127 ore

REGIA: Danny Boyle
CAST: James Franco, Kate Mara, Amber Tamblyn, Clémence Poécy, Lizzy Caplan, Treat Williams
ANNO: 2011
 
Aron Ralston, ingegnere 28enne, è appassionato di trekking e biking. Decide allora di andare in escursione nel Canyon Blue John, situato nello Utah, senza però avvertire nessuno. Qui fa la conoscenza di due giovani ragazze che lo accompagnano per un po’, poi però rimasto solo rimane bloccato a causa di un masso che, cadendo accidentalmente sul suo braccio, gli impedisce di muoverlo. Rimane così imprigionato per cinque giorni in un crepaccio senza cibo e con pochissima acqua. Riuscirà a salvarsi solo compiendo un grandissimo sacrificio.
 
Un film che riesce a sorprendere e a coinvolgere nonostante sia una storia di cui si conosce già il finale, essendo tratta da un evento realmente accaduto e dal romanzo ad esso ispirato scritto dallo stesso protagonista di questa avventura drammatica. Grande merito dunque a Danny Boyle che, riprendendo solo le qualità positive del suo precedente “The millionaire”, e cioè l’uso dei colori e l’eterogeneità della colonna sonora, e tralasciandone invece i difetti più vistosi, come la ruffianeria, la stucchevolezza e i retoricismi di fondo, sforna una pellicola entusiasmante che trova un perfetto equilibrio tra la storia narrata e la regia sempre molto frenetica e particolare. Nonostante la staticità del luogo e del tempo d’azione, infatti, Boyle riesce ad imbastire un’impalcatura che si regge su un ritmo serratissimo e travolgente che cattura lo spettatore e lo rende decisamente partecipe dei deliri, delle sofferenze, della disperazione del giovane protagonista.
Giovane protagonista interpretato ottimamente dal poliedrico James Franco che negli anni ha dato prova di riuscire a spaziare nei generi senza mai deludere lo spettatore. E’ anche grazie alla sua perfomance misurata e mai scadente nella spettacolarizzazione di una situazione che poteva incappare facilmente in questo pericolo, che “127 ore” riesce a soddisfare pienamente, regalando anche al contempo momenti di grande emozione, pure questa mai eccessiva e positivamente moderata.
Tramite flashback, split-screen, inquadrature dall’alto e allucinazioni la regia di Boyle, dinamica e serrata, si adegua perfettamente al calvario raccontato, non appesantendolo con pietismi ed esagerazione di toni, ma accompagnandolo adeguatamente con una discrezione e un’originalità non indifferente. Sono molti i momenti che afferrano totalmente l’attenzione dello spettatore, come il fantastico finto show che James Franco inscena con la sua telecamerina (con tanto di risate false registrate come da tipica sit-com che si rispetti), i vari espedienti che studia per mantenersi in vita (come quando è costretto suo malgrado a bere la sua pipì per non morire di sete), e, soprattutto, la tanto discussa sequenza in cui con grande coraggio compie il gesto estremo che lo porta poi alla salvezza. Una scena dal grandissimo impatto visivo che sconvolgerà gli stomaci più deboli, ma che risulta necessaria come coronamento dell’estrema evoluzione del percorso compiuto dal protagonista. Percorso che l’ha portato all’osservazione attenta e acuta di sé stesso fino a pervenire alla convinzione di essere stato troppo superficiale ed egoista nella sua vita (da qui i ricordi sfuggevoli ma intensi della madre e dell’ex-fidanzata), ma anche alla conclusione che quel masso era stato ad aspettarlo lì per tutta la sua vita e quindi era nato appositamente per lo scopo di tenerlo imprigionato, quasi come se fosse nel suo destino finire in quella maniera. Un destino, però, che viene subito combattuto e osteggiato dall’estrema forza di volontà di questo ragazzo che viene mostrato in tutte le sue contraddizioni e debolezze, senza mai presentarlo come un eroe, ma fotografandolo in tutte le sue sfaccettature. Sfaccettature che lo delineano alla perfezione, evitando di approfondire pesantemente e banalmente il suo background, con delle piccole pennellate di vita privata e sentimentale.
Un ottimo lavoro, dunque, coadiuvato da una splendida colonna sonora che scandisce alla perfezione tutte le varie fasi della tragica avventura di Ralston e che ne caratterizza positivamente lo statuto ora drammatico, ora ironico, ora intenso, ora allucinato. E’ anche questo, infatti, il grande pregio di “127 ore”, trovare lo spazio per numerose forme di comunicazione anche in presenza di un soggetto che poteva facilmente far incappare nell’ostacolo dell’univocità narrativa, stilistica e comunicativa.
Sicuramente si tratta di un netto passo avanti rispetto a “The millionaire” che, paradossalmente vinse 8 premi Oscar, al contrario di “127 ore” che non ne ha vinto alcuno, pur essendone decisamente meritevole rispetto al suo predecessore. Ma al di là di questo, l’ultima fatica di Danny Boyle, verrà certamente ricordata come uno dei suoi lavori più soddisfacenti e avvincenti.

