A doppia mandata




REGIA: Claude Chabrol

CAST: Jean-Paul Belmondo, Antonella Lualdi, Madeleine Robinson, Jeanne Valerie

ANNO: 1959

 

TRAMA:

 

Una famiglia borghese si dirige verso la rovina a causa dell’arrivo di una giovane e affascinante donna che si stabilisce nella villa accanto.

 

 


ANALISI PERSONALE

 

Grande ritratto di una determinata fetta di società, non privo di denunce e di accuse ben precise, “A doppia mandata” (terzo film del regista francese), è un bellissimo affresco di tutte le debolezze e le piccolezze umane, portate allo scoperto da un personaggio molto particolare e, nemmeno lui, esente da difetti. Trattasi del ragazzo interpretato da Jean-Paul Belmondo (sempre in grado di dare vita a personaggi straordinari e indimenticabili, basti ricordare il successivo Michel di “Fino all’ultimo respiro”), che ci tiene a convincere il suocero a lasciare sua moglie per scappare con la sua amante, presentatagli proprio da lui. Il film comincia proprio con una “visita” all’interno della grande casa della famiglia Marcoux, costituita dai due coniugi e da due figli, un maschio e una femmina. Laszlo (così si chiama il personaggio interpretato da Belmondo) è fidanzato con la ragazza ed è diventato molto amico di suo suocero, non solo perché le ha presentato Leda, la donna di cui si è innamorato, ma anche perché sembra pensarla alla sua stessa maniera, nonostante sia ingabbiato in un recinto dal quale gli sembra difficile poter uscire. Il genero incita il suocero a lasciare sua moglie per non vivere nell’ipocrisia e passare il resto della sua vita con la donna che ama davvero. Egli costituisce un elemento destabilizzante e disturbante che arriva a sconquassare il borghesismo e il finto perbenismo di questa famiglia tutta d’un pezzo, che in realtà nasconde del marcio. I battibecchi con la suocera che lo odia proprio perché non rientra nei suoi canoni prefissati sono all’ordine del giorno. Laszlo è un personaggio divertente e strafottente oltre che portatore del messaggio di rottura delle convenzioni sociali e dei luoghi comuni. “Adoro mangiare, bere, fumare e il resto. Ho tutti i vizi!”, dirà a sua suocera, però poi subito dopo sentiremo dalla sua bocca un’affermazione ben più importante: “Io non mento mai”, e scopriremo, col proseguo della pellicola, che è vero. Laszlo è certamente un ragazzaccio forse un po’ maleducato, ma in compenso è un uomo genuino e sincero, che non vive in false convenzioni sociali e non si nasconde dietro facili ipocrisie. Ogni personaggio di questa pellicola ha un ruolo ben preciso (soprattutto se pensiamo al finale in cui ognuno si ritroverà ad essere sospettato di omicidio), sin dall’inizio ne captiamo le caratteristiche principali: la padrona di casa austera, il giardiniere sfaccendato, il lattaio dongiovanni, la cameriera un po’ frivola e vanitosa, il padrone di casa sofferente per la sua prigionia, i figli ligi al dovere e molto affezionati ad entrambi i genitori, il genero un po’ sui generis (sia permesso il gioco di parole). Al centro della pellicola sono i tradimenti più o meno velati, più o meno accettati, storie d’amore e infedeltà che per certi versi ricordano il grande capolavoro di Renoir “La regola del gioco”, anch’esso film di denuncia verso una determinata casta sociale. Ad un certo punto però, il ritratto etico-sociale si trasforma in un vero e proprio giallo che appare di risoluzione scontata ma che in realtà non si concluderà nella maniera prevista. Ed è così che Laszlo si trasforma da saccente e prepotente scavezzacollo in perfetto detective per risolvere il caso dell’uccisione della sua amica, interrogando, senza darlo a vedere, tutti i componenti della famiglia e della casa e venendo a capo del mistero.

