Fur – un ritratto immaginario di Diane Arbus

REGIA: Steven Shainberg
CAST: Nicole Kidman, Robert Downey Jr., Ty Burrell, Jane Alexander
ANNO: 2006

TRAMA:
E’ una trasposizione del tutto personale della vita dell’artista Diane Arbus che sconvolse i canoni della "fotografia" poneno l’occhio sul mondo dei cosidetti "freaks". E’ la storia di una donna che sconvolse il suo mondo fatto di perbenismo e convenzioni per seguire i suoi istinti e le sue passioni.




ANALISI PERSONALE

Dopo aver letto numerose recensioni dei miei amati colleghi cinebloggers ho finalmente avuto l’occasione di avere tra le mani questo piccolo gioiellino che è Fur. Dopo Secretery, Steven Shainberg torna a soprenderci con un’altra deliziosa pellicola incentrata sulle passioni e le buone "perversioni". In questo caso però l’accento è posto su ogni minimo dettaglio e particolare, tanto da indurre lo spettatore a stare con gli occhi bene aperti ad ogni singolo fotogramma. Fotogrammi che regalano in ogni istante qualcosa da ammirare o da cui rimanere estasiati. L’occhio dello spettatore scruta ogni singolo oggetto o persona presente nel film, così come i bellissimi occhi azzurri (colore predominante all’interno della pellicola) di Diane Arbus (Nicole Kidman), scrutano il mondo che viene piano piano delineandosi davanti a lei. Un mondo che ha sempre desiderato conoscere sin da bambina, quando all’interno della sua famiglia agiata e perbene, non le era permesso "godere" dei brividi, della paura, ma anche delle emozioni che le davano le "diversità", come un bambino con il viso deturpato da un enorme voglia rosa, o la curiosità verso un mondo completamente estraneo al suo, come poteva essere quello dei manicomi, degl obitori, delle bettole e via dicendo. Diane ormai "ingabbiata" in una vita non sua, cresce reprimendo quelli che sono i suoi veri istinti. Si innamora e poi si sposa con quello che diverrà il fotografo per le modelle di pellicce prodotte dai suoi genitori. Il loro matrimonio sembra scorrere felice, tra due figlie adorabili e studi fotografici. Suo marito Allan la ama alla follia, accettando tutte le sue stranezze e anzi invogliandola a prendersi un pò più di spazio per se stessa, iniziando magari a fare foto per conto proprio piuttosto che limitandosi a fargli da aiutante per fotografare noiose casalinghe coperte da orrende pellicce (spero fossero false). Diane inizialmente, ormai intrappolata nel ruolo di moglie e mamma perfetta, eclissa l’invito del marito, ma qualcosa molto presto arriva a sconvolgerle la mente e il cuore. Degli strani avvenimenti cominciano a palesarsi subito dopo l’arrivo del nuovo inquilino al piano di sopra. Le tubature del bagno si ostruiscono e nel ripararle Diane si accorge che erano piene di capelli (troppi per essere i suoi o quelli delle sue figlie). Scavando fino in fondo con le mani ben protette dai guanti, la fotografa trova anche una chiave a cui inizialmente non dà peso, buttandola nei rifiuti. Durante un ricevimento dei suoi, tenuto in casa sua, affacciandosi alla finestra scorge uno strambo personaggio col corpo completamente coperto, persino il viso è nascosto da una stramba maschera quasi spaventevole. Diane ha un sussulto nel guardare quei profondissimi occhi nocciola e subito dopo sente forte l’impulso di uscire in veranda e spogliarsi.