VOTO:

Pubblicato su www.livecity.it

20 commenti su “127 ore

  1. Sono una voce fuori dal coro (come spesso mi capita), dato che sto leggendo pareri entusiasti quasi ovunque, ma a me non ha convinto affatto.

    L'ho trovato un film narcisista, autoreferenziale, compiaciuto, e infinitamente prevedibile (dopo pochi minuti avevo già capito con precisione con quale "stratagemma" il protagonista si sarebbe alla fine liberato, e infatti…).

    Anche le riflessioni sul destino, legato al percorso di vita dell'attore, le ho trovate superficiali e ben poco incisive.

    Opinione personale, ovviamente. 🙂

  2.  No, non preoccuparti, non sei po così fuori dal coro, visto che ho letto pareri discordanti anche da parte di altri cinebloggers. Io stavolta ci ho visto un equilibrio quasi perfetto a differenza di The millionaire. Che si capisse quale fosse lo stratagemma secondo me non è un demerito, anche perché è una storia vera e molto probabilmente la maggior parte degli spettatori sa già cosa farà il protagonista per liberarsi.

  3. Purtroppo Boyle è riuscito anche stavolta a metterci l'impronta ruffiana. James Franco molto bravo va incontro alla morte ma si inceppa nella sterzata ruffiana (e pure incoerente con il resto del film) che chiude il film. Non è che la storia vera debba per forza concludersi con quel quadretto familiare, come a dirci che quell'esperienza estrema che ha vissuto (ben riassunta con la nuotata finale, chi pratica nuoto sa cosa significhi) lo ha portato…alla banalità (non dico che la famigliola sia banale, è banale il modo in cui è disegnata). Quando ho visto quella scena..mah, ho sentito Sean Penn e le sue terre selvagge urlarmi nelle orecchie. Storie diverse vero..ma il cinema è più una cosa per registi che per avventurieri di lande perdute.
    Per quanto riguarda lo svolgimento del film sono d'accordo con te, è meglio di Milionaire e intrattiene senza noia. Non ho apprezzato tanto tutte le ridondanze, lo stile estremo delle riprese, il gioco dialettico tra camere e soprattutto quando lo schermo viene tagliato in parti..velo pietoso su Franco e il Gatorade (sembrava una scena da film della Medusa e ciò che ne consegue..). Tutti questi virtuosismi sembravano voler inselvatichire una storia che non aveva bisogno di estremizzazioni (vedi Sean Penn).
    Tuttavia..forse si è sottovalutata la capacità di Boyle di dirigere gli attori, l'uso che fa dei loro corpi è magnifico (senza le super metafore by Aronosfky). Boyle aveva già fatto un lavoro sensazionale col fisico nervoso del miglior Di Caprio (prima che diventasse mister faccia perplessa/angosciata/confusa) e ora ripete con Franco, che riesce a recitare col corpo pur stanto sempre nello stesso posto. Complimenti.
    House B

  4. @cinemystic: (dopo pochi minuti avevo già capito con precisione con quale "stratagemma" il protagonista si sarebbe alla fine liberato, e infatti…)…

    ..beh, non bisognava essere dei geni per capirlo!…canyon, non passa n'anima viva,… un terremoto forse? 🙂

    Concordo con quello che hai scritto, anche se avrei scritto due righe in più sulla colonna sonora, a tratti esilarante!…

  5. Insomma anche stavolta Boyle divide nettamente gli spettatori. Ricordo ancora che c'era chi inneggiava al capolavoro per The millionaire che a me piacque ma non eccessivamente. Adesso sono dal lato opposto anche se ovviamente penso che nemmeno questo sia un capolavoro, ma solo un ottimo film.

