interiore che stanno a dimostrare l’effettiva riuscita della pellicola, che gioca proprio sulla sensibilità dello spettatore chiamato questa volta ad assistere al racconto della figura dei serial killer, piuttosto che delle vittime. Un ribaltamento di prospettiva che ha come merito quello di farci entrare nella testa malata di questi due personaggi, ripercorrendone la genesi, fino a giungere quasi ad avere compassione per la loro completa estraneità dalla realtà. Ma paradossalmente a colpire lo stomaco dello spettatore, più che la violenza estrema e lo squallore inaudito dell’ambientazione decisamente claustrofobica, è proprio il dramma umano di questi due personaggi disperatamente attaccati l’uno all’altra, proprio per non perdere quel minimo di equilibrio di cui sono dotati, equilibrio fondato proprio sul loro amore “malato” e simbiotico che li rende gli unici a potersi comprendere e supportare a vicenda. Se non fosse che nel bel mezzo di questo dramma si pone un terzo personaggio a dir poco enigmatico, che arriva dal “nulla” e si rivela essere molto interessante, dato che sembra essersi impossessato della testa di Davide, oltre a provare fisicamente e non le sue stesse sensazioni e a conoscere molti particolari del loro passato. Chi sarà mai questo ragazzo, Mirko, che sembra non avere paura dei due assassini (che hanno anche un certo gusto per il voyeurismo, dato che filamano ogni loro esecuzione con la videocamera) e che è oltremodo incuriosito da ciò che i due ricercano nei corpi delle loro vittime, così come man mano diviene lo spettatore?

Il pre-finale, decisamente ispirato e illuminante, ci darà una risposta, anche se ci lascerà in sospeso tra un’inquietudine non indifferente (insita nel personaggio decisamente shockante di Cheti, una sorta di bambola-umana), ma al tempo stesso quasi speranzoso (Alice si è risvegliata dall’intorpidimento della sua anima?). Il vero e proprio finale, invece, girato interamente in bianco e nero, con sprazzi di colore costituiti dal rosso vermiglio del sangue, appare decisamente prevedibile anche se forse funzionale al sottolineamento della forza della pazzia che va ben al di là del tempo, dello spazio, e della morte stessa. “Cosa c’è nell’oscurità?”, è la domanda che ricorre all’interno della pellicola e alla fine Alice quasi rispondendo alla stessa domanda pronuncerà la parola “luce”. Che nell’oscurità, dunque, si celi la consapevolezza e la conoscenza  di ciò che è accaduto nella testa di questi due personaggi?

Grande pregio di questa pellicola, un horror che potrà essere apprezzato forse solo dagli appassionati doc per il suo carattere quasi sconvolgente, è proprio la regia e il montaggio che gioca abilmente e furbescamente con una serie di ripetuti flashback che confondono lo spettatore sulla reale natura di ciò che accade durante la narrazione di questa estrema e poco lucida follia (particolarmente interessante la de-costruzione della scena di un rapimento di una coppia appartatasi nell’oscurità). Nota di merito anche all’interpretazione di Emanuele Cerman, nel ruolo del “malefico” Davide, la cui testa è occupata da un sacco di voci che lo tormentano e lo spingono a comportarsi nella maniera violenta e folle in cui si comporta. Interessante anche la fotografia che gioca anche con un funzionale bianco e nero utilizzato nei punti giusti e altamente comunicativo. Una pellicola decisamente apprezzabile, dunque, questo “Bad brains” che si fa sperare in una realtà cinematografica italiana, lontana dai soliti convenzionalismi e luogocomunismi di genere e non solo, e che ci fa sperare in un futuro più particolare e interessante per il nostro panorama cinematografico, in attesa che anche da noi, e non solo all’estero, si possano apprezzare questi lavori indipendenti e low-budget, ma ben fatti e soprattutto decisamente suggestivi.

 

 

Continua…

2 commenti su “Speciale Ivan Zuccon – 1° parte

  1. mi sati facendo interessare a questo cineasta di genere che non conoscevo…attendo le prossime puntate, e intanto metto a scaricare….

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