La donna non riuscirà ad arrivare fino in fondo e infatti confesserà al marito l’"insano" gesto, intristendosi per essere sempre stata considerata da tutti, persino dalle proprie figlie, una donna strana. Suo marito cerca di incoraggiarla, ma subito dopo ride della foga con cui sua moglie gli bacia le mani. Per Diane è forse questo il momento in cui decide di scappare dalla sua prigione dorata. Prende la sua macchina fotografica e corre al piano di sopra a conoscere lo strano vicino mascherato. La paura è tanta, ma anche l’emozione. Per lo spettatore è tensione pura. Intensità che si taglia con un grissino, soprattutto mentre la donna avanza guardinga verso la porta che la condurrà verso la "libertà". Lionel, l’uomo mascherato è molto misterioso, non tarda ad affascinare sia Diane che lo spettatore con quella voce suadente e quei discorsi sensuali. Per Diane sarà difficile rompere il ghiaccio, ma il suo ospite sarà in grado di farla sciogliere piano piano, fino a farle fare un bagno con la sola biancheria intima (che negl anni ’50 era un vero e proprio vestitino). Diane non tarderà a scoprire che Lionel è uno di quei mostri di cui la società del tempo aveva paura, ma soprattutto ribrezzo (ma credo che le cose non siano affatto cambiate, anche se la fotografo a suo tempo tentò di farle migliorare con la sua arte). L’uomo è affetto da ipertricosi e cioè il suo corpo è completamente ed eccessivamente ricoperto di peli, tanto sa sembrare un lupo mannaro, o un gorilla, o una bestia come quella della famosa favola La bella e la bestia e infatti i richiami del film alla favola non sono pochi. Depilarsi è inutile, dato che la pelliccia (Fur che richiama sia il lavoro dei genitori di Diane, sia la malattia di Lionel), cresce ad una velocità esorbitante. Per Diane Lionel diventerà il trampolino di lancio verso un mondo di cui aveva sempre desiderato appartanere. Il mondo dei cosidetti freaks (gente deturpata fisicamente o mentalmente), tutti amici di Lionel che dopo un breve e umiliante periodo da attrazione da circo è diventato "costruttore" di parrucche e pellicce varie che "elargisce" anche a defunti privi di capelli in punto di morte.
Ed è così che Diane stravolge il suo modo di vivere, si prende il tempo per sè che suo marito le aveva concesso e comincia a rapportarsi con i "mostri" che le daranno la gioia di vivere, il senso di libertà che da anni cercava. Inizia a pensare ad un progetto fotografico: ritrarre tutti i suoi vicini, ma alla fine le foto tarderanno ad arrivare. Ormai decisa a non tornare più indietro, Diane fa entrare la sua famiglia nel suo nuovo mondo presentando a suo marito e alle sue figlie, e in seguito anche ai suoi genitori e agli amici di questi, Lionel e il suo "circo" di freaks: donne senza braccia, uomini giganti, nani, gemelle siamesi e via dicendo.


Il "povero" Allan asseconderà le passioni e i desideri di sua moglie ma ben presto si sentirà paradossalmente colto da un complesso di inferiorità verso i nuovi amici di sua moglie, che sembra amare l’anormalità e lo straordinario mentre lui (come egli stesso ammette tristemente a sua moglie) è solo un uomo normale, un semplice fotografo di moda. E secondo me sta proprio qui il punto più alto del film: lo stravolgimento del bello e del brutto, delle convenzioni sociali e morali che il regista riesce a comunicare perfettamente rendendo i suoi "mostri" davvero speciali e uno più simpatico dell’altro. Lionel addirittura, riesce ad essere sensuale, nonostante l’enorme montagna di peli che lo ricopre. E infatti, dopo l’iniziale e profonda amicizia tra lui e Diane, l’amore non tarda a sbocciare. Diane scoprirà, dopo mesi passati accanto a Lionel, che questi è malato ai polmoni dato che i peli gli impediscono di respirare regolarmente e che quindi gli rimane poco tempo da vivere. Mentre sta per baciarlo, ad un ricevimento per il suo compleanno tenuto a casa dei suoi, il marito (che nel frattempo si è fatto crescere la barba, segno di volersi in qualche modo rendere simile a Lionel) entra nella stanza e dopo aver visto i due così vicini, va via sconvolto. Diane, si sente in colpa soprattutto dopo le dolci e amorevoli parole che Allan aveva speso per lei alla festa del suo compleanno, e in un impeto di compassione mista all’amore che comunque non è mai cessato nei confronti del caro marito, gli promette di porre fine alla sua "relazione" con Lionel e col suo mondo. Quando si reca da lui al piano di sopra lo trova completamente nudo (anche se in realtà questa condizione è per lui inesistente dato che anche se privo di vestiti è coperto dai suoi peli). Lionel la prega di "pulirlo" completamente, di porre fine alle sue sofferenze, fino ad allora tenute ben nascoste tra una gita all’Oceano e l’altra. Diane, dopo un’iniziale riluttanza, taglia via tutti i peli di troppo e depila completamente il suo "compagno" (è questa una sequenza secondo me a dir poco sublime). Una volta terminato il lavoro, Diane vedrà per la prima volta il viso del suo amato (il sempre ottimo Robert Doweny Jr.) e i due non tarderanno a raggiungere la pace dei sensi. Ma Lionel, dopo aver confessato il suo profondo amore nei confronti di Diane, le chiderà un ultimo grande gesto: accompagnarlo nell’Oceano, dove vuole fare la sua ultima nuotata. Dopo una vita passata ad essere umilato il "mostro" vuole morire con dignità e la povera Diane non può fare nulla per impedriglielo se non ritrarlo finalmente da uomo "normale". Una volta compiuta la sua "missione" tornerà sulla soglia di casa  ma non troverà il coraggio di girare la chiave (cosa che invece era riuscita a fare con la chiave di casa di Lionel, quella che aveva trovato nel tubo del bagno e che aveva poi recuperato dalla spazzatura).