  6. Anche questa volta Boyle non mi ha convinto. La sua regia mi è parsa troppo invadente. Avrei preferito qualche split screen di meno ed una maggiore caratterizzazione del protagonista.

  7. Io penso invece che abbia fatto bene a mantenersi in equilibrio sulla caratterizzazione del personaggio. Avrebbe rischiato, altrimenti, di scadere nello stucchevole e nel melodrammatico, così come ha fatto in The millionaire.

  8. Ciao Ale55andra,
    devo dire che anche a me non è piaciuto. Inutilmente roboante, autoreferenziale e superficiale, sia nella forma che nel contenuto. Con un po' di pedanteria confesso che al protagonista del film e della regia consiglierei di vedere The social network, amplierebbe i loro interessi e il loro sguardo!
    Se ti va di dare un occhio al mio blog, mi farebbe piacere un tuo parere.
    Ciao
    Emmeggì

  9. Emmeggì, The social network è piaciuto moltissimo anche a me, ma c'è da dire che Fincher e Boyle sono due registi molto diversi ed è anche giusto che seguano strade diverse. Detto questo siamo in pochi ad aver apprezzato 127 ore, peccato.

  10. Concordo con te, cose diverse e strade diverse! E poi son gusti, a me Boyle non piace in generale. Mi permetto comunque un'ulteriore considerazione: il suo modo di fare cinema, che è un modo abbastanza personale e caratterizzato, calzava a pennello per film "socio-generazionali", come Trainspotting e non -secondo me- quando cerca di adattarsi a vicende e scenari come quelli di The millionaire o di 127 ore. Forse perchè la mano piuttosto pesante che caratterizza così tanto la forma, la confezione, si distacca troppo dal contenuto, fino a coprirlo di inquadrature nelle inquadrature, stacchi zigzaganti, zapping musicale e altre cose che a volte ricordano esercizi di stile un po' fini a se stessi. Un altro regista (un maestro, direi!) che ha alcuni tratti in comune per stile (e mano pesante) e anche, in parte, per tipologia di narrazione, è Tarantino. Bastardi senza gloria è un esempio, amio avviso, della capacità di mettere "in salsa ketchup" una vicenda di quel genere e servire al pubblico un piatto gustoso in cui gli ingredienti si sposano bene uno con l'altro.
    Ciao!
    Emmeggì
    ps Ti ho aggiunta nella lista dei miei blog amici

  11. Ciao Ale55andra, arrivo da google e trovo questa bella recensione che condivido perchè anche a me il film è piaciuto tanto. Ogni entusiasmo per James Franco sarebbe superfluo, quindi sottolineo anche io la regia di Danny Boyle che ho trovato sempre funzionale nel raccontare questo personaggio dalla vita frenetica e cresciuto con la tecnologia. Un film moderno.

    sonny

  12. Bel film davvero, il resto sono chiacchere…sinceramente sono rimasto indifferente ai giochi di regia, nn penso che il regista ne abbia abusato anzi ha aiutato il film ad essere meno monotono…dire che è superficiale è di per sè una banalità l' intenzione del film non è di certo quella di fare riflessioni filosofiche…Boyle riesce secondo me a immedesimare il pubblico in quella situazione…personalmente nel finale sembrava che mi fossi liberato io da quella tortura…

  13. Bè, si tratta sempre di sensazioni personali. Sicuramente l'impianto stilistico e registico di Boyle è un po' straniante, ma credo che in questo caso sia servito a non rendere il tutto fin troppo patetico.

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