Malcolm & Marie: crisi di coppia o guerra aperta tra registi e critica cinematografica?

Malcolm e Marie rientrano a casa dopo la serata di presentazione del nuovo film di Malcolm, accolto con molto calore ed entusiasmo. Ma presto tra i due inizia un acceso dibattito perché il regista si è dimenticato di ringraziare la sua fidanzata durante il suo discorso. Ma è davvero solo per questo che i due si ritroveranno ad iniziare una delle liti più intense mai avute?

Impreziosito da una fotografia elegantissima e perfetta, sorretto dalla straordinaria capacità interpretativa di entrambi i protagonisti, ammantato di un’atmosfera da camera decisamente azzeccata per il periodo che stiamo vivendo, venato da richiami al cinema della nouvelle vague con qualche spruzzata di John Cassavetes, arricchito da alcuni momenti caratterizzati da un picco emozionale non indifferente, Malcolm & Marie si sta rivelando una delle opere più divisive degli ultimi anni.

Il film, però, nonostante sia caratterizzato da tutte le qualità succitate, ben presto si addentra in una, a tratti, morbosissima presa di posizione del regista che per bocca del suo protagonista inanella tutta una serie di considerazioni sul ruolo dell’artista, sul senso e sul peso della sua arte, sul lavoro del critico cinematografico (a volte inconsapevole di quel valore o altre volte fin troppo consapevole dello stesso), sulle conseguenze che spesso delle recensioni (addirittura persino quelle positive) possono avere per l’autore della pellicola su cui vertono e su quanto sovente si tenda a politicizzare qualsiasi prodotto cinematografico partorito da un autore di colore, solo perché appunto di colore (come se tutti fossero o aspirassero ad essere degli Spike Lee o simili), quando magari si tratta di film che vanno visti solo per assaporarne le emozioni che vogliono trasmettere, senza particolari sottotesti o messaggi.

Trapela in tutto questo una sorta di “autoritaria” volontà di Sam Levinson di suggerire una cifra interpretativa della sua opera (che pure politicizzata sembra esserlo, anzi si ha proprio la sensazione che il regista in qualche modo giochi proprio su questa scacchiera, dicendo di non fare quello che in realtà vorrebbe fare, ricorrendo ad una sorta di psicologia inversa che è anche un mirato e sarcastico “attacco” a chi chiaramente prende sottogamba determinate questioni che sono molto presenti in un certo tipo di cinema), percezione che comunque viene spesso e fortunatamente spazzata via dall’intensità dei due protagonisti e dalla fortissima alchimia che li rende molto coinvolgenti nel rapportarsi su quelli che apparentemente sembrano dei pretesti per andare molto più a fondo nella loro relazione, confessandosi cose represse che hanno la necessità di venire a galla.

Si potrebbe addirittura pensare che il discorso metacinematografico (palesemente spiattellato in maniera a tratti addirittura pedante), sia in realtà un discorso che va a farsi speculare rispetto al ritratto di questa coppia in crisi. Uno è il testo e l’altro è il sottotesto: spetta a noi decidere dove incasellare i due elementi. Nel frattempo abbiamo tempo per empatizzare fortemente ora con uno ora con l’altra, per immergerci nell’atmosfera estremamente coinvolgente creata dal regista grazie anche ad un ottimo utilizzo degli spazi dell’ambientazione e, contemporaneamente, di annoiarci per una serie di elucubrazioni che sembrano piuttosto dei “pipponi” un po’ troppo egoriferiti.

Avevamo bisogno, insomma, di qualcuno che ci dicesse come avvicinarci alla visione di un film o che atteggiamento assumere di fronte ad una questione come la politicizzazione del cinema e l’approccio ad essa da parte della critica? Forse no, però sicuramente Malcom & Marie, a parte questo, riesce magicamente a conquistare e ad affascinare lo spettatore rapito dal racconto a tratti struggente di questo amore profondamente ferito, ma visceralmente intenzionato a sopravvivere.

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