Darà l’ultimo saluto alle sue amatissime figlie, lasciando alla più piccola in consegna il bianconiglio di Lionel (chiaro riferimento ad Alice nel paese delle meraviglie, favola che tra l’altro Lionel leggeva alle sue bambine) e scomparirà verso la sua nuova vita. Tutto questo è Fur: paura, tensione, tristezza, passione, amore, dolcezza, istinto si inseguono nel cuore della nostra protagonista e si impossessano di lei fino ad indurla ad intraprendere un’avventura a tratti pericolosa, ma sicuramente appagante.
Del resto il pericolo e soprattutto la "non accettazione" da parte di chi ci sta intorno è lo scotto più grande che bisogna pagare se si vogliono vedere davvero realizzati i propri sogni e i propri istinti, soprattutto quelli primordiali. Fur è tutto questo: un preciso e profondo scrutare delle passioni umane ma anche di tutto ciò che ci circonda visto con occhio vispo e attento, com’è quello di Diane Arbus che non a caso è una fotografa. E la pellicola sembra proprio questo, un perfetto assemblaggio di migliaia di fotografie, ogni fotogramma pare uno scatto da analizzare e gustare fino in fondo. Numerosi sono i simboli e i rimandi e numerose sono anche le metafore più o meno velate. Come non citare ad esempio la donna senza braccia che fa le pulizie o suona il violoncello con le gambe o la figura di Diane e Allan a letto riflessa nello specchio che sta a sottolineare ed ingrandire la distanza che si è creata (o che magari è sempre esistita) tra i due, o il corpo di Diane tutta vestita d’azzurro riflesso nella grande vasca di Lionel o Diane che si "strappa" le sopracciglia che poi vanno quasi a posarsi sul rubinetto del lavandino. Fur è tutto questo: un meraviglioso insieme di bellissime scene arricchite da particolari fenomenali a partire dalla perfetta fotografia incentrata sui colori e soprattutto sul blu (come quello dell’Oceano che avvolge per sempre Lionel), fino ad arrivare ad una colonna sonora da brividi, ad un’ambientazione quasi "favolistica" (la casa di Lionel è un coacervo di colori e di oggetti strambi)  e ad una sceneggiatura ben curata e mai scadente o deludente. Ma prima su tutti troneggia la recitazione: quella della sempre perfetta Nicole Kidman che con questa interpretazione raggiunge un’intensità da Oscar e quella del grande Robert Downey Jr. (quella che forse amo di più) tutta basata sui suoi bellissimi e pronfodissimi occhi col quale riesce ad esprimere e comunicare tutto il dolore per la sua condizione ma anche tutta la gioia di una nuova scoperta (perchè anche per lui Diane sarà una scoperta). L’attore recita solo con gli occhi (per quasi tutta la durata del film) e ci riesce alla perfezione. Peccato che molto spesso viene sottovalutato o del tutto ignorato. Spero che ci sarà un occasione di riscatto per lui, anche se già questa era un’interpretazione da standing ovation. Fur è tutto questo: un piccolo gioiellino, anch’esso passato quasi inosservato, ma che avrebbe potuto risvegliare molte menti "imprigionate" (tra le quali forse c’è anche la mia) donandole forse una speranza.

Regia: 8,5
Recitazione: 8,5
Sceneggiatura: 8
Fotografia: 8,5
Colonna sonora: 8,5
Ambientazione: 8,5
Voto finale: 8,5



CITAZIONE DEL GIORNO

Siamo più fottuti noi di una puttana all’ora di chiusura. (dal film "Dead Man")


LOCANDINA

11 commenti su “Fur – un ritratto immaginario di Diane Arbus

  1. Che recensione appassionata.. non vedo l’ora di vederlo! Grazie Ale.. se non fosse stato per te penso che non l’avrei mai “beccato” questo film (che in effetti è passato stando un po’ nell’ombra)

  2. Già, ne parlavamo anche in altro blog. Questo è un film fenomenale che però è passato in sordina. Peccato. Spero che col mio apporto e quello degl altri blogger sempre più gente possa conoscere questo tipo di film.

  3. Grandiosa! Condivido tutto: faccio parte della schiera degli estimatori di questo atipico biopic rischioso, mai banale e rispettoso della Arbus e la sua arte.

  4. Già, secondo me quella è la cosa fondamentale. In questi casi molto spesso si rischia di non rispettare il soggetto da cui si trae la storia, ma secondo me Shianberg è riuscito a regalarci una “favola” bellissima e rispettosissima! ^_-

  5. Eccomi. Dopo un week-end di “oscuramento” (il pc di casa è pieno di virus e non riesco a installare quasi niente) rivedo il tuo blog con piacere e scopro un film che…non ho visto. Ma grazie alla tua recensione provvederò a questa mia mancanza.

    Grazie e a presto.

  6. il giudizio negativo della critica mi fece passare la voglia di vederlo…ma sui blog tutti ne parlano bene…mi sa che devo recuperarlo…

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