Cella 211

REGIA: Daniel Monzón

CAST: Luis Tosar, Alberto Amman, Carlos Bardem, Marta Etura, Antonio Resines, Luis Zahera, Vincente Romero, Manuel Morón, Fernando Soto, Jesús Carroza, Manolo Solo

ANNO: 2010

 

Juan Olivier, da poco assunto come guardia carceraria, si reca un giorno prima al lavoro per sembrare più zelante. Casualmente viene colpito in testa da un calcinaccio e le altre guardie lo fanno stendere un attimo nella cella 211, rimasta libera. Proprio in quel momento scatta la rivolta dei detenuti e il povero ragazzo viene lasciato all’interno del braccio. Per salvarsi la pelle sarà costretto a fingersi un detenuto e ad amalgamarsi al gruppo di criminali.

 

Dalla Spagna arriva un altro interessantissimo film di genere. Dopo la svolta horror, con registi quali Del Toro, Amenabar, Balguerò, adesso è il turno del cinema carcerario da sempre prerogativa degli americani. In questo caso, la rivolta carceraria di questi detenuti pericolosi e aggressivi è dettata da una richiesta di maggiori diritti e dalla stanchezza di abusi subiti da parte del sistema carcerario in generale, a partire dall’alto, fino a giungere ai secondini. Nel mezzo riferimenti anche alla situazione politica con l’inserimento di tre ostaggi davvero inusuali: tre terroristi dell’ETA che vengono tenuti in considerazione dai negoziatori per evitare ripercussioni da parte del governo basco. Ma non è questo, o almeno non solo, a rendere “Cella 211” un film decisamente valido, sia dal punto di vista stilistico-formale che da quello contenutistico-narrativo. A connotare più che positivamente la pellicola arriva un sottotesto che parte in sordina per poi esplodere verso un finale davvero allucinante. Trattasi delle molte sfaccettature insite nella natura umana, magari relegate in zone nascoste e sconosciute, ma poi riaffioranti in momenti decisivi. E’ quello che ci dimostrano i due grandiosi protagonisti della pellicola: Juan Olivier (interpretato dall’esordiente e sorprendente Alberto Amman), uomo per bene che non vuole altro se non fare bella figura al lavoro e prendersi cura di sua moglie e del bambino che aspettano; e Malamadre (interpretato dallo straordinario Luis Tosar), capo della rivolta dei detenuti, criminale della peggior specie. I due, in qualche modo, si ritroveranno ad agire in comune e addirittura a ritrovarsi amici in un interscambio di caratteristiche che ha dell’incredibile, ma che risulta giustificato alla luce del concetto che si vuole trasmettere: in ognuno di noi sono presenti luci e ombre, pronte a mostrarsi vicendevolmente o meno al momento opportuno. Ecco che allora il ragazzo verrà trascinato sempre di più all’interno dei meccanismi della rivolta e, soprattutto, della violenza (a causa di un colpo di scena che lo porterà a questo inaspettato cambiamento), fino addirittura a diventarne protagonista assoluto; mentre il detenuto darà dimostrazione di sprazzi di sentimentalismo nei confronti del ragazzo e della sua situazione familiare, mostrando un’umanità che sembrava ormai completamente inglobata nella brutalità e nella crudeltà della vita da criminale prima e di carcerato dopo. Anche registicamente “Cella 211” riesce a trasmettere i concetti insiti nella struttura narrativa della pellicola: le numerose inquadrature dall’alto che mostrano nella sua completezza e nella sua ferocia e caoticità la rivolta dei detenuti riescono bene a comunicare il senso di claustrofobia provato da chi è costretto a vivere in spazi ristretti come le celle e il braccio più violento del carcere; la telecamera a mano che segue letteralmente i protagonisti (soprattutto Malamadre più volte ripreso di schiena con molta attenzione alla sua nuca che in qualche maniera riesce a spaventare e ad incutere timore), mostrandocene poi le ferite, i tagli, il sangue che imbratta le magliette, i volti, le mani, ci immette a viva forza nello squallore che viene narrato, rendendolo più veritiero e per questo più coinvolgente ed agghiacciante per l’estrema violenza e crudeltà ripresa e raccontata. E’ apprezzabile il non eccedere in prese di posizione da parte del regista, che mostra luci e ombre non solo dei due protagonisti all’interno del micro-mondo carcerario, ma anche di tutte le varie parti in causa, allargandosi al macro-mondo esterno e dunque dei politici, del direttore del carcere, dei secondini, dei mass-media che riportano la notizia della rivolta e via dicendo. Non mancano i momenti emozionanti e quasi poetici, come i ricordi felici del ragazzo con la moglie incinta o l’attenzione posta alle pareti della cella 211 e ai disegni in essa presenti che si riallacciano magistralmente al silenzioso e raggelante incipit. Altro grande merito di “Cella 211” è quello di riuscire ad infondere una certa dose di angoscia, di inquietudine, di tensione e anche di suspance (con il pericolo che il finto detenuto venga scoperto), utilizzando al minimo la colonna sonora, lasciando che siano le urla dei detenuti stessi o i rumori delle varie risse all’interno del braccio a raccontare il “terrore”. Un terrore che sembra non avere un solo colpevole, ma che nasce dalla concomitanza di errori e inadeguatezze di tutte le parti in causa. Un terrore che, seppur di finzione e dunque volutamente enfatizzato, molto probabilmente fa parte della nostra realtà quotidiana.

 

VOTO:

 


 

17 commenti su “Cella 211

  1. Ciao Alessandra. Scusami ma potresti aggiornare il post sulla Connection aggiungendo il link (poca roba per la verità) al mio voto? Grazie mille.

  2. Dici bene Alessandra, finalmente anche in europa si affaccia un filone carcerario libero da americanismi: dopo Audiard anche Cella 211 sta in quel filone.
    Qualche difettuccio il film ce lo ha (la storia privata di Juan fa perdere ritmo paurosamente al film, qualche personaggio un po' macchiettistico e stereotipato) , però nel complesso è più che valido.
    Il confronto tra i due personaggi principali è senz'altro l'asse portante del film e va anche oltre il contesto generale.

    Missile

     

  3. Missile, la storia privata di Juan, però, serviva in qualche modo a fare da veicolo per la fuoriuscita di alcune sue caratteristiche "oscure". Che poi non sia proprio la parte migliore del film, questo è vero.

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