La pellicola è girata in maniera molto particolare con una serie di virtuosismi non indifferenti: movimenti di macchina arditi, inquadrature inusuali, carrellate abbondanti, numerosi piani-sequenza, ecc… Straordinaria la passeggiata di Laszlo in auto, tutta girata in soggettiva con la visione delle strade e dei passanti, la stessa passeggiata che un anno dopo l’attore si ritroverà a fare in quell’altro grandissimo capolavoro che fu “Fino all’ultimo respiro”. Decisamente interessante anche l’arrivo in casa di Laszlo, girato con un vorticoso ed entusiasmante piano-sequenza di inusitata bellezza. Quasi hitchcookiana la sequenza dell’omicidio con attenzione maniacale per i particolari: lo specchio, le bambole, le forbici e con un accompagnamento musicale da brividi. Magnifiche, infatti, sono le musiche che compongono la colonna sonora: deliziose quelle che accompagnano le “marachelle” di Laszlo, più intense quelle che incorniciano i momenti seri e drammatici. Ma la pellicola è piena di momenti veramente coinvolgenti e quasi agghiaccianti come la furiosa lite tra i due coniugi in cui lui sputa in faccia a lei una serie di insulti veramente pesanti. Difficile riuscire a parteggiare per uno o per l’altro, dato che la moglie sembra opporsi strenuamente al divorzio più per convenzione sociale che per amore verso il marito e dato che il marito non ci pensa due volte a rivelare ai suoi figli di odiare profondamente sua moglie al contrario di lei che continua a ripetere loro che devono continuare a volere bene al proprio padre indipendentemente da ciò che succederà tra i due. Il film prosegue in questa maniera, una serie di colpi di fioretto tra moglie e marito, inframmezzati da alcuni momenti di idillio amoroso tra il signor Marcoux e la sua bellissima amante Leda. E’ ravvisabile qualche stucchevolezza di troppo nel dipingere la relazione semi-clandestina, ma il tutto è giustificabile nell’ottima di contrapporre la felicità di un vero amore alla tristezza di un amore costretto, convenzionale. Ciò che rimane più impresso a fine visione è il monologo che il colpevole dell’omicidio ingaggia allo specchio prima di far fuori la sua povera vittima: “E’ solo il volto di un morto che vive”, dirà digrignando tra i denti tutto il suo odio verso la donna e verso ciò che ha comportato il suo arrivo nella sua vita e in quella di tutti gli altri protagonisti. Una sequenza non solo girata e musicata magistralmente, ma soprattutto recitata in maniera encomiabile.

“A doppia mandata”, dunque, non è solo un film di denuncia sociale, non è solo un giallo, ma riesce ad essere ottimamente entrambe le cose, senza mai confondersi o confondere lo spettatore.

 

VOTO: 8,5/9

 

 


CITAZIONE DEL GIORNO

 

"Bravo così me piaci, quando ridi me stai più simpatico. Ah Robbè, che te frega delle tristezze, lo sai qual’è l’età più bella? Te lo dico io qual’è. E’ quella che uno c’ha. Giorno per giorno. Fino a quanno schiatta se capisce." (Il sorpasso)

 


LOCANDINA

 

9 commenti su “A doppia mandata

  1. Purtroppo i primi Chabrol mi mancano tutti… devo recuperarli e questo mi pare davvero molto interessante 🙂

    Un saluto

    Chimy

  2. Adoro Chabrol, ma questo mi manca…appena posso lo scarico (considerato anche che sono in un periodo in cui sto guardando una quantità spropositata di film francesi!)

  3. Questa è la sua terza pellicola mi sa. Se già questo è straordinario, non oso immaginare i successivi. Prima o poi li vedrò ^^

  4. L’ho appena visto, mi è piaciuto molto (più degli altri chabrol che avevo già visto, come I Cugini e Stephane una moglie infedele) specialmente nelle interpretazioni del padre e del giovane assassino oltre che nello stile elegante ed hitchcockiano del regista francese. I personaggi di Belmondo sono sempre tremendamente irritanti, e questo credo sia una prova del suo talento di attore 🙂

    Splendido il monologo allo specchio dell’assassino, e l’uso magistrale delle musiche